LA STAMPA DEI CUORI

LA STAMPA DEI CUORI

Avremo cuori stampati in 3D «su richiesta» per i trapianti?-La carenza di organi rende oggi impossibile curare tutti i pazienti. La medicina rigenerativa sta facendo passi da gigante e punta a risolvere il problema della carenza di «pezzi di ricambio»

(Fotolia)

Christiaan Barnard annuncia il primo trapianto del cuore, è il 1967

Organi «on demand». La nuova frontiera in tema di trapianti si può riassumere in questo concetto, affascinante e da vertigine allo stesso tempo. Che cosa significa? Lo abbiamo chiesto al professor Giuseppe Orlando, 47 anni, uno scienziato italiano tra i più accreditati a livello internazionale in questo particolare campo delle scienze biologiche: «Il nostro obiettivo è poter produrre organi quando il paziente ne ha bisogno, a partire da biomateriali dello stessa persona in modo tale da evitare la terapia anti-rigetto, che è estremamente costosa e gravata da un carico di effetti collaterali che possono minare l’esito del trapianto. Credo che nessun settore delle scienze biologiche abbia interesse al progresso della medicina rigenerativa più della trapiantologia, semplicemente perché il futuro di nessun altro campo dipenderà dal progresso che si verificherà in medicina rigenerativa». Giuseppe Orlando lavora come chirurgo dei trapianti e ricercatore in uno dei centri americani all’avanguardia per la ricerca sulla rigenerazione degli organi, la Wake Forest University di Winston Salem, North Carolina. Proprio di medicina rigenerativa e trapianti Orlando è stato chiamato a parlare di recente al Policlinico Gemelli di Roma nell’ambito del corso “Master in Trapianti d’organo”, diretto dal professor Franco Citterio, presidente della neonata Fondazione Italiana per la Promozione dei Trapianti d’Organo (Fipto).

Professor Orlando che cos’è la medicina rigenerativa?
«È una disciplina che ambisce a sviluppare terapie per la rigenerazione di organi o tessuti malati o disfunzionali, in modo da evitare che una malattia acuta diventi cronica e porti alla degenerazione irreversibile dell’organo o tessuto. Altresì, tenta di sviluppare tecnologie per consentire di produrre organi a partire dalle cellule del paziente».

Qual è lo stato dell’arte?
«Ci sono migliaia di sperimentazione cliniche in corso. Poche però funzionano e scarse sono le terapie rigenerative considerate elettive. Una di queste é stata messa a punto da due validi ricercatori italiani, Graziella Pellegrini e Michele De Luca del Centro di medicina rigenerativa dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Il loro team ha identificato e caratterizzato le cellule staminali dell’epitelio corneale umano e definito protocolli clinici che oggi consentono una terapia consolidata per la cura della cecità causata dalla distruzione della cornea per ustioni chimiche, mediante cellule staminali epiteliali coltivate. Questo tipo di cura, già applicata con successo su qualche centinaio di pazienti, ha rivoluzionato l’approccio terapeutico delle ustioni chimiche della superficie oculare e si è affermata ormai in diversi Paesi del mondo. Lo stesso team sta anche implementando sperimentazioni cliniche di fase 1 e 2 per la terapia genica dell’epidermolisi bollosa, una grave malattia genetica degli epiteli di rivestimento. Al di là questi esempio, però, la medicina rigenerativa è ancora “in fasce”, ergo, ci vorranno decenni prima di arrivare dove vogliamo arrivare».

Quali sono le applicazioni in campo trapiantologico?
«In questa prospettiva il potenziale della medicina rigenerativa è immenso. Ci sono stati casi di impianto di segmenti delle vie aeree e urinarie e di vasi artificiali, che per noi rappresentano la prova sperimentale della fattibilità e del potenziale di queste tecnologie. Siamo però ancora lontani da applicazioni cliniche, se si considerano gli organi da trapianto “classici”, quali rene, fegato, cuore e così via. Infatti, questi organi presentano una complessità anatomica e fisiologica non ancora “approcciabile” con le tecnologie correnti».

In che cosa consiste la procedura di rigenerazione?
«L’idea é di potenziare le capacità intrinseche dei tessuti di riparare se stessi. Quando il danno é moderato, il corpo umano rimpiazza il tessuto mancante con tessuto fibroso, cioè la cicatrice. Quando il danno é severo, non ci sono cicatrici che tengano, bisogna rimpiazzare il tessuto danneggiato con uno del tutto nuovo, prodotto “ex vivo”. A questo punto interviene l’ingegneria tissutale con la stampa in 3D o la decellularizzazione di organi. In pratica, si combinano cellule con alcune strutture di sostegno chiamate in termini tecnici scaffold, cioè impalcature, necessarie alle cellule per esistere e funzionare.

Nella stampa in 3D, gli scaffold vengono stampati strato dopo strato e assemblati sulla base di un modello matematico. Nella decellularizzazione, invece, gli scaffold vengono prodotti attraverso la distruzione del compartimento cellulare di un tessuto umano o animale. Gli scaffold prodotti con la decellularizzazione sono migliori, in teoria, perché prodotti da madre natura. La rigenerazione di un tessuto/organo malato mira a prevenire la progressione di una malattia verso la fase terminale. La produzione di organi o biofabbricazione, mira a rimpiazzare organi/tessuti malati con nuovi tessuti/organi prodotti artificialmente».

E le cellule staminali?
«Di recente si è proposta la cosiddetta complementazione blastocistica: si prende cioè una cellula della pelle umana e la si converte in cellula staminale totipotente (IPS). Questa viene poi inserita nell’embrione di un maiale che ha perso i geni che orchestrano la formazione dell’organo che si vuole produrre. La cellula staminale umana allora sarà in grado di sostituirsi alle cellule dell’embrione di maiale, in modo da produrre un organo umanoide».

La medicina rigenerativa pone problemi etici?
«Molti, i più importanti dei quali legati all’uso delle cellule staminali embrionali e alla manipolazione genetica. Le cellule staminali embrionali sono oggetto di discussione da anni per motivi legati all’evidenza che l’embrione é già vita ed individuo dal punto di vista biologico. Pertanto, se crediamo in questa visione, utilizzare cellule embrionali equivale a manipolare un individuo e ciò risulta eticamente inaccettabile. La manipolazione genetica, dal canto suo, comporta il rischio di creare chimere (cioè esseri viventi in parte umani e in parte animali, ndr) e alterare l’impronta dell’individuo. L’impatto è tremendo».

Quali sfide attendono la medicina dei trapianti nei prossimi anni?
«Negli Stati Uniti si sta pensando a incentivi per i donatori. Si calcola che, se si pagasse un donatore vivente 45 mila dollari e la famiglia di un donatore deceduto 10 mila dollari, ciò sarebbe probabilmente più vantaggioso che mantenere lo stesso numero di pazienti in dialisi. C’è poi l’applicazione ai trapianti di “big data”, cioè la valutazione di una mole enorme di informazioni attraverso modelli matematici. «Ci sta aiutando a capire che la donazione da vivente è sicura, anche se comporta dei rischi. Un altro campo di grande interesse è la ricerca di nuovi bio-marker di rigetto, funzione e rigenerazione: si sta cercando di capire se ci sono segni clinici di laboratorio, finora sconosciuti , che ci possano aiutare a diagnosticare il rigetto precocemente, oppure che ci permettano di capire come gli organi si riparano da danni biologici».

La rigenerazione è dunque un’alternativa al trapianto?
«Nei nostri sogni, sì. Quando il sogno si realizzerà, renderà il trapianto progressivamente obsoleto».

Intervista a cura di Ruggero Corcella – Corriere della Sera, 26.02.2017

 

 

LA PREVALENZA DEL MEDIOCRE

LA PREVALENZA DEL MEDIOCRE

DALL’UOMO SENZA QUALITA’ AL MEDIOCRE PER DIFETTO, ZELANTE O PER NECESSITA’-IL FILOSOFO CANADESE DENEAULT CI DICE COS’E’ LA MEDIOCRAZIA E PERCHE’ DISTRUGGE CURIOSITA’,CORAGGIO E TALENTO. COME FARE A COMBATTERLA?  

 

«Non c’ è stata nessuna presa della Bastiglia, niente di paragonabile all’ incendio del Reichstag, e l’ incrociatore Aurora non ha ancora sparato un solo colpo di cannone. Eppure di fatto l’ assalto è avvenuto, ed è stato coronato dal successo: i mediocri hanno preso il potere».

Il filosofo canadese Alain Deneault non pensava di avere così tanto successo quando ha pubblicato il suo saggio sulla rivoluzione silenziosa che ci ha fatto precipitare nel regno del conformismo. Il suo La Mediocrazia, pubblicato ora anche in Italia, ha provocato una presa di coscienza tra molti lettori. «Evidentemente ho captato qualcosa, un malessere, che era nell’ aria» commenta Deneault seduto in un caffè dal design retrò. «Nell’ America del Nord persino i caffé sono tutti così omologati» confessa il filosofo cinquantenne che insegna sia a Montreal che a Parigi ed ha già pubblicato numerosi studi sui paradisi fiscali.

In quale momento storico ha inizio la Mediocrazia?

«È interessante vedere quando nasce la parola. Una prima descrizione degli esseri mediocri è fatta da Jean de La Bruyère nel Settecento. Nella sua galleria di caratteri descrive Celso, un uomo che ha scarsi meriti e non possiede abilità particolari ma riesce a farsi strada tra i potenti grazie alla conoscenza di intrighi e pettegolezzi.

Nell’Ottocento il mediocre ha nuove pretese: non è solo in cerca di favoritismi e compiacenze, ma tenta di essere protagonista nel mondo politico, culturale, scientifico. È in quel momento che appare il termine mediocrazia. Ne parla ad esempio il poeta Louis Bouilhet citato da Gustave Flaubert, denunciando la “cancrena” della società».

Il mediocre è un uomo senza qualità?

«Non per forza. Mediocre è chi tende alla media, vuole uniformarsi a uno standard sociale. In breve: è il conformismo. Robert Musil diceva: “Se la stupidità non somigliasse così tanto al progresso, al talento, alla speranza o al miglioramento, nessuno vorrebbe essere stupido”. Esistono mediocri di talento. Un tecnico delle luci di una tv commerciale può essere bravo e dedito quanto uno del Piccolo di Milano. Anzi, spesso serve ancor più impegno, dedizione. La Mediocrazia riconosce alcuni meriti, ma solo alcuni».

È un golpe invisibile, senza dover sparare un colpo.

«L’ingranaggio sociale si è attivato con la prima rivoluzione industriale. Karl Marx l’aveva intuito. Il capitale ha reso i lavoratori insensibili al contenuto stesso del lavoro. La mediocrazia è l’ordine in funzione del quale i mestieri cedono il posto a una serie di funzioni, le pratiche a precise tecniche, la competenza all’esecuzione pura e semplice. Il lavoro diventa solo un mezzo di sostentamento, con una progressiva perdita di soggettività. Una situazione che provoca malessere sociale».

Negli anni Ottanta la fine ideologie e il trionfo del neoliberismo segnano una nuova svolta: è così?

«Già prima, nel Dopoguerra, si sviluppa il concetto di governance con la comparsa di grande aziende e multinazionali, poi mutuato da alcuni leader politici come Margaret Thatcher e Ronald Reagan. Nella governance la misura dell’ efficacia è la salute del settore economico e finanziario. Così muore la politica, cancellata dai diktat manageriali. Basta osservare il linguaggio nel dibattito pubblico.

Non parliamo più di popolo ma di società civile, i cittadini diventano partner, riprendendo appunto un lessico del settore privato anche nella politica e le relazioni sociali. E oggi vediamo Emmanuel Macron che si vanta di essere pragmatico, sentiamo parlare di realismo da parte di Manuel Valls. Nel 2012 François Hollande si è fatto addirittura eleggere con lo slogan di “Presidente normale”».

Perché ha deciso di scrivere un libro su questo tema?

«Abbiamo davanti problemi troppo gravi: il riscaldamento climatico, l’inquinamento atmosferico, il crollo delle istituzioni pubbliche. Ci sono tante e tali minacce che non possiamo accontentarci di affidare il potere a capetti senza visione e senza convinzioni. Siamo a una svolta, un momento in cui la gente soffre nel doversi piegare a norme sbagliate.

Le nostre società sono piene di persone che finiscono in depressione, vanno avanti con gli psicofarmaci. Ci sentiamo oppressi da strutture sociali vessatorie, alienanti. Siamo sottoposti a una dittatura soft della norma, dello standard unico. E se non ci adeguiamo veniamo rigettati, espulsi. In sintesi: la governance è la teoria, la mediocrazia è la modalità. E l’estremo centro è l’ideologia».

L’estremo centro. Che intende?

La mediocrazia fa sì che non ci sia più molta differenza tra Donald Trump e Alexis Tsipras. In ogni caso si applica un solo programma: sempre più capitali per le multinazionali e i paradisi fiscali, meno diritti per i lavoratori, meno soldi per il servizio pubblico. Queste scelte vengono presentate come ineluttabili e soprattutto come ragionevoli.

Chi non si vuole allineare viene trattato da irragionevole, pericoloso, non realista. L’estremo centro cancella la distinzione tra destra e sinistra, si presenta come visione unica ed esclusiva, esprimendo intolleranza per tutto ciò che tenta di rappresentare un’alternativa. E non può essere messo in discussione anche se è distruttore dal punto di vista ambientale, socialmente iniquo e intellettualmente imperialista».

Non esiste nessuna alternativa, come diceva Thatcher?

«L’alternativa che si profila in questo momento all’estremo centro è il ritorno a metodi di governo violenti, brutali, una sorta di ritorno alle origini dello Stato primitivo. E quello che vediamo con i vari Trump, Le Pen. È una differenza di tono, di immagine. In Canada abbiamo avuto come premier Stephen Harper, che era più a destra di certi Repubblicani americani, e ora abbiamo il giovane liberal Justin Trudeau. Ma è un cambio apparente. Uno è arrabbiato, l’ altro sorride sempre. Alla fine il programma, e gli interessi rappresentati, sono gli stessi».

Holland, presidente francese: più normale o banale?

Lei denuncia l’ascesa degli “esperti” nel mondo accademico e nei media. Cosa rimprovera loro esattamente?

«L’esperto è una figura centrale della mediocrazia: si sottomette alle logiche della governance, sta al gioco, non provoca mai scandalo, insegue obiettivi. È la morte dell’intellettuale, come lo descrive Edward Saïd in un saggio, Dire la verità. Intellettuali e potere. Si tratta di un sofista contemporaneo, retribuito per pensare in una certa maniera, che lavora per consolidare poteri accademici, scientifici, culturali.

I veri intellettuali seguono interessi propri, curiosità non dettate a comando, possono uscire dal gioco. Un giovane ricercatore universitario ha davanti a sé un bivio. Se vuole essere semplicemente un esperto ha buone possibilità di fare carriera, ottenere una cattedra, finanziamenti.

Se ha il coraggio di restare un intellettuale puro avrà un futuro molto più incerto. Magari non finirà assassinato come Rosa Luxembourg o incarcerato come Antonio Gramsci, ma non è più certo di poter diventare un professore come Saïd o Noam Chomsky. Ha buone chances di restare precario tutta la vita».

Quali sono le reazioni possibili per combattere la mediocrazia?

«Nel libro ho elencato almeno cinque modi. C’è chi rifiuta le facezie e le aberrazioni della società contemporanea e si mette in disparte: è l’uomo che dorme, come diceva Georges Perec. Esiste il mediocre per difetto, che subisce tutte le menzogne, soffre in silenzio ma si consola quando vince la sua squadra del cuore o può progettare una vacanza al mare.

La vera piaga è il mediocre zelante, maestro del compromesso: il presente gli somiglia, il futuro gli appartiene. Poi c’è il mediocre per necessità, consapevole della situazione ma che tiene famiglia, non può permettersi il lusso di uscire dai ranghi. E infine ci sono i fustigatori della mediocrazia: sono pochi, ma possono tentare di allearsi con i mediocri in disparte e quelli per necessità. La loro unione può portare alla nascita di movimenti come Occupy o le Primavere arabe.

Nonostante mille difetti queste insurrezioni tentano di sovvertire le fondamenta delle istituzioni mediocratiche. E magari altri mediocri, fiutando il vento, potrebbero allora decidere di unirsi a loro per conformismo. È già successo. L’ abbiamo visto negli anni Sessanta e Settanta, quando molte persone sono diventate fintamente di sinistra»

Giuliano Aluffi per “Il Venerdì – la Repubblica”

 

 

 

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