FARFALLONE AMOROSO

FARFALLONE AMOROSO

 

 

Quirinale, interno giorno. Mattinata afosa, come sospesa. I corazzieri se ne vanno… è arrivata la bufera, chi sta beene e chi sta maale, cantava una volta Renatino Rascel.

Loggia d’onore. I giornalisti aspettano, le porte di stucco dorato restano inspiegabilmente chiuse, ma di là c’è ancora qualcuno? Magari esce il Presidente con gli schiavettoni in mezzo a due carabinieri…. coi pennacchi e con le armi. Magari, come nel giorno della marmotta, in quel film, la scena si ripeterà tutte le mattine sempre uguale, come un incubo che si ripropone, implacabile, per dirci delle umane miserie.

Impiccement !, inpiccement !, grida il giovane Masaniello, il Dioscuro disarcionato è assai scuro in viso.

Potremo dire di esserci stati, di averlo vissuto in prima persona, potremo raccontarlo ai nipoti, un giorno: il momento in cui la farsa si traveste da tragedia, e nun gnaa fa, perchè manca di temperamenti audaci, difetta di eroismo; per cui traligna in “sceneggiata”, con isso ‘o malamente che sbraccia, tuona e minaccia.

Il furbo, c’è sempre un furbo, svicola, sfugge, è obliquo, dice e non dice, c’è e non c’è, alterna risate a ghigni minacciosi. Nel frattempo, l’eroe di Legnano, l’Alberto da Giussano, è sostituito dalla faccia paciosa di un ottuagenario roccioso, si dice, e dal cattivo carattere, sempre si dice. Quante cose sono cambiate, eh, senatur!.

Nell’immagine compaiono, fra gli altri: Mattarella, Salvini, Savona, Melloni, Calderoli ,

Ma al Professor Savona non è venuto il dubbio in questi giorni di non essere il vessillo dell’armata populista, ma uno straccio per coprire le pubenda? Moderazione come estetica della politica, ecco su cosa dovrebbe studiare (ops!) riflettere il Professore.

I have a dream: il tanto Conteso che si fa da parte. Un Cincinnato che si nega, appartato e sdegnoso, ma che prima dà l’ultima lezione: il supremo sacrificio del civil servant, da vero eroe civico. Un passo indietro, anzi due. Oggi che la politica è romanzo, retroscena senza più i fatti, che ci fa un Professore serio lì in mezzo?

Il Matteo, intanto, fa otto comizi al giorno, un maratoneta inseguito dalle telecamere.  Urla: Mattarella contro il popolo, con i poteri forti! Ma quanto potrà durare questo racconto, prima di non finire nell’azzardo? Meglio fare marcia indietro, Salvini. Ma…dove andrai farfallone amoroso, agli italiani a turbare il riposo?

L’Italia in mano a dei ludopatici, giocatori senza Borsalino in testa, che non conoscono non solo le regole del gioco, ma nemmeno le carte. Nel frattempo la Borsalino è fallita. Ecco, per l’appunto.

Alcune delle immagini sono tratte dal sito Dagospia.com (qui)

 

BARBARELLA

BARBARELLA

 

DALLA REPUBBLICA DI PLATONE AL SALOTTO DI BARBARA D’URSO: COME UNA COMPARSATA IN TV SVELA L’ANIMO DEGRADATO DELLA POLITICA- SALVINI E DI MAIO CATTURATI COME DUE UCCELLINI NELLA PANIA, DAI RICCIOLI BIONDI E DALLA VOCE FLAUTATA DELLA PRESENTATRICE.

COSI’ LA PENSA GEPPETTO

Non ho mai avuto particolare feeling per la zuccherosa padrona del pomeriggio in tv, idolo mi si dice di massaie disoccupati e  pensionati (che sono naturalmente parecchi in questo Paese per vecchi e senza lavoro). L’abbagliante capigliatura simil-bionda e la seducente mise della signora, non riescono, ai miei occhi saltuari di distratto spettatore, a nascondere i difetti di quella che viene definita tv spazzatura, che sadicamente viviseziona in diretta i sentimenti più intimi, pretende di rappresentare il sentimento del tempo, mentre guarda con disprezzo all’ informazione, se questa non fa audience. Bei tempi quelli del maestro Manzi o di Ugo Zatterin? Irripetibili quelli di Sergio Zavoli? Non esageriamo, diciamo solo che una tv diversa, più rispettosa e di contenuto è possibile, auditel o meno.

Gianmaria Tammaro della Stampa di Torino

A volte però anche alle dive televisive, a loro insaputa, può succedere di essere più efficaci di una stampa monocorde. La doppia intervista ai due capi del populismo italiano è stata una pagina di grande chiarezza, ed è riuscita a mettere a nudo, fuori del linguaggio criptico del politichese, tutti gli equivoci, le mezze verità, i reali (s)propositi dei due dioscuri ( il Càstore Di Maio, disarcionato dall’agognato cavallo governativo, e l’incazzato Salvini-Polluce, che da vero pugile carica a testa bassa, anche se mostra di avere lo sguardo lungo.  

Non avendo dimestichezza con la signora dei salotti, non mi resta che lasciare la parola al bravo giornalista della Stampa Gianmaria Tammaro che ha scritto un articolo sulla magica apparizione tv dei Dioscuri, vera e propria materializzazione via cavo della crisi della politica, delle istituzione e degli italiani. Comunque la si possa pensare.

L’articolo è preceduto da alcuni aforismi sulla politica, scelti a caso. Tutti pongono la domanda di fondo: ma la democrazia parlamentare ha ancora un futuro? 

 

 

Anni fa le fiabe iniziavano con “C’era una volta…”.

Oggi sappiamo che iniziano tutte con “Se sarò eletto…”
(Carlyn Warner)

Non esistono governi popolari. Governare significa scontentare.
(Anatole France)

La politica è l’arte d’impedire agli avversari di fare la loro.
(Roberto Gervaso)

La classe politica, in guerra con gli elettori. Ecco la vera lotta di classe.
(Valeriu Butulescu)

Altre analoghe citazione le potete trovare (qui)

 

Un’immagine dal profilo Instagram di Barba D’Urso (@barbaracarmelitadurso)

Prima li divide, facendoli entrare uno per volta. Poi gli fa le stesse domande, usando le risposte dell’uno contro l’altro. Sembra incredibile ma alla fine la prima a far crollare dall’interno la coppia Di Maio-Salvini è proprio Barbara D’Urso, che li ha avuti entrambi come ospiti a “Pomeriggio 5”.  

Punto di partenza, ovviamente, la crisi istituzionale. La rottura, decisa, tra maggioranza e Quirinale. E tra smentite più o meno decise e voci di pressioni internazionali sul presidente Mattarella, arriva il primo errore. E a commetterlo è Luigi Di Maio. Fatica, annaspa; non riesce a trovare quel consenso che, forse, s’aspettava di trovare nel salotto della D’Urso. E quindi gioca al rialzo: ogni parola viene seguita da un fiume in piena di sensazioni, idee, proposte. Traballa. Poi alza il tiro, e sbaglia: dice che dopo il nome del professor Savona, proposto come Ministro dell’Economia, lui e Salvini ne hanno fatti altri. «Bagnai e Siri», dice.  

Barbara D’Urso in versione casalinga su Instagram

Appena pochi minuti dopo, sempre in diretta, arriva la smentita del Quirinale. E Barbara D’Urso è tanto brava da leggerla a Matteo Salvini, enfatizzando il momento, sottolineando che si tratta una cosa grave. E Salvini, calato immediatamente nella parte di chi non sa o fa finta di non sapere, si tira indietro. «No, io non ho mai fatto altri nomi». Se sono stati fatti, li ha fatti solo Di Maio. «Io non c’ero, non ero sotto la poltrona».  

Poi continua, sempre Salvini: quella che è stata bocciata dal Quirinale è stata l’idea di un uomo a parlamentare con l’Unione Europea, non il nome in sé. Ecco il secondo punto importante: dopo ore di insistenze su un’impuntatura del Capo dello Stato, appare evidente che la preoccupazione di una linea antieuropeistica, che ha spinto il presidente Mattarella a rifiutare il nome di Savona, non era così infondata.  

 

Altro nodo che la D’Urso riesce a sciogliere è quello dell’impeachment: sacrosanto e fermo per il Movimento 5 Stelle, meno per Matteo Salvini che non vuole assolutamente abbracciare, non ora e non in diretta, la posizione di Luigi Di Maio. «Ora sono ancora arrabbiato», dice.  

Infine questione Berlusconi. Anche qui la D’Urso gioca bene le sue carte: legge il comunicato del Cavaliere prima a Di Maio e poi a Salvini, e a entrambi fa la stessa domanda. Alleanze? Di Maio si trincera dietro la sua convinzione che alle prossime elezioni, insieme alla Lega, otterranno la maggioranza assoluta. Salvini, invece, non dice nulla. Nessuna certezza. Nessuna promessa. Si vedrà. Porte aperte sia per il centrodestra che per i Cinquestelle.  

Salvini e Di Maio, grottesca versione dei Dioscuri

E quindi, forse, come ha già detto qualcuno, questa rottura c’era già: e la versione secondo cui una manovra sotterranea di Salvini era all’opera non è poi così lontana dalla realtà. Perché lui sa, e si capisce da come sceglie i tempi, sdrammatizza, da come cerca sempre il pubblico del salotto della D’Urso. Sa cosa dire e come dirlo. Scherza, parla di suo figlio; sa come creare un legame con le persone. Mentre Di Maio, ancora acerbo, cerca costantemente il rilancio, la promessa, il colpo di scena. E ricasca negli stessi meccanismi della vecchia politica, che il suo partito è nato proprio per scongiurare. 

Immagini tratte dal sito Dagospia

Siamo davanti a un paradosso: l’arena scelta per celebrare il trionfo delle ultime ore, il rilancio della campagna elettorale che si terrà nei prossimi mesi, diventa il cimitero delle buone intenzioni e del binomio Cinquestelle-Lega. E a infliggere il colpo di grazia è Barbara D’Urso. Che non ha fatto niente di più, né di meno rispetto a quanto fatto in altre occasioni, per altri temi. Padrona di casa fino in fondo: una del popolo, come ama ripetere. Il linguaggio si mantiene sempre semplice ed essenziale, ed è nella mancanza di giri di parole, di storpiature politichesi, che le contraddizioni vengono a galla.  

Il fatto stesso di avere intervistato prima Di Maio e poi Salvini, separati, è un accorgimento apprezzabilissimo: non possono aiutarsi, guardarsi, sostenersi; la versione di uno, poi, potrà non coincidere con quella dell’altro. E tutto in diretta, sotto gli occhi di milioni di spettatori. La cosa più facile, all’improvviso, diventa una tragedia. Insomma: diamo alla D’Urso quello che è della D’Urso. 

Articolo di GIANMARIA TAMMARO per la Stampa.it
In copertina la foto non ritoccata di Barbara D’Urso, che ha gettato nello sconforto i tanti suoi fans. Una diva è una diva, non può scendere sulla terra.
BASTONE E CAROTA

BASTONE E CAROTA

LA FALSA SICILIA DI CAMILLERI CHE NON SI SOPPORTA PIU’- NELLA RUBRICA Il bastone e la carota DAVIDE BRULLO STRONCA O ELOGIA IL LIBRO DELLA SETTIMANA-

Ora  è la volta di Gli esercizi di memoria di Andrea Camilleri e delle Opere di Leonardo Sciascia.

Davide Brullo, critico e poeta, dalla scrittura estrosa e immaginifica

Il bastoneL’effetto è proprio quello. Una palla di vetro. Dentro, in miniatura, c’è la città di Vigata. Se giri la palla cade una spruzzata di neve e si sente, radiodiffuso da un microfono, un tizio – Andrea Camilleri? Luca Zingaretti? I due, ormai, sono consustanziali – che dice Montalbano sono! Un souvenir. Ecco. I libri di Camilleri sono un souvenir. Sono l’idea piuttosto esotica e alquanto inautentica che, chessò, un americano di Dallas ha dell’Italia. Un borgo siciliano ricostruito a Cinecittà, in polistirolo, con qualche comparsa che getta là frasi in scombiccherato dialetto. I libri di Camilleri sono così. Palle di vetro. Due palle così. Esercizi di memoria, però, che dovrebbe essere l’agiografia di Andrea Camilleri con tanto di angelologia di Montalbano – i fan gradiranno sapere che “l’ispiratore del mio commissario Montalbano” è “un cugino di mio padre che io chiamavo zio Carmelo”, cioè Carmelo Camilleri, commissario della Pubblica Sicurezza, “fervente fascista”, che “usava metodi brutali e violenti” e che fu, per un fattaccio, ‘liquidato’ dal Mascelluto in persona, il Dux, Mussolini – ha qualcosa in più. Nella palla di vetro non c’è soltanto Vigata in miniatura. C’è pure lui, Camilleri, piccino piccino, seduto sulla poltrona del trombone, che sproloquia sulla sua vita, vecchio bisnonno bulimico di tempo perduto a cui occorre cucire la bocca. Dettato in italiano – evviva, non s’è letto dialetto più fittizio di quello ruminato da Montalbano – Esercizi di memoria è un florilegio di gossip dalla vita di Camilleri, forse si crede Lev Tolstoj, forse sogna di essere Henry Kissinger. In una vita piena di incontri ma scarsa di eventi, l’episodio più curioso riguarda il tran tran per recuperare le ceneri di Pirandello, il ritratto più bello è dedicato all’attore russo Pietro Sharoff, quello più ingeneroso cade sul cranio di Vincenzo Cardarelli. Quanto al resto, che Camilleri abbia in odio la montagna – la può affrontare solo dopo essersi bevuto “tutta la grappa dell’Alto Trentino” – ce ne frega un fico, e il dorso di ogni memoria è pepato di fastidiosa supponenza. Camilleri ci racconta che fu benedetto regista da Michelangelo Antonioni, che al Premio Flaiano lo scrittore Daniel Chavarría “incitava i votanti gridando a voce altissima: ‘votate Camilleri!’” – cosa che accadde, per l’ira di Ian McEwan – con levantina spudoratezza, con la falsa umiltà dei vigatesi. Il racconto dei rapporti con Eduardo De Filippo – che stimolano la salivazione del voyeur – è del tutto insipido, e l’incontro (mancato) con Luciano Liggio, il mafioso, ‘la primula rossa di Corleone’, sulla carta un ‘pezzo’ scintillante, si riduce a uno sketch piuttosto infelice. Eccolo, il punto. La scrittura di Camilleri, sempre, è una partita a bocce tra ottuagenari, un bignè al reparto geriatrico, ha il retrogusto della commedia all’italiana di serie B. Camilleri, per stare in quota cinematografica, non appartiene alla schiatta dei Pietro Germi o dei Vittorio De Sica, ma a quella dei Mariano Laurenti, con tutto il rispetto per Quel gran pezzo della Ubalda tutta nuda e tutta calda. Camilleri funziona perché è un modesto intrattenimento per gli italiani che sono notoriamente dei pessimi lettori e un ottimo souvenir per gli stranieri che pensano che l’Italia sia ‘pizza, mafia e mandolino’. Camilleri è uno scrittore che vuole il sorriso facile e la risata complice, non gl’importa la letteratura come disossamento della realtà, come carneficina dei luoghi comuni, come schianto e volo. Il vero scandalo è che nei ‘Meridiani’ Mondadori, la collana editoriale più nobile di questo Belpaese di cartongesso, Giovanni Verga sia rappresentato con due tomi e Andrea Camilleri con tre. Potere del denaro. Così, un pittore di modeste cartoline del Sud vince su Cézanne. Felici voi.

Andrea Camilleri, Esercizi di memoria, Rizzoli, pp.238, euro 18,00

Leonardo Sciascia, scrittore fra i massimi del ‘900. Fu anche deputato per il Partito Radicale

La carotaPer prima cosa, cincischiai con Gesualdo Bufalino. L’amico d’università, Sebastiano, di Noto – ora poeta poco noto – mi svezzò a Elio Vittorini. Ma io schifavo Vittorini. Piuttosto, m’intrufolai in Bufalino, trovando sentieri linguistici che mi parevano bellissimi. A uno che pubblica a sessant’anni il primo libro, con un incipit così, “O quando tutte le notti – per pigrizia, per avarizia – ritornavo a sognare lo stesso sogno: una strada color cenere, piatta, che scorre con andamento di fiume fra due muri più alti della statura di un uomo; poi si rompe, strapiomba sul vuoto”, puoi, francamente, donare tutte le dita della mano destra, quelle che servono per scrivere. Poi tentai con Vincenzo Consoli (Il sorriso dell’ignoto marinaio) e fu un nì. Poi ci fu Stefano D’Arrigo, questa specie di James Joyce e di Herman Melville sullo Stretto, e l’innamoramento fu ingenuo e totale, prima per la Fera, poi per Horcynus Orca, infine per la viziosa Cima delle nobildonne. Della letteratura siciliana è adorabile l’insularità. Nel senso che è uno dei pochi luoghi al mondo che fa storia a sé, con micidiale concretezza, non ha bisogno di altre letteratura né di enciclopedici dettagli. Autarchia del genio. Dato per certo Pirandello, esaltato Giovanni Verga – i suoi racconti hanno una velocità rapace e modernissima, leggeteli, il duca della scrittura siciliana si pappa a colazione tutti i sedicenti scrittori di oggi – magnificato Federico De Roberto, alla fine s’inciampa, come nella più torbida delle eresie, in Leonardo Sciascia. Dal paradosso (Pirandello) al torvo (Verga), dal barocco (Bufalino) al glossolalico (D’Arrigo), in Sicilia c’è spazio pure per il cinismo voltairiano. Romanziere non geniale (ma La scomparsa di Majorana è di specchiata bellezza), fu uomo speciale, Sciascia. Leggerlo è il godimento dell’intelligenza: per questo lo zibaldone pubblicato come Nero su nero è caustico e corroborante. In un brano, ragiona sulla “vita di Tolstoj”, che “si svolge tutta sotto il segno della fuga. Fuga dalla condizione sociale ed economica in cui è nato. Fuga dal destino di scrittore. Fuga da se stesso. Fuga dalla vita”. Morto, per l’appunto, in fuga dalla famiglia, a 82 anni, nella stazione di Astopovo, Tolstoj ispira a Sciascia un pensiero stupendo. “Filarsela dalla vita, non esserci più. Non ha voluto altro, vivendo; non ha pensato ad altro. Ed è da questa estraneità che ha visto limpidamente la vita, che l’ha come ripetuta nelle sue pagine”. Lo scrittore è sempre in fuga, ed è da fuggiasco, fuggendo, che vede le cose, sempre irripetibili, dunque ripetute. Camilleri non è uno scrittore in fuga, è uno scrivano assiso sul trono di una gloria di latta, lattescente. Buon per lui. C’è così tanta letteratura in Sicilia che prima di approdare a Vigata avremo vissuto sette vite almeno.

Leonardo Sciascia, Opere, Bompiani, 2004

per l’Inkiesta.it. 

 

IL SEGRETO DI CAMILLERI

IL SEGRETO DI CAMILLERI

IL LIBRO SEGRETO DI CAMILLERI – SI CHIAMA “PARLA, TI ASCOLTO”, L’HA STAMPATO A SUE SPESE IN UN’ANTICA TIPOGRAFIA MILANESE E L’HA SPEDITO A 1500 AMICI CON UN BIGLIETTO FIRMATO – È LA STORIA DI UN MEDICO TORMENTATO DALL’AMORE SCABROSO PER UNA BAMBINA – PERCHÉ NON HA CONTATTATO SELLERIO, MONDADORI, EINAUDI O GIUNTI? AH, SAPERLO…

 

 

andrea camilleri (6)

«È un segreto che va rispettato», ci ha detto un noto critico letterario. Uno dei 1.500 intellettuali che hanno ricevuto, in un pacchetto riservato, il libro segreto di Andrea Camilleri. Un evento curioso in un Paese come il nostro, dove i segreti personali vengono svelati facilmente sui social e sui media, dove persino i testi delle intercettazioni giudiziarie, con tutti i risvolti privati, si trovano pubblicati in lenzuolate sui giornaloni, non solo sui periodici di gossip…

CAMILLERI PARLA TI ASCOLTO LIBRO SEGRETOBene, in questo Paese vi sono segreti letterari che vengono rigorosamente blindati per volontà di uno scrittore. Non parliamo quindi di Cosa nostra e di altre organizzazioni criminali che minacciano e impongono il silenzio, ma semplicemente dei contenuti di un romanzo. Vediamo di che cosa si tratta esattamente, visto che se ne è parlato poco, anzi quasi per niente.

Il grande scrittore, Andrea Camilleri, nel settembre scorso ha deciso, in tutta riservatezza, di far spedire a 1.500 scrittori, giornalisti, politici di suo gradimento, amici personali e alcuni parenti, un libro, pubblicato a sue spese dall’ antica tipografia milanese Campi 1898. Il titolo del libro di 170 pagine è Parla, ti ascolto. Il primo mistero è già nella scelta dello stampatore.

Perché l’ inventore di Montalbano non ha fatto ricorso ai suoi editori abituali, a partire dalla storica Sellerio, per passare a Mondadori, Rizzoli, Einaudi, Giunti, eccetera? E perché ha voluto regalare 1.500 copie del suo «libro segreto» con un biglietto firmato? Ecco il testo: «Ho il piacere di farti avere questo libro che vorrei leggessero solo i miei amici».

CAMILLERI PARLA TI ASCOLTO LIBRO SEGRETO

Il libro segreto di Camilleri

Era cioè rigorosamente vietato concedere alcun prestito ad altri (conoscenti, giornalisti e critici non estimatori del Maestro, curiosi, eccetera). E finora – sono già trascorsi otto mesi – il segreto è stato sostanzialmente rispettato. Non è vero che il libro, come ci ha detto un altro critico, «è stato scritto per pochi intimi». Millecinquecento persone non sono «pochi intimi», anche perché non si tratta di lettori comuni e, se rapportati alla media dei «lettori forti» (sempre più esigui in Italia), ci sembra comunque una platea ragguardevole. Certo, se si paragona questo campione di «privilegiati» alla grande massa dei lettori dei libri di Camilleri (103 titoli, se li abbiamo contati bene, tradotti in 120 lingue), con oltre 30 milioni di lettori (solo in Italia), le 1.500 copie ci fanno sorridere.

sul set di montalbano

Sul set del Commissario Montalbano

 Il problema però non è questo. La prima domanda che viene in mente è questa: perché lo ha fatto? Il grande autore ha sempre bisogno di tenere viva l’ attenzione su di sé e sulle sue opere anche con un coup de théâtre? Ma siamo sicuri che ne ha bisogno? Camilleri non ha certo problemi economici: i suoi libri «producono» ogni anno molti milioni di diritti d’ autore, grazie anche alle serie di film tv di Montalbano, con l’ eterno Luca Zingaretti, che hanno reso ancora più popolari i suoi racconti.

COMMISSARIO MONTALBANO

Montalbano, interpretato da Luca Zingaretti

Tra parentesi, l’ ultima serie tv, pubblicizzata come «nuovi episodi» era, invece, la riproposizione di una vecchia serie, rimontata con alcune scene girate con una nuova attrice in sostituzione di quella precedente. Non conosciamo il motivo di questa modifica: forse ragioni contrattuali e giudiziarie. Le storie erano quelle del passato, così come gli altri attori, con la differenza di vedere un commissario Montalbano-Zingaretti molto più giovane, che poi, nella stessa puntata, ricompariva invecchiato di un quindicennio. È questo, purtroppo, un vezzo diffuso, in generale, nella tv italiana, cioè quello di non indicare esplicitamente le repliche, anche quelle in cui basterebbe inserire l’ avviso «Nuova edizione»).

Camilleri, dunque, se non ha problemi economici (e, ovviamente, nessuna delle sue tre figlie) perché ha fatto ricorso a un «libro segreto» che ha scatenato la curiosità degli intellettuali? Cerchiamo di capire – dalle soffiate che siamo riusciti a registrare- che cosa racconta il romanzo e perché non se ne deve parlare.

rosetta e andrea camilleri

Rosetta e Andrea Camilleri

Parla, ti ascolto è un’ allucinante storia di un medico, il cardiologo romano Barreca, che ha una moglie bellissima (Giulia). L’ uomo però sembra sia tormentato dall’ innamoramento per una bambina (Elena, di 4 anni), figlia di un vicino di casa. Nel libro si raccontano, in ogni dettaglio, le emozioni, i sentimenti di questo maturo professionista, i suoi rapporti con gli amici, la moglie e un giovane sacerdote, padre Giacomo, che viene segretamente messo al corrente dell’ evoluzione della vicenda.

CAMILLERIAnche il sacerdote rimane sconvolto da questa storia e decide di chiedere aiuto all’ anziano padre Gioacchino. Purtroppo non si sa altro, a causa della reticenza dei lettori camilleriani che hanno ricevuto in dono l’ opera. Qualcuno ha pensato che a 92 anni (e quasi totalmente cieco) lo scrittore stia pensando che forse alla fine del tunnel esista una luce e si è parlato anche di una possibile conversione cristiana. Ma è solo una supposizione, perché Camilleri ha sempre smentito una simile ipotesi. Si sa, infatti, che lui è stato sempre ateo e racconta spesso che 1943 venne espulso da un collegio vescovile perché aveva lanciato delle uova contro un crocifisso. Ma con gli anni le cose potrebbero essere cambiate.

andrea camilleri marco travaglio marcello corvino

Camilleri con Marcello Corvino e Marco Travaglio

Che stia pensando alla fine del suo viaggio esistenziale è provato anche dal fatto che da tempo ha decretato la fine del commissario Salvo Montalbano. Nel 2006 ha consegnato infatti all’ editore Sellerio l’ ultima puntata, con la conclusione della storia, chiedendo che il libro venga pubblicato dopo la sua morte. Quel testo l’ editore palermitano lo ha chiuso nella sua cassaforte, anche se Camilleri ci ride sopra. In ogni caso questo fatto prova che l’ autore vuole che Montalbano muoia con lui e cioè che nessun altro scrittore possa continuare a farlo vivere inventando nuove storie. Con gli anni, abbiamo detto, le cose potrebbero cambiare anche politicamente.

commissario montalbano 5

Il commissario Montalbano

Per Camilleri però è diverso. A 16 anni era fascista (come suo padre, soldato nella Grande guerra: inquadrato nella Brigata Sassari, adorava il suo comandante Emilio Lussu, socialista; aveva visto morire Filippo Corridoni, il sindacalista rivoluzionario amico di Benito Mussolini). Da adulto, trasferitosi a Roma, si iscrisse al Pci e per molti anni è stato un fedele militante di quel partito. Era molto amico anche di Leonardo Sciascia, ma riuscì a tradirlo politicamente e nell’ amicizia. Ha raccontato, in un’ intervista, che nei giorni del sequestro Moro, Sciascia e Renato Guttuso andarono a trovare Enrico Berlinguer a Botteghe Oscure. Era affranto dal dolore e riferì loro che il Kgb e la Cia volevano la morte del leader democristiano. Sciascia non ebbe alcuna esitazione nel raccontare lo stato d’ animo del leader comunista, riferendola su un quotidiano. Berlinguer smentì ufficialmente. Anche Renato Guttuso si accodò e Camilleri si schierò, acriticamente, con Berlinguer, isolando così Sciascia, che rispose sdegnato: «Alla faccia della verità e dell’ amicizia».

CAMILLERIAnche negli anni della maturità non ha mai nascosto il suo impegno politico, sempre smisurato, nel Pci e alla sinistra di quel partito, con iniziative, talvolta spettacolari.

Ha sempre fatto parte di strane compagnie in manifestazioni, con i girotondini, contro Silvio Berlusconi (No Cav Day nel 2008, con Marco Travaglio, Antonio Di Pietro e Beppe Grillo), in iniziative politiche (nel 2009 per la fondazione del Partito dei senza partito, con Di Pietro e Paolo Flores d’ Arcais, ma poi non se ne fece niente perché i tre non trovarono un accordo).

Nel 2013 partecipò ad altre manifestazioni contro il centrodestra. Ma fu anche contrario (sempre nel 2013) al governo Letta e persino alla rielezione di Giorgio Napolitano al Quirinale. Negli anni più recenti ha espresso un’ opposizione serrata a Matteo Renzi come uomo di governo e segretario del Pd.

Ora il mistero di Parla, ti ascolto. Matteo Collura, uno scrittore che conosce bene Camilleri ma che non lo stima molto come scrittore, mi ha confidato: «Si sta divertendo, paga i suoi capricci letterari, tanto non ha bisogno di altri diritti d’ autore. Ne ha troppi. E chissà, forse è in preda a una crisi mistica». C’ è anche chi pensa che le case editrici non hanno pubblicato il testo perché lo hanno ritenuto troppo morboso: avrebbe potuto guastare la sua immagine, soprattutto mentre andavano in onda gli episodi di Salvo Montalbano.

Andrea CamilleriOggi essere accusati di scrivere libri di impronta pedofila è molto facile. Lo dice anche un altro critico noto, che non vuole essere menzionato: «Non mancano certo, anche fra gli scrittori, gli invidiosi». Ma c’ è anche chi sostiene che la storia del cardiologo Barreca sia ispirata a un fatto reale e che i protagonisti siano ancora vivi. Camilleri ha voluto solo togliersi un sassolino dalla scarpa, prima dell’ inevitabile? Forse. Lo scrittore di Porto Empedocle ha fatto sapere che, prima o poi, parlerà.

Articolo di Aldo Forbice per la Verità

 

SQUOLA

SQUOLA

SCUOLA DEI DIRITTI O SCUOLA DEI DOVERI?- PROMUOVERE GLI ASINI PER PRODURRE I BULLI?

Gli episodi di violenza nella scuola pubblica sono sempre più numerosi, e ad esserne vittime sono ormai frequentemente anche i professori: insultati dagli studenti, aggrediti e picchiati dai loro genitori. L’episodio dell’Itc Carrara di Lucca ha ricevuto una particolare attenzione da parte dei media, e ha visto intervenire anche la ministra Fedeli, che ha auspicato una giusta severità. Un intervento non scontato, in un’istituzione come la scuola, nella quale è stato demonizzato da molto tempo anche il più sensato degli interventi disciplinari. Tuttavia – e questa è la tesi che vorrei sostenere – è del tutto inutile bocciare i peggiori tra i bulli quando la scuola li produce costantemente e ne incentiva la crescita.

Ho letto parecchi commenti all’episodio di Lucca, divenuto l’emblema di un disagio ormai insostenibile. Il Leitmotiv prevalente è la rottura di un patto generazionale, che riguarda anzitutto i rapporti tra gli studenti e le loro famiglie, e che si ripercuote nei rapporti tra le famiglie e gli insegnanti. Il patto educativo che esisteva un tempo, ha scritto per esempio Antonio Scurati su “La stampa”, si è dissolto e per ragioni misteriose non è stato sostituito da nient’altro. Per ragioni misteriose: servirsi di questa espressione non equivale ad ammettere l’impossibilità, o meglio l’impotenza, di ogni diagnosi? È questa sensazione di impotenza intellettuale che domina le riflessioni sulla scuola, in tutti gli articoli che mi è capitato di leggere, anche in quelli in cui permane la passione per l’insegnamento e la volontà di non arrendersi. Ma davvero una diagnosi è impossibile?

Torniamo al punto di partenza, cioè al progetto di una scuola democratica, che si era affermato alla fine degli anni Sessanta nel secolo scorso. Un progetto ampiamente condiviso, ma che bisogna valutare soprattutto per come è stato voluto dalla sinistra, perché è la sinistra che vi ha imposto il suo marchio. E sin dall’inizio alle luci si sono mescolate le ombre: l’ideologia è diventata subito la componente più aggressiva, e distruttiva. Ma, almeno per un certo periodo, gli aspetti positivi hanno prevalso: una selezione basata ampiamente sul ceto era stata sconfitta, un autoritarismo ingiustificato e sterile era stato spazzato via. E solo dopo parecchio tempo i primi dubbi sono emersi: affermando il diritto all’istruzione fino a 14 anni, la scuola democratica deve anche garantire un percorso eguale per tutti? Deve promuovere comunque, fino al compimento della terza media? Bocciare uno studente che non ha assimilato quasi nulla nelle diverse discipline è un atto punitivo? La scuola dei diritti non dovrebbe essere in pari misura una scuola dei doveri, dell’impegno nello studio e del rispetto nei riguardi non solo degli insegnanti ma anche degli altri compagni? Uno studente che con il suo comportamento indisciplinato ostacola lo svolgimento delle lezioni, non danneggia forse chi va a scuola per avere una formazione?

  

 

Non era facile porre queste domande perché, in base all’ideologia egualitaria, parole come disciplina o bocciatura appartenevano al linguaggio poliziesco e della reazione. Non si aveva il coraggio, e non lo si ha neppure oggi, di andare alla radice del problema. Vorrei provare a farlo, rapidamente.

L’egualitarismo non è la giustizia, ma la sua caricatura. Una deformazione che si è affermata già nell’Ottocento – benché Marx ed Engels mettessero in guardia dalla rozza tendenza a tutto eguagliare” (“eine rohe Gleichmacherei”Manifesto del 1848, cap. 3) – e che ha trovato la sua realizzazione nel socialismo reale dell’Unione Sovietica e di altri paesi comunisti. L’egualitarismo comunista era ipocrita (come lo è ogni egualitarismo) in quanto consentiva il dominio di una minoranza privilegiata, il Partito. Tuttavia garantiva alla massa un livello di uniformità, che non poteva venire spezzato verso l’altro, ma neanche verso il basso. Tutti egualmente poveri, in una società fallimentare dal punto di vista economico, e tutti egualmente mediocri. Ora, il punto sempre trascurato è questo: la società capitalista, pur basandosi su principi economici e culturali del tutto diversi, ha scelto di (o ha dovuto) scendere a un compromesso con il socialismo reale. Ha accettato che in alcuni settori si stabilisse, in misura più o meno completa, il principio egualitario, cioè il garantismo. E il settore in cui il garantismo è arrivato a dominare del tutto incontrastato è la scuola.

Se non si comprende il dato di fatto (forse l’inevitabilità storica) di questa mostruosa ibridazione tra individualismo ed egualitarismo, ogni diagnosi dei mali di cui soffre attualmente la scuola diventa impossibile. L’egualitarismo ha determinato la sospensione di ogni nozione di “dovere” e di “responsabilità”. Ha garantito la promozione di qualunque asino, con assoluta certezza durante la scuola dell’obbligo, e con un altissimo tasso di probabilità negli anni successivi. Com’è noto a chiunque conosca almeno un po’ il mondo della scuola, i più strenui rappresentanti della promozione a oltranza sono stati i Presidi (oggi i Dirigenti scolastici), preoccupati di “non perdere classi”.

Mettiamoci ora per un attimo dal punto di vista dello studente di 16 o 17 anni, a cui è stata sempre regalata la promozione: ha davvero tutti i torti a infuriarsi – con l’istituzione, non si dice con il singolo docente – quando prende brutti voti? Potrebbe dire: “che cosa ho imparato a scuola? che anche ignorando le tabelline e in possesso di un lessico limitatissimo, si può essere promossi in matematica e italiano. Non mi è stato mai insegnato a studiare, a concentrarmi su un libro, e a ripetere un esercizio che non sapevo fare. Ora si pretende che io legga Dante e risolva delle equazioni. Non è giusto”. Bisogna ammettere che questa argomentazione avrebbe una certa plausibilità.

Don Milani e i ragazzi di Barbiana. Alle sue idee pedagogiche e del ruolo sociale della scuola alcuni critici fanno risalire polemicamente la perdita di autorità dell’insegnamento.

Una scuola che tollera l’ignoranza, che non sa esortare alla responsabilità individuale, è una scuola diseducativa. Ed è anche una scuola antidemocratica, cioè il rovescio di quella scuola per cui la mia generazione si era battuta: ma noi volevano una scuola di qualità per tutti, non una scuola per tutti gli asini. 

Quanto ai bulli, non intendo certo dimenticare le violenze fisiche nei confronti di altri studenti e le aggressioni egualmente odiose agli insegnanti, ma non vorrei limitarmi ai casi estremi: c’è un bullismo “diffuso”, quotidiano, che danneggia la maggioranza degli studenti. Le classi cosiddette “problematiche” dai dirigenti scolastici, che nel buonismo e nel calcolo pragmatico trovano la loro fonte di ispirazione, sono classi in cui è semplicemente impossibile fare lezione: nelle quali cioè ogni studente serio viene danneggiato nei suoi diritti. D’altronde, la maggiore incentivazione al bullismo è la sensazione di impunità. Così la scuola che voleva essere democratica è diventata il rovescio del suo progetto iniziale. 

Le responsabilità per questa situazione sono di molti, ma in particolare della sinistra, incapace di contrastare le devastazioni prodotte dall’ideologia. Eppure dovrebbero essere le forze politiche di sinistra a impegnarsi maggiormente per una scuola pubblica di qualità: la crescita culturale della maggior parte delle persone, e la diffusione di capacità critiche, sono tra i valori della sinistra (e non necessariamente della destra). Sarebbe necessario un dibattito di ampio respiro perché molte cose sono cambiate rispetto a mezzo secolo fa. Se si considerano le proposte della sinistra negli scorsi decenni, e sino a quell’obbrobrio che è stato “la buona scuola” di Renzi, colpisce la totale inadeguatezza ad affrontare i problemi di quella che è probabilmente la più complessa delle istituzioni sociali: più ancora della sanità e della sicurezza, il campo dell’istruzione esige molteplici punti di vista, flessibilità, intelligenza. E, in generale, una trasformazione di mentalità rispetto agli stereotipi tuttora dominanti.

Le società tradizionali erano caratterizzati dai “riti di passaggio”, come li ha chiamati Van Gennep. Si trattava di soglie, percepite come tali e grazie a cui l’individuo entrava in una nuova fase della sua vita. Sino ad alcuni decenni fa, la scuola era la forma di passaggio o di iniziazione più importante, in quanto socialmente la più estesa. Esistevano riti ansiogeni, gli esami: prove anche troppo severe, di cui gli esami attuali sono la caricatura, dal punto di vista della difficoltà e del tasso di selezione. Nessuno rimpiange le prove della vecchia scuola, i capricci e le bizzarrie di certi insegnanti: ma che andare a scuola debba essere un mettersi alla prova, in un clima sereno ma improntato a serietà, con insegnanti che sanno aiutare ma valutano in base al merito; che bocciano gli asini per due motivi: perché è una cosa giusta, e perché non vogliono incentivare l’irresponsabilità e l’arroganza di chi si sente comunque garantito – tutto questo non è forse auspicabile? 

 
 

 

Articolo di Giovanni Bottiroli per Doppiozero.com 

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