MEGLIO MADÀMIN CHE BADÒLA

MEGLIO MADÀMIN CHE BADÒLA

IL BORGHESE SOPRAVVISSUTO SCENDE IN PIAZZA  A TORINOPRIMO, COMPOSTO E TIMIDO TENTATIVO DI REAZIONE AL POPULISMO E AL SOVRANISMO NELLA CITTA’ CHE FU DELLA FIAT,OGGI  ALLA RICERCA DI UN SUO DESTINO- CONTRO LA DECRESCITA FELICE E L’IDEOLOGISMO DEI NO TAV SI GIOCA UNA PARTITA DECISIVA PER IL FUTURO ITALIANO E EUROPEO. COSI’ LA PENSA GEPPETTO.

 

Di passaggio da Torino ho voluto esserci in piazza Castello, sabato 10 novembre, giornata uggiosa come non mai, città pigramente in movimento.

Le sette madamìn che hanno voluto la manifestazione del Sì alla TAV Torino-Lione, sono su un palco improvvisato, l’acustica è pessima, ma la gente accorre, composta, confondendosi con i turisti che escono dal museo Egizio o che hanno fatto compere alle bancarelle di via Roma, da dove arriva il profumo di cioccolata e dolciumi del Cioccolatò 2018, la kermesse dedicata a una delle eccellenze della città. 

Non potendo vedere il palco invisibile, né comprendere le prevedibili esortazioni, gli appelli e gli slogan, gironzolo fra la folla sempre più fitta. Alla fine, gli organizzatori parlano di 30 mila presenze.

Ma non è il numero che mi interessa, ma la gente che è accorsa, i discorsi che fanno, i cartelli (pochi) che inalberano. Il taglio è sobrio, riflessivo, non solo sul palco ma anche nella piazza. Sembra quasi un raduno di reduci, che non si riconoscono più, dato il tempo passato, ma che sono comunque felici di ritrovarsi.

A rompere l’impaccio dell’estraneità, tutti gli sguardi convergono verso la rassicurante gigantografia di Cavour, mentre piovono applausi quando si ricordano Marchionne e Pininfarina, due di famiglia nella comune genealogia piemontese. 

A proposito di ricordi, in quella stessa piazza, 5 o 6 anni addietro, assistetti a un comizio di Beppe Grillo, agli esordi del suo Movimento. Allora c’era ancora la FIAT e Torino una città industriale senza più industrie. Intorno a me giovani, tanti e incazzati, nervosi e carichi, pronti ad applausi liberatori ad ogni battuta, a sottolineare con epiteti e bestemmie ogni sentenza del guru sul palco, che si agitava, attorniato da timide e labili comparse locali. La piazza era fatta di facce dure, gente della periferia e della cintura, disoccupati, cassaintegrati, parecchi di colore, femministe, No Tav, antagonisti dei centri sociali, giovani o giovanissimi in larga prevalenza.

Questa piazza oggi è molto diversa.

L’indomani in treno leggo il resoconto sulla Stampa, che con editoriali infuocati ha molto gonfiato l’evento, e ricordato la storica marcia dei 40 mila, capeggiati da Romiti, che chiuse la stagione degli scioperi alla Fiat. “La verità è che c’ erano tutte le associazioni di categoria, commercianti artigiani, industriali, un mezzo miracolo per chi conosce la litigiosità dei corpi intermedi torinesi. C’ erano operai, studenti, maestre e avvocati d’affari, una piazza difficile da colorare o definire, figlia di una manifestazione davvero spontanea. Fino alla sera del 29 ottobre (voto in consiglio comunale No-Tav, ndr), appena dodici giorni fa invece non c’era niente che facesse presagire questa mescolanza così inedita.”

Se anche c’erano le parti sociali che l’articolista elenca, certo esse hanno tenuto un profilo molto basso. Forse non ci credevano, poi meglio non correre il rischio di politicizzare. 

Attorno a me, invece, ho visto la classe media di Torino, benestante, colta, età media sui 50 anni, spesso in coppia, parecchie donne con al bavero il simbolo arancione del Sì TAV Torino. I pochi giovani stavano in vetrina, dietro il palco, simili a trofei da esporre.  

Che la classe dirigente e benestante italiana si affacci in piazza e canti l’inno di Mameli, va bene.

Che, al termine, non ci fosse nemmeno una carta per terra, come scrive compiaciuto il direttore Maurizio Molinari, ancora meglio. Si può manifestare con stile e misura, non solo sbraitando.

Ma in democrazia uno vale uno. Purtroppo, potrebbe dire qualcuno, magari pensando che i badòla (stupidi, n.d.r.) non dovrebbero avere diritto al voto.

Ma fino a quando ci saranno in Italia 5 milioni e mezzo di poveri e oltre il 10% di disoccupati, i numeri ci dicono un’altra cosa. Ci dicono che è più convincente il pifferaio magico, che distribuisce ricchezza che non ha e non produce, ma almeno fa sognare. Cosa che la classe “media riflessiva” non è capace di fare, per sè stessa e per chi dovrebbe amministrare, perché ha smarrito il senso del proprio ruolo e scappa dalle sue responsabilità.

 

 

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