COLD WAR

COLD WAR

UN MAGICO FILM DI BELLE IMMAGINI SU UN AMORE TRAGICO, COMBATTUTO DA BARRIERE POLITICHE E PSICOLOGICHE

“Nella Polonia alle soglie degli anni Cinquanta, la giovanissima Zula viene scelta per far parte di una compagnia di danze e canti popolari. Tra lei e Wiktor, il direttore del coro, nasce un grande amore, ma nel ’52, nel corso di un’esibizione nella Berlino orientale, lui sconfina e lei non ha il coraggio di seguirlo. S’incontreranno di nuovo, nella Parigi della scena artistica, diversamente accompagnati, ancora innamorati. Ma stare insieme è impossibile, perché la loro felicità è perennemente ostacolata da barriere d’ogni tipo”.(Marianna Carpi, Mymovie.it (qui)

 

Come se non avessimo tutti nostalgia delle grandi storie d’amore in bianco e nero, del comunismo dei tempi di Stalin, della ricerca etnomusicale e del jazz parigino anni 50. Ah! Se non ci fossero i comunisti a salvare il cinema… Cold War (Zimna Wojna), scritto e diretto da Pawel Pawlikowski, premiato al Festival di Cannes per la regia e dai recenti EFA a Siviglia con cinque premi, film, regia, protagonista femminile, sceneggiatura, montaggio, forte candidato all’Oscar per il miglior film straniero, incorniciato in un rigoroso e luminoso schermo in bianco e nero, è una bellissima storia d’amour fou ai tempi della Guerra Fredda, tra il 1949 e il 1964, imperdibile per cinefili d’ogni età.

Piangeranno calde lacrime seguendo i due protagonisti del film, l’elegante Victor, compositore e ricercatore musicale, interpretato da Tomas Kot, e la sua musa, Zula, contadina dalla bella voce e dal gran carattere (“mio padre una notte mi prese per mia madre, il mio coltello gli fece capire la differenza”), interpretata dalla notevole e già premiatissima Joanna Kulig, che Pawlikowski ci fece scoprire in un ruolo minore in Ida.

 

Il regista insegue i suoi eroi, realmente innamorati l’una dell’altro, attraverso i loro spostamenti in una Polonia stalinista, a Berlino Est, nella Parigi anni 50 dei fuoriusciti, nella Jugoslavia titina, fino a uno sciagurato ritorno a casa. Ma insegue anche le loro divagazioni e ricerche musicali nel corso degli anni, dalla seria ricerca folklorica sul campo, agli inni a Stalin, dalla musica da film per un piccolo horror italiano (che film sarà? aiuto…), al jazz alla polacca di Komeda.

Non è tanto lo stalinismo a mettersi di traverso al loro amore, quanto la consapevolezza del dover scendere sempre a compromessi, soprattutto artistici. Come il ricostruire in Occidente la vita di Zula, sorta di Barbara Lass musicale. Barbara Lass, anzi Barbara Kwiatowska era un’attrice polacca che scese in Italia proprio nei primissimi anni ’60, cambiandosi nome, assieme al suo marito di allora, Roman Polanski. La Guerra Fredda del titolo sembra così uno sfondo piuttosto che il protagonista della vicenda. Forse una metafora del loro amore.

Due attori meravigliosi che sarà difficile scordare, una tenuta registica perfetta, come lo era per il precedente Ida, applaudito in tutto il mondo, ma anche un meticoloso e mostruoso lavoro sulla musica, fanno di questo Cold War uno dei migliori film dell’anno che si sta chiudendo. In sala dal 20 dicembre.

Articolo di Marco Giusti per “Dagosia”

 

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