MAGRITTE, DALI’ & C

MAGRITTE, DALI’ & C

TRA DADA E SURREALISMO, I DIALOGHI DELLE AVANGUARDIE CON LA LETTERATURA– ALLA FONDAZIONE FERRERO AD ALBA ESPOSTI FINO AL 25 FEBBRAIO I CAPOLAVORI DELLA COLLEZIONE DEL MUSEO BOIJMANS VAN BEUNINGEN DI ROTTERDAM

 

Renè Magritte

Alla Fondazione Ferrero i capolavori del ’900 dalla Collezione del Museo Boijmans Van Beuningen
Nella straordinaria collezione di arte antica e moderna del Museo Boijmans Van Beuningen di Rotterdam, che va da Bosch e Rembrandt fino alla Pop Art e oltre, spicca per la sua eccezionale importanza il nucleo di opere del Dadaismo e del Surrealismo: oltre centoventi dipinti e sculture, e una preziosa raccolta di libri, foto e documenti originali. Una parte essenziale di queste acquisizioni, tra cui un buon numero di grandi capolavori, era di proprietà dell’eccentrico poeta collezionista inglese Edward James, amico e sostenitore in particolare di Salvador Dalì e René Magritte, e tra l’altro finanziatore della raffinata rivista Minotaure, principale organo dell’area surrealista che aveva rotto con Breton negli Anni 30. La mostra «Dal nulla a sogno» alla Fondazione Ferrero è incentrata su questo vasto nucleo di opere del museo olandese, esposto per la prima volta in Italia.
Il percorso espositivo, ideato dal curatore Marco Vallora (pur tenendo conto in linea di massima degli aspetti storico-cronologici) si sviluppa liberamente, attraverso nove sezioni di carattere tematico, come una fluida e immaginifica narrazione sfaccettata in cui entrano in gioco i principali elementi costitutivi dei rivoluzionari programmi teorici e operativi dei due più radicali gruppi d’avanguardia della prima metà del ’900. Vengono messi a fuoco sia gli aspetti di diretta filiazione sia quelli fortemente divergenti fra il movimento dadaista nato nel 1916 a Zurigo, durante la guerra, e capitanato dal poeta Tristan Tzara, e quello surrealista ufficialmente fondato da André Breton nel 1924 a Parigi. Dopo la fine dell’avventura dadaistanel 1922, gran parte parte degli esponenti del variegato gruppo (tra cui Ernst, Arp, Duchamp, Man Ray, Picabia) entrano da protagonisti nell’area surrealista.

Paul Delvaux

La poetica anarchica e nichilista dei dadaisti, antimilitarista, internazionalista, nemica del «buon gusto» borghese, esalta nella letteratura e nelle arti visive l’irrazionalità, la spontaneità, la provocazione, l’infantilismo ludico, e la rottura e il «détournement» di ogni schema linguistico codificato, esaltando le potenzialità creative del caso. Breton e i suoi amici imparano molto da questo attivismo (apparentemente) distruttivo e libertario, ma lavorano per innescare e sviluppare un processo di reinvenzione più costruttiva della visione del mondo, ripescando anche le forme più stimolanti e innovative della letteratura e della pittura simboliste (da Poe, Rimbaud, Lautreamont, Jarry ad artisti come Odilon Redon) e rivalutando la carica fantastica della letteratura considerata popolare come quella di Jules Verne o Fantomas. Come scrive Vallora, «ricaricano il cucù dell’immaginario», e si lasciano «invadere dai flussi rapinosi del sogno e dell’inconscio, dalla danza dionisiaca dell’imprevedibile e dell’enigma». Adepti della psicanalisi di Freud (che però li sconfessa) scandagliano i misteri e gli abissi delle pulsioni più profonde e perturbanti, di Eros e Thanatos, a livello individuale e collettivo.

Man Ray

L’esposizione scorre, per così dire, su un doppio binario. In tutte le sale, in una serie di vetrine, sono presentati libri (come Naja di Breton), foto, riviste del movimento (Litterature, La révolution surréaliste, Minotaure), e oggetti «a funzionamento simbolico» come il ferro da stiro con chiodi o il metronomo con la foto di un occhio sull’asta che oscilla, di Man Ray, e il telefono-aragosta di Dalì. E c’è ci sono anche due fondamentali lavori di Duchamp, La boîte verte e La boîte en valise. I materiali di queste vetrine accompagnano, con continui rimandi reciproci, i quadri e disegni sulle pareti e le sculture sui piedestalli, sottolineando un fatto fondamentale e cioè la stretta interconnessione fra la dimensione letteraria e quella figurativa. Emblematico in questo senso è Riproduction interdite del 1937: un uomo visto di spalle (bizzarro ritratto di Edward James) che si guarda allo specchio su cui però è assurdamente riflessa la sua immagine vista sempre da dietro. Sulla mensola sotto lo specchio vediamo, dipinta in modo iperrealistico una copia del romanzo Gordon Pym di Poe.

De Chirico

Un altro esempio di connessione fra letteratura e pittura, altrettanto affascinante e criptico, è Impression d’Afrique di Dalì, in cui le suggestioni del romanzo omonimo di Raymond Roussel (scrittore di culto per Duchamp e tutti i surrealisti) sono reinventate dal pennello metamorfico del pittore che si raffigura al cavalletto. Questi due artisti sono senza dubbio quelli meglio rappresentati in mostra: oltre a quelli citati, possiamo vedere vari dipinti eccezionali come quelli che nella sala finale rimandano agli orrori della guerra: Sulla soglia della libertà del pittore belga, con un inquietante cannone giocattolo; e España, in cui Dalì ha dipinto un terribile teschio, che con una vertiginosa «mise en abîme», è riempito in tutti i suoi fori da immagini di se stesso sempre più piccole. Tra le varie sale tematiche (che affrontano argomenti come il sogno e il doppio, il fascino dell’antico, la fisica vorticosa degli atomi, il rapporto con la cultura di massa) la più intrigante non poteva che essere quella cruciale dedicata alle fascinazioni e perversioni erotiche e sessuali, con lavori di Magritte (delle scarpepiedi con allusioni feticistiche), di Man Ray (il gesso di una Venere nuda legata con corde), la sinistra serie di foto delle Poupée di Hans Bellmer, e anche spezzoni del film L’âge d’or di Louis Buñuel.

Articolo di FrancescoPoli per Tutti libri-La Stampa

Sullo stesso tema leggi (qui) su Ninconanco

 

 

BERZEBU’

BERZEBU’

VESTIVA OSCURI COMPLETI CARACENI-SOFFRIVA DI EMICRANIA E DI PERSISTENTE DISINCANTO-STIAMO PARLANDO DI ANDREOTTI, A 24 ANNI DEPUTATO, 27 VOLTE MINISTRO E ALTRETTANTE VOLTE IMPUTATO ECCELLENTE-LA STORIA DELL’ITALIA DEMOCRISTIANA E’ TUTTA  NEL SUO SARCASMO, NELLA GENTILEZZA CHE UCCIDE, NELLA  CATTOLICA SOLIDARIETA’ VERSO I MARIUOLI.

 

Pino Corrias, autore dell’articolo

Come le mani disegnate in rosso sulle parete delle caverne ci dicono che l’ uomo del Pleistocene passò da lì, così la gobba di Giulio Andreotti incisa sul cuoio della sua sedia al Senato ci ricorda che in un tempo remoto della Repubblica siamo stati tutti democristiani – volenti o nolenti, eretti o quadrumani – lungo un’ era che gli archeologi del nostro tempo chiamano per l’ appunto Andreottiana.

Andreotti al Senato

Il capostipite era più alto di quanto oggi si possa immaginare. Aveva un pallore da sagrestia su un volto senza labbra, le orecchie aguzze, il passo veloce e scivoloso. Dormiva poco. Usciva ogni mattina all’ alba per la Messa. Faceva l’ elemosina ai mendicanti raccolti sul sagrato. Mangiava in bianco.

Vestiva oscuri completi Caraceni col panciotto. Soffriva di emicrania e di persistente disincanto. Nel raro tempo libero giocava a gin-rummy e collezionava campanelli. Nell’ ampio tempo del lavoro accumulava nemici e segreti.

I nemici li ha seppelliti quasi tutti. I segreti invece sono diventati la nostra storia e il suo leggendario archivio, nutrito per molto più di mezzo secolo, da quando la sua giovinezza fu rinvenuta tra le mura vaticane da Alcide De Gasperi, futuro plenipotenziario della Democrazia Cristiana, più o meno mentre le bombe degli angloamericani violavano il sacro suolo di Roma città aperta, estate 1943, impolverando la stola di papa Pio XII .

marcinkus andreotti ratzinger

Andreotti con Marcinkus, alle spalle Ratzinger

A 24 anni Giulio stava già nel posto giusto, tra gli inchiostri dell’ eterno potere e al cospetto della grande Storia, intraprendendone da allora i cospicui labirinti che lo condussero, tra maldicenze e applausi, a indossare 27 volte i panni di ministro, 7 volte la corona di presidente del Consiglio.

Per poi passare, a intermittenza, dalle luci dello statista alle ombre del grande vecchio, 27 volte inquisito dalla magistratura e 27 volte salvato dalle Camere che a maggioranza negavano l’ autorizzazione a procedere.

Salvo soffriggere, udienza dopo udienza, sul banco degli imputati del tribunale di Palermo, anno 1995, per il celebre bacio a Totò Riina, e poi su quello di Perugia, dove era accusato di essere il mandante dei quattro colpi di pistola con cui venne cancellato il giornalista romano Mino Pecorelli, suo acerrimo nemico, le sue imminenti rivelazioni sul caso Moro e su certi assegni finiti tra i velluti e i sughi della sua corrente, detta anche lei andreottiana.

falcao andreotti viola

Andreotti con giocatore della Fiorentina Falcao

Inciampi giudiziari mai davvero prescritti e che hanno nutrito la sua leggenda nera – passata per Piazza Fontana, i Servizi deviati, lo scandalo petroli, il Banco Ambrosiano, Gladio, la morte solitaria del generale Dalla Chiesa sull’ asfalto di Palermo – ma anche il suo fatalismo romanesco di eterno sopravvissuto al suo stesso danno: “Preferisco tirare a campare che tirare le cuoia” come recitava la sua massima preferita, che poi era anche il cuore della sua politica, talmente malleabile da rendersi disponibile a destra e a sinistra, purché immobile sotto l’ ombrello angloamericano e in cambio di un costante incasso elettorale che gli garantivano, guarda caso, i collegi del Lazio e della Sicilia.

CLAUDIO AMENDOLA E VALERIA MARINI NELLO SPOT DI TRE CON ANDREOTTI 1

Andreotti, con Claudio Amendola e Valeria Marini in uno spot pubblicitario

Oltre naturalmente alla benevolenza della Chiesa, i sette papi che conobbe in vita, lasciandosi ispirare da una fede mai troppo intransigente, disponibile all’ umano peccato purché con l’ Avemaria sempre incorporata.

“Quando andavano insieme in chiesa – scrisse Montanelli – De Gasperi parlava con Dio, Andreotti con il prete”.

 

La zia, i libri, la chiesa e la proposta al cimitero

A dispetto del molto che avrebbe intrapreso, Giulio nasce fragile il 14 gennaio del 1919. Orfano di padre, cresce cagionevole aiutato da una vecchia zia e dalla piccola pensione della madre. Fa il chierichetto e lo studente modello. Si laurea in Giurisprudenza. Alla visita militare il medico lo scarta e gli pronostica sei mesi di vita. Racconterà: “Quando diventai la prima volta ministro gli telefonai per dirgli che ero ancora vivo, ma era morto lui”.

GIULIO ANDREOTTI E ALBERTO SORDI NE 'IL TASSINARO'

Andreotti con Alberto Sordi nel Tassinaro

Diventa sottosegretario con De Gasperi nel 1947, entra in Parlamento l’ anno dopo. Ci rimarrà per sempre.

Sotto ai suoi governi è nata la Riforma sanitaria, è stato legalizzato l’ aborto, firmato il Trattato di Maastricht. E dentro alla sua ombra l’ Italia è diventata un Paese industriale, alfabetizzato, un po’ più europeo, un po’ meno cialtrone, al netto del clamoroso debito pubblico e delle quattro mafie. A trent’ anni si sposa, dichiarandosi a Donna Livia “mentre passeggiavamo in un cimitero”.

ratzinger andreotti

Andreotti con Ratzinger

 Avrà quattro figli. Una sola segretaria, la mitica Enea. Una sola vocazione: “Non ama le vacanze – dirà la figlia Serena – non ama il mare, non ama le passeggiate. La verità è che se non fa politica si annoia”. Amici scomodi e nemici uccisi sempre col sorriso Diventandone il prototipo incorpora tutti i pregi e i difetti dei democristiani. Conosce la pazienza e la prudenza. Uccide gli avversari con estrema gentilezza e sorride per buona educazione. È in confidenza con Kissinger e ammira Arafat.

andreotti de gasperi

Un giovane Andreotti davanti alla foto di Alcide De Gasperi

 Si commuove alla morte di Paolo VI e a quella di Alberto Sordi, che poi sarebbero il sacro e il profano della sua esistenza. Maneggia il potere in silenzio, come un gioco di prestigio. E i cattivi come fossero i buoni. Tra i banchieri d’ avventura predilige il piduista Michele Sindona, quello del crack della Banca Privata, a cui aveva appena conferito il titolo di “salvatore della lira”, per poi guardarne imperturbabile il naufragio dentro a un caffè avvelenato, nella cella singola di San Vittore, detenuto per l’ omicidio di Giorgio Ambrosoli.

Andreotti con Berlusconi

Non ha amici, ma soci momentanei di cordata, mai Fanfani e De Mita, qualche volta Forlani, più spesso Cossiga che lo nominerà senatore a vita. Educa Gianni Letta a fargli da scudiero per poi affidargli il giovane pupillo piduista Luigi Bisignani. Tutti i suoi sottocapi sono tipi da prendere con le molle: Vittorio Sbardella, detto “lo squalo” mastica per lui il Lazio. Ciarrapico è il re del saluto romano, delle acque minerali e degli impicci da sbrogliare. Franco Evangelisti è il faccendiere di “A Fra’ chette serve?”. Cirino Pomicino, detto “‘O ministro” digerirà a suo nome 42 processi e 40 assoluzioni.

E naturalmente Salvo Lima, il suo alter ego in Sicilia, morto sparato tra i cassonetti di Mondello per ordine dei corleonesi, la mattina del 12 marzo 1992, alba della stagione delle stragi.

Andreotti con Aldo Moro

Esecuzione che cancellò il suo unico sogno inconcluso, quello di salire al Quirinale, indossare finalmente i panni di presidente della Repubblica e (forse) sistemare gli scheletri del suo notevole armadio. Cominciando dallo scandalo fondante, anno 1963, il tentato golpe di un certo generale De Lorenzo, capo dei servizi segreti, e la scomparsa dei fascicoli che aveva accumulato sui protagonisti della vita pubblica italiana. Archivio quanto mai avvelenato e formidabile arma di ricatto che proprio Andreotti, all’ epoca ministro della Difesa, era incaricato di distruggere. E che invece sarebbe riemerso nelle molte nebbie future e persino nei dossier di Licio Gelli, il finto o vero titolare della loggia massonica P2 , forse a fondamento di un suo potere sussidiario esercitato per conto (proprio) di chi li aveva maneggiati per primo.

andreotti de gasperi

Da Moro agli anni di B.:è lui il capo dei diavoli “Livido, assente, chiuso nel suo cupo sogno di gloria”, gli avrebbe scritto Aldo Moro dalla prigione brigatista, colmo di rancore e di rassegnazione per il nulla che il governo di solidarietà nazionale riuscì a fabbricare nei 55 giorni impiegati da Mario Moretti a eseguire la sentenza.

Bettino Craxi lo battezzo Belzebù, il capo dei diavoli.

Lo temeva e forse lo ammirava, ma non imparò nulla dalla sua quieta imperturbabilità nelle aule di Giustizia e una volta inquisito da Mani pulite, strillò così tanto, da dichiararsi colpevole, pretendere l’ impunità e finire latitante.

A differenza di quasi tutti, Andreotti non si lasciò sfiorare dalla volgarità delle tangenti, che lasciò volentieri alle mandibole dei suoi.

 

Né dall’ incantesimo delle notti romane. Una sola volta una nobildonna provò a trascinarlo sulla pista da ballo: “Non ho mai danzato con un presidente del Consiglio”, gli disse lei leziosa. “Neanch’ io” rispose lui secco, allontanandosi.

Non capì il bianco e nero di Berlinguer e non prese mai sul serio i troppi colori di Berlusconi. Sopravvisse alla morte della Dc e di due repubbliche. Scrisse migliaia di pagine senza mai rivelare un segreto. Sembrava eterno. Sembrava un destino. Invece anche lui, uscendo di scena a 94 anni, incollato alla sedia e in piena luce, è diventato un altro anniversario del nostro buio.

Pino Corrias per ”il Fatto Quotidiano

 

IL MONDO FATTO A NAZIONI

IL MONDO FATTO A NAZIONI

Una scelta coraggiosa dell’ editore Rubbettino propone finalmente ai lettori italiani la traduzione del volume Nazionalismo banale, scritto dallo psicologo sociale britannico Michael Billig più di due decenni fa. La pubblicazione colma una lacuna nello scaffale degli studi più influenti prodotti in quegli anni attorno al fenomeno storico delle nazioni, assieme alle opere di Eric Hobsbawm, Benedict Anderson, Ernest Gellner tra gli altri.

MICHAEL BILLIG

MICHAEL BILLIG

La tesi di Billig, esposta con buona dose di provocazione e humor, è che la persistenza del nazionalismo nella storia non sia da addebitare tanto alle fasi in cui esso è più rumoroso e distinguibile nel dibattito politico, quanto a quelle in cui la sua riproduzione quotidiana è affidata a simboli e rituali talmente innocui e abituali da passare ormai inosservati. È questo, conclude Billig, che fa considerare implicitamente il «mondo di nazioni» nel quale siamo abituati a vivere come un ordine naturale senza alternative.

Uscito a metà degli anni Novanta in piena dissonanza con la retorica della «globalizzazione» come cifra della storia, Nazionalismo banale acquisisce una valenza persino profetica ai nostri giorni, in cui preoccupanti espressioni di un nazionalismo oltranzista, ancorché declinato in termini differenti a seconda dei contesti, tornano a condizionare il dibattito e le scelte della politica. Dell’ attualità delle sue tesi e della nuova ondata nazionalista «la Lettura» ha discusso con l’autore.

MICHAEL BILLIG - NAZIONALISMO BANALE

La copertina di Nazionalismo banale di MICHAEL BILLIG

Professor Billig, quando «Banal Nationalism» fu pubblicato più di vent’anni fa, Francis Fukuyama e altri come lui presentavano la «globalizzazione» come fine della storia, e dunque anche del nazionalismo. Il suo libro al contrario avvertiva non soltanto come quest’ultimo stesse sopravvivendo sotto la superficie, ma che proprio le nuove divisioni sociali generate dalla globalizzazione rischiavano di alimentarlo. L’attuale rinascita del nazionalismo conferma la sua tesi o siamo di fronte a un fenomeno nuovo e imprevedibile?

«La tesi di Banal Nationalism era che, finché continueranno a esistere gli Stati nazionali, esisterà anche il nazionalismo, perché l’ideologia del nazionalismo include quelle credenze e pratiche che fanno sembrare il mondo degli Stati nazionali come assolutamente normale. Quel mondo ha continuato a esistere; di conseguenza, non dovrebbe sorprendere che altrettanto abbia fatto il nazionalismo.

Certamente quest’ ultimo può assumere forme diverse, dai movimenti improntati a un “nazionalismo caldo”, votati a cambiare le frontiere o a perseguire un’ interpretazione aggressiva dell’ interesse nazionale, alle forme “fredde” che all’ apparenza sembrano meno ortodosse, ma si fondano comunque sugli interessi degli Stati nazionali.

trump e obama

I presidenti USA Trum e Obama

Dunque non direi che il fenomeno sia rinato, dal momento che non è mai scomparso. È sempre stato sul punto di erompere, ad esempio durante l’invasione statunitense dell’Iraq o nei conflitti per dar vita a nuovi Stati nazionali in seguito al crollo dell’impero sovietico. Donald Trump può aver guadagnato elettori con lo slogan make America great again, ma i suoi predecessori, incluso Barack Obama, hanno normalmente definito gli Stati Uniti come “una grande nazione” e hanno appuntato piccole bandiere sulle loro giacche. Indubbiamente la situazione odierna è imprevedibile, ma questo non significa che siamo di fronte a qualcosa di interamente nuovo. Di certo possiamo prevedere che lo Stato nazionale non sia destinato a scomparire. vent’anni fa alcuni “globalisti” ci credevano: oggi sono davvero in pochi».

Lei insiste sull’origine dialettica del nazionalismo, sulla «tradizione dell’argomentare» che lo sostiene, sul discorso politico come elemento fondamentale della sua riproduzione quotidiana. I nuovi media e l’informazione digitale hanno cambiato questi processi di costruzione dialettica e in generale l’espressione del nazionalismo?

«Ogni ideologia si fonda su una tradizione dell’ argomentare. Nel caso del nazionalismo, ciò include una fede professata apertamente nel carattere della “nostra” nazione come delle altre. Il nazionalismo include anche assunti che sono dati talmente per scontati da venire raramente giustificati o criticati.

Oggi il mondo degli Stati nazionali è considerato normale, “naturale”. I movimenti politici possono dichiarare che alcuni specifici Stati nazionali debbano esistere o meno, ma raramente oggi qualcuno sostiene che non debbano esistere gli Stati nazionali in quanto tali. Questo è il contesto nel quale operano i nuovi media.

Certamente essi hanno un’influenza enorme sulla comunicazione moderna e ne hanno promosso il carattere transnazionale. Tuttavia, non credo che essi stiano erodendo gli stessi confini nazionali e che stiano favorendo l’emersione di un tipo completamente diverso di universo politico, fondato su comunità globali. Certamente non si può escludere che in futuro le comunicazioni globali spingano gli Stati nazionali a scomparire, ma al presente i due fenomeni sembrano coesistere».

«Populismo» è la categoria oggi più discussa da scienziati politici ed esperti in generale per inquadrare l’ ascesa in Occidente di nuovi movimenti fondati su una retorica identitaria, etnica ed escludente («noi contro loro»). Che rapporto c’è tra il nazionalismo tradizionale e il populismo odierno?

populisti d europa riuniti

Populisti europei riuniti

«È facile considerare il populismo come qualcosa di completamente nuovo, ma ci sono continuità con il passato. Trump, ad esempio, sembra avere uno stile molto diverso dai predecessori e fa appello a chi si sente escluso dalle cosiddette élite. Eppure ha dei precedenti. Per esempio Trump condivide molte caratteristiche personali e politiche con Silvio Berlusconi.

In Europa abbiamo visto una crescita di antieuropeismo, ma certamente in Gran Bretagna ce n’ era molto anche cinquant’ anni fa, soprattutto a sinistra. Ciò a cui assistiamo può essere pericoloso, ma non interamente nuovo, almeno nello specifico dei singoli casi. Tuttavia, ciò che può essere diverso è la crescita simultanea di politiche populiste in così tanti posti diversi – Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Svezia, eccetera. Ovunque volgiamo lo sguardo nel mondo economicamente sviluppato, vediamo l’ esistenza di movimenti populisti che danno voce ostentatamente a richieste nazionaliste».

Populismo webLei esorta il lettore a notare «lo sbandieramento costante del nazionalismo», anche in tempi in cui il fenomeno è dissimulato. Oggi i simboli del nazionalismo sono mostrati in modo aggressivo contro l’immigrazione, la «tecnocrazia europea», i complotti di nemici invisibili e quant’ altro. Quale dovrebbe essere l’atteggiamento delle élite culturali o semplicemente dei cittadini consapevoli per affrontare questa tendenza?

«In realtà, la tesi di Banal Nationalism non è che i simboli del nazionalismo siano dissimulati, ma che al contrario essi siano sempre apertamente visibili – come lo sono sugli edifici pubblici, sui francobolli, sulle banconote che spendiamo. Questi simboli sono talmente evidenti da non essere nemmeno più notati, in quanto costituiscono lo scenario comune del mondo in cui viviamo indipendentemente dalla nostra appartenenza nazionale. Oggi le forze populiste sventolano consciamente e deliberatamente le bandiere nazionali, specialmente quando fanno campagna contro immigrati e stranieri.

populismoChiedersi cosa possano fare le “élite culturali” ci porta forse a confrontarci con una parte del problema: forse le élite non possono risolverlo perché potrebbero essere parte del problema stesso. Il senso di disaffezione di chi si sente trascurato è reale. Talvolta la disaffezione ha una dimensione regionale, in quelle aree in preda al declino industriale e agricolo che si sentono dimenticate dalle cosiddette élite metropolitane.

Potrebbe non essere un caso che la crescita del populismo e il nazionalismo apertamente aggressivo prendano piede in una fase di incremento delle diseguaglianze sociali ed economiche. Le nazioni dell’ Occidente sono sottoposte a tensioni nel momento in cui i super-ricchi lo diventano ancora di più mentre i poveri vivono tempi di crescente insicurezza. È un processo che non sembra limitarsi a poche nazioni».

Esistono soluzioni praticabili per uscire da queste difficoltà delle democrazie contemporanee?

«Se questa analisi è corretta, allora possiamo concludere che il neoliberismo globale sta producendo la reazione del populismo nazionale. La soluzione è almeno in parte economica. Il divario tra ricchi e poveri dovrebbe essere fortemente ridotto, innanzitutto con la tassazione, con una distribuzione più equa della proprietà e con una sicurezza lavorativa ben maggiore per chi è più indifeso. Se questo dovesse accadere, allora le società o piuttosto gli Stati nazionali diventerebbero più omogenei economicamente e quindi socialmente. A quel punto, le tensioni che oggi sembrano così pericolose potrebbero iniziare a scemare».

Articolo di Giovanni Bernardini per “la Lettura – Corriere della Sera”

 

 

UNA TELEFONATA IMPOSSIBILE

UNA TELEFONATA IMPOSSIBILE

 

 

Dopo cena scendevo al bar, mi chiudevo nella cabina telefonica col mio mucchietto di gettoni davanti e formavo il numero, in un rito delizioso, in attesa di sentire la tua vocina dolce, dolce. Quella sera le cose andarono diversamene, perché fatto il numero rispose una voce maschile, grave e in lingua straniera: der spricht  doktor Freud.

Freud?,…. Ma non è il numero di …….. ?

-Nein ,No!, qui parla il dr. Freud, Vienna.

Ma guarda un po’… che strano… ero certo di avere fatto il numero giusto…

-Forse avete creduto di farlo

Ma, sarà come dice lei. Chiedo scusa,… buonasera..

-No, no! Aspetti un po’, nella sua voce oltre alla esitazione della sorpresa sento una strana nota..

Una strana nota?

-Sì, una esitazione esistenziale, un non so che di irrazionale…

Ma, non saprei… stavo telefonando alla mia ragazza, sa….

-Ah, lo dicevo io!

Come?

-Scommetto che lei è in una fase di sublimazione platonica dell’impulso libidico.

Che cosa?.. Cosa ha detto?

-Sì, insomma, in parola povere lei è innamorato.

Beh, sì.

-Cosa le dicevo, sono troppo evidenti i sintomi della patologia.

Ma quale patologia, io sto benissimo! Mai stato così bene….. solo un po’ di malinconia.

-Vede, vede, è lei stesso che, senza volerlo presumo, me ne sta illustrando i sintomi. Non mi meraviglia che con si renda conto del suo stato, è una forma schizoide assai diffusa, purtroppo. Pochi ne sono immuni: i bambini, i pazzi, forse qualche vecchio studioso come me…. I bambini si fermano alla fase anale, i pazzi hanno la psiche tanto dissociata che gli impulsi libidici non raggiungono l’ego, …

E i vecchi studiosi?….

-Sorvoliamo, sorvoliamo…. l’antidoto…. I libri….. troppo complicato.

Senta, io non ci sto capendo niente. Insomma, di che male dovrei soffrire io, secondo lei?

-Giovanotto, adesso sta passando i limiti! Crede forse davvero che uno psichiatra come me, il fondatore della psicoanalisi, si metta a sparare diagnosi per telefono?… Come un medico della mutua o un farmacista?

Mi scusi, non volevo offenderla.. il fatto è che io di queste cose che lei dice ci capisco poco, anzi niente. Certo che lei mi ha messo dentro un dubbio, adesso, a pensarci bene, forse non sto tanto bene, mi sento strano, in effetti.

-Da quanto tempo le succede? Si metta comodo, si distenda, si rilassi prima di rispondere.

Si distenda?… guardi che le sto parlando da una cabina telefonica.

-Oh, che sbadato. Deformazione professionale! Ho associato la sua immagine con quella dei miei pazienti. Vede che strani, occulti, misteriosi ed intricati legami la psiche costruisce dentro ognuno di noi…

Be, per risponderle, vediamo, da circa tre anni.

-Macchina!

Come?

-Macchina!, su!, mi risponda con la prima parola che le viene in mente.

Fiat 1100

-Macché, nein, nein!

Ho detto qualcosa che…..? Ho giusto portato oggi dal meccanico la mia 1100…

-Vede, vede! Lei non collabora. Fra paziente e psicoanalista ci va collaborazione, Kollaboration.  Lei non deve pensare a niente, si distenda, si distenda…

Va bene….

-Dunque non l’ha incontrata in macchina, bene!

Chi, scusi?

-La sua donna, chi sennò!

Ah,… no, no! Al cinema, ero seduto nella fila davanti alla sua e siccome sono alto (sono molto prestante, modestamente), mi pregò di spostarmi perché non ci  vedeva.

-Interessante… interessante. Introspettivamente l’uomo che si alza diventa l’immagine gratificante del padre…

Come dice?

-Senta, lei fa spesso sogni?

Sì, sissì, non è mica grave?

-Nein! Ma che dice? Il sogno è la vera vita dell’uomo, la sola che possieda una logica ineccepibile, una corrispondenza subliminale con l’inconscio immenso del mondo, con l’equilibrio assoluto ed eterno che è la psiche universale. Si può forse interpretare, ridurre ad un senso, ad una ragione o fine questa agonia quotidiana che è la vita fisica? I sogni! I sogni sì! I sogni sono un libro aperto dove nasce la radice di tutto, del senso di ogni cosa….. Ma adesso si rilassi, si rilassi e mi racconti dei suoi sogni…

Ecco, io un sogno ricorrente ce l’ho. Non so se definirlo sogno o incubo. Mi immagino di trovarmi in mezzo al suono, ad una luce abbagliane. Cammino, ma non so dove vado, ma cammino e mentre cammino sento i passi appesantirsi, come se fossi in mezzo al fango, sensazione questa rafforzata da una puzza di acqua stagnante, putrida. Come una carogna in putrefazione in uno scolo d’acqua. Brrr, non bello vero?

-Continui, prego, non ci sono sogni belli o brutti, ci sono solo sogni.

Ad un certo punto mi trovo davanti un muro, o almeno penso sia un muro, ma non lo vedo. Poi sento una voce di donna, poi mi pare di intravvederla nella nebbia, nel frattempo caduta fitta, fitta. Mi sembra chiusa in un pastrano verde, come una divisa, infatti sulle spalle vedo delle mostrine militari. Si sta rivolgendo a me, da non so dove, ma parla con me, mi chiede qualcosa, una sola parola mi giunge chiara, stentorea: biglietti!

Meccanicamente mi tocco le tasche, mi frugo, ma non ho più tasche, non ho biglietti, sono nudo.

Sorrido verso la nebbia, dove mi pare di scorgere il luccichio di un occhio. Biglietti!! -ripete quella voce- qui senza biglietto non si entra- aggiunge questa volta.

Mi sento inondare di sudore, tremo e la stanchezza mi piomba addosso come un macigno, facendomi barcollare e piegare le gambe. Sono in ginocchio, mezzo affondato nel fango, sento che qualcosa mi sfiora le gambe, qualcosa di viscido e guizzante che con una scia luminosa sparisce lontana.

Un’ombra si materializza dalla nebbia, è lei, con i suoi gradi luccicanti, indossa una camicia scollata, sento l’afrore che sale dai suoi seni, si china su di me. Nel silenzio assoluto estraggo una pistola e l’uccido…. Mi rialzo tranquillo, riposato, il buio diventa opalescente e prende i colori cangianti di un acquario, c’è silenzio e tepore……

-Poi?

A questo punto, di solito, mi sveglio.

-Ummh, ummh, complesso e elementare insieme…

Dottore, sono grave?!

-Caso elementare, sehr geehrter Herr, ma interessante. Quanto al suo stato di salute…. ma….

Come…. ma..? Non sa dirmi niente di più che…. ma?

-L’interpretazione dei sogni è scienza difficile, ma precisa, direi incontrovertibile nelle sue diagnosi!

Cioè?

-Cioè, cioè,…. Tutti cosi! Giovanotto, mi ha preso per uno che guarda i fondi di caffè per divinare… e poi non è nemmeno un mio paziente.. sono cose lunghe e difficili….

Cos’è lunga e difficile….?

-….. poi la sua non collaborazione, …. il rapporto psichiatrico…..

Dr. Freud! non mi può lasciare così, dopo avermi trattenuto, le ho raccontato anche i miei sogni! Mi dica qualcosa!

-Giovanotto, non capisco questa sua insistenza. Sono venuto a rispondere che ero a tavola. Ho ospiti il barone Von Heiderman e la contessa Clarissa Jung… non posso farli aspettare oltre, lei capirà..

Dottore, lei non può  lasciarmi così… mi permetta, a questo punto sono io che devo richiamarla ai suoi doveri professionali…..

-Ma che dice? Lei non mio paziente, non la conosco… è…è  un… intruso telefonico, per così dire.

Dr. Freud, non si nasconda dietro a dei formalismi. E’ stato lei a trattenermi, lei a chiedermi dei sogni, lei a parlare di patologia, ….. isteria, o che cosa ne so io…..!

-Ma che isteria! Neurose o detto… nevrosi!

Appunto, appunto nevrosi… e dunque?

-Dunque, per finirla lì, caro signore, visto che insiste: lei soffre di una forma di nevrosi da scarica libidica introversa aggravata da note fobico ossessive di castrazione.

Dottore, si spieghi una buona volta!!

-Il sogno parla chiaro, a causa di chissà quali traumi dell’infanzia lei è rimasto ad una fase di sviluppo psico sessuale che nei miei trattati ho definito anale….. lei si succhia il dito la notte?

Si!

-Vede!, lei è terrorizzato dall’idea del contatto con l’altro sesso, presenta  tutti i sintomi della regressione che le impedisce il rapporto sessuale.

Ma, per la verità… nella pratica.. mi riesce molto bene!

-Tutto apparente…apparente, giovanotto, mi creda. Lei è sotto la censura inesorabile del super-io, altro che ..mi riesce bene… ci vuole altro! Sto parlando dell’inconscio, dell’inconscio, capisce! nelle cui profondità avviene quella dissociazione dalla realtà di cui non può essere consapevole… perché malato! Come volevasi dimostrare.

Impedire il rapporto sessuale?…. ma non credo…  a me piace, dottore!

-Giovanotto, non mi interessano la sue prestazioni genito-labbiali, altro non sono che l’irrazionale risposta alla sua angoscia di kastration, .. castrazione.

Come?

-Per fale capire meglio, una volta per tutte: lei è come un impiccato… con quelle sue…prestazioni non fa altro che stringere maggiormente il nodo scorsoio che ha intorno al collo, se così posso metaforicamente rappresentare una psiche tormentata come la sua. Ma tornando al sogno: il viaggio è la crescita psicologica, il fango lo inchioda nella fase puberale, la donna del sogno rappresenta sua madre che deve uccidere per liberarsi dalla pulsione simbolica dall’incesto, l’acquario finale caldo e avvolgente non è che un ritorno alla protezione della placenta….

Scusi, scusi…. dottore: incesto!?

-Incesto, incesto, mio caro, non si scherza! Nel sogno è una bigliettaia, è ovvio. Ma, dove cerca il biglietto d’ingresso? Nei pantaloni, elementare rappresentazione simbolica del fallo; e poi di che ingresso si parla se non quello agognato: l’eterno ritorno alle origini, l’eterno ritorno dell’eguale!

Sicché, in potenza spero, io sarei un incestuoso e assassino?.

-No!, lei è un suicida in potenza! Si liberi delle donne, non c’è altra maniera, creda a me.

Ma come.. mi chiede di….?!

-Mi riferisco, ovviamente al simbolo-donna, alla dimensione femminea della realtà secondo la logica borghese che il suo super-io le impone prosperando sui traumi dell’infanzia. Werde frei,.. si liberi… si liberi!

Ma, io mi libero… eccome se mi libero!

-Libera psiche  in libero sesso, per liberare la prima bisogna liberare il secondo. Lo dice anche Clarissa mentre mi sta sotto e gode… cioè, no.. ich wollte dir sagen…

Come?…..

-Ummh, ummh,  la contessa Jung… contessa, contessa! ,no.. non proprio sotto, volevo dire……ecco il mio amico Jung…

Voleva dire..? Pronto, pronto… dr. Freud?! E’ in linea.. dr. Freud…. Silenzio e poi un clik.

Dalla porta della cabina un giovane sbraita: è mezzora che è al telefono, ma che cosa ha da dire di così urgente? Qui c’è la coda-mi dice indispettito.

Già, cosa c’è da dire? Esco imbambolato e ordino un caffè, forte, molto forte.

 

 

 

 

 

 

VIANDANZA

VIANDANZA

 

VOGLIO DESIDERARE E NON TEMERE IL MONDO E IL MIO FUTURO- VIANDANZA, IL NUOVO LIBRO DI LUIGI NACCI, CI ACCOMPAGNA NEL VIAGGIO LUNGO LE ANTICHE VIE DEI PELLEGRINI DELLA FEDE, MA SOPRATTUTTO DENTRO NOI STESSI.

 

Luigi Nacci, Lei è autore del libro Viandanza. Il cammino come educazione sentimentale edito da Laterza, nel quale ci accompagna in un viaggio emozionante lungo due percorsi frequentati da secoli dai pellegrini d’Europa: il cammino di Santiago e la Via Francigena. Da cosa nasce l’interesse crescente per quelle vie? Perché oggi si percorrono?
Prendo spunto dal titolo di un libro di Miguel Benasayag e Gérard Schmit, L’epoca delle passioni tristi. Nel frontespizio della mia copia avevo appuntato al termine della lettura alcune frasi: voglio poter desiderare il mio futuro; voglio poter desiderare il mondo e insegnare a desiderarlo; non voglio temere né il mondo né il futuro. Credo che il rinnovato interesse per i due maggiori itinerari storici europei abbia a che fare con quelle riflessioni. Abbiamo bisogno di uscire dal materialismo e dal consumismo che riempiono i nostri spazi e le nostre giornate, mettere i piedi in vie lungo le quali altri milioni prima di noi hanno camminato, farlo con pochi oggetti, con poche sicurezze e molte domande, essere diretti verso una meta riconoscibile, sperare di arrivarci, avere la sensazione di essere parte di un progetto, non avere paura di svegliarci e andare per il mondo, fare e vedere qualcosa di nuovo ogni mattina, andare a riposare senza frustrazioni, soprattutto immaginare moltissimo ad occhi aperti. Sono vie che ci parlano dai tempi passati e dal futuro, e sono pienamente europee. Percorrendole si comprendono le ragioni che potrebbero unirci anziché dividerci.

” I viandanti vanno in cerca di ospitalità/Nei villaggi assolati/E nei bassifondi dell’immensità/E si addormentano sopra i guanciali della terra/Forestiero che cerchi/ La Dimensione insondabile” Franco Battiato, I Nomadi

Attraverso quali magnifici paesaggi si snodano i due percorsi?
I paesaggi esteriori sono variegati e in qualche modo speculari. Alpi e Pirenei, altipiani delle mesetas e pianura padana, colline toscane e galleghe. La differenza sta nel grado di antropizzazione, molto più alto in Italia che in Spagna. Ma più stravolgente è lo scenario interiore. Il cammino ci insegna che non ha importanza essere nelle crete senesi o nella periferia industriale di Burgos. Anche attraversare a piedi una discarica può essere un gesto rivoluzionario per noi stessi se non ci limitiamo alle sollecitazioni del corpo. Se ho scritto questo libro – e il precedente, Alzati e cammina – è per analizzare i movimenti interni, non le questioni fisiche. I manuali che consigliano l’attrezzatura o gli allenamenti sono utili ma non bastevoli: come tentare di aggiustare ciò che si è rotto da qualche parte dentro di me? Come rispondere alle domande che la strada mi ha posto? Come essere all’altezza dei propri sogni? Domande su domande, più numerose delle salite. Domande come sassi che occupano i nostri paesaggi interiori. Pietraie. Fa più male trovarsi lì che tra i rifiuti di un agglomerato suburbano degradato.

Via Francigena

La Via Francigena e la strada per Santiago sono adatte a tutti?
Per tutti, nessuno escluso. Il cammino è di tutti o non è di nessuno. Il grande Edmond Jabès, in un’opera che ogni viandante dovrebbe portare con sé, Il libro dell’ospitalità, scrive: «Non chiedere la strada a chi la conosce, ma a chi, come te, la cerca». Questo è il punto. Avviarsi come diceva Walt Whitman per la strada aperta a piedi e con il cuore leggero. Per andare a cuore leggero e per cercare i cercatori non serve essere degli atleti. Ho conosciuto viandanti fantastici senza una o due gambe, in carrozzella, con le stampelle, con i bypass, obesi, malati gravi, malati terminali. Non posso scordare la loro caparbietà e i loro sorrisi. La strada è la chiave della democrazia, della lotta, della libertà, della trasformazione, della solidarietà, della gioia, della fatica che si fa pane. Tutti hanno il diritto di provarci, ciascuno secondo le proprie possibilità, e non solo per andare a Santiago de Compostela o a Roma. Ciò che cerco di rendere evidente nel libro è la forza di un’esperienza che può avere luogo ovunque e alla quale chiunque può partecipare.

Quale lezioni di vita possono offrire le due esperienze?
Ripeto, non importa andare a Roma o a Santiago. Ma se si è intenzionati a farlo consiglio di andarci la prima volta in estate, quando c’è la massa. Sembrerà un paradosso, ma è in mezzo alla calca, nei rifugi e nei sentieri affollati, nella mancanza di silenzio che si impara forse ancora di più. La convivenza, la tolleranza, la pazienza, il riuscire a concentrarsi nel frastuono, la ricerca della propria via nella confusione delle tracce altrui. Oggi si dice che il Camino de Santiago sia una moda. Bene, andate a vedere con i vostri occhi. In agosto, quando potete incontrare mille pellegrini al giorno in una tappa. Provate a centrarvi, sforzatevi di non lamentarvi, poi chiedetevi come possa esistere una moda di mille anni. Deve necessariamente esserci altro. Andate a capire che cos’è.

Luigi Nacci

Lei è stato il fondatore del Festival della Viandanza: in una società come la nostra, perché è importante riscoprire la viandanza?
La viandanza è più del cammino. C’è l’andare, il fermarsi, il partire, il ritornare a una casa che non è più la casa che abbiamo lasciato, l’incontro con l’ignoto, il ripensamento del domestico, il nostro lato nomade che torna ad affrontare quello stanziale. È una vita diversa, in cui ciò che abbiamo accumulato non conta, né possono avere posto il potere, la sopraffazione dell’altro, la competizione. L’immenso Henry David Thoreau nei suoi scritti ci spinge a svegliarci, a badare all’essenziale, a non aspettare di avere una visione chiara per intraprendere una vita migliore. Di pensatori come lui abbiamo bisogno per metterci sulla strada della viandanza. Andare verso l’utopia con poche parole, ma il più possibile esatte. Viandanza è una parola bellissima.

 

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