LO SBANDO DEI PARTITI

LO SBANDO DEI PARTITI

Il ruolo dei partiti strumento essenziale della democrazia, non sono essi stessi democratici: hanno una base più ristretta e non consultano gli iscritti. Tuttavia allungano le loro mani sullo Stato.

C’erano un volta i Partiti, da una parte, e le Istituzioni dall’altra. Dal basso gli iscritti, cittadini impegnati a discutere del proprio destino, dall’altra il Parlamento e un governo in rappresentanza di tutti. Poi venne la crisi della Prima repubblica, Mani pulite, la fine dei partiti. Con questo bel risultato, lucidamente riassunto in questo articolo da un serio e competente costituzionalista.

Sono pochi i partiti che tengono, alle scadenze previste dagli statuti, i loro congressi. Ad esempio alcuni parlamentari di Fratelli d’Italia hanno lamentato che l’ultimo congresso si è svolto nel 2017. Lo statuto di Fratelli d’Italia, del 2019, prevede, all’articolo 9, che il congresso nazionale «discute e determina l’indirizzo politico del movimento» ed è convocato in via ordinaria ogni tre anni. L’articolo 11 dello statuto prevede che FdI abbia anche un’assemblea nazionale.

Questa è composta da eletti da parte del congresso, che «indirizza l’azione politica del movimento» ed è convocata ogni sei mesi. Non sappiamo quanto tempo fa si è svolta l’ultima adunanza dell’assemblea nazionale, ma sappiamo che la principale forza politica di governo — come la maggior parte dei partiti — non ha discusso e determinato, nelle forme previste dal suo statuto, il proprio indirizzo politico da numerosi anni.

Questo non avviene solo in quel partito. È fenomeno che si verifica in quasi tutte le forze politiche.

Se si aggiunge che gli iscritti ai partiti erano una volta l’8 per cento della popolazione, mentre sono ora solo il 2 per cento, si comprende chiaramente che i partiti, lo strumento essenziale della democrazia, non sono essi stessi democratici: hanno una base più ristretta e non consultano i propri iscritti.

Tuttavia, i partiti, più deboli ed oligarchici sono, più allungano le loro mani sullo Stato. L’ultimo decreto-legge del governo, numero 105, pubblicato il 10 agosto scorso, prevede una radicale riorganizzazione del ministero della Cultura e dispone che «gli incarichi dirigenziali generali e non generali decadono con il perfezionamento delle procedure di conferimento dei nuovi incarichi». Quindi, il governo di destra riprende e amplia oltre ogni limite un sistema introdotto dalla sinistra, prevedendo nuove nomine non solo dei dirigenti generali, quelli apicali, ma di tutti i dirigenti, generali e non generali, di prima e di seconda fascia. Il nefasto sistema chiamato delle spoglie, secondo il quale il bottino spetta al vincitore, viene portato alle estreme conseguenze, consentendo la modifica di tutti gli incarichi dirigenziali dell’intero ministero. Sarà, quindi, difficile aspettarsi ora competenza e imparzialità da persone la cui nomina è rimessa all’arbitrio del corpo politico, che saranno forse scelte per affinità politica, e non secondo i criteri dettati dalla Costituzione.

La prima conclusione è che la maggiore pervasività del corpo politico si realizza quando questo ha minore appoggio nel Paese, considerato il numero degli iscritti, e minore vita democratica interna, considerata l’assenza di congressi recenti.

Questo non è l’unico ossimoro dello stato presente della politica. La ricerca continua di consenso impone agli eletti — siano essi di destra, siano essi di sinistra — una presenza continua nello spazio pubblico. Quindi, i media sono invasi da dichiarazioni di leader e maggiorenti di partito, dichiarazioni dietro alle quali non vi sono dibattiti congressuali, contrapposizioni di idee, consultazioni con gli iscritti al partito.

Questa politica declinata al quotidiano nasconde un vuoto di proposte che consistano in programmi e prospettino futuri possibili. Di tale debolezza sono prova l’affannosa ricerca di risorse finanziarie, la perenne tensione con l’Unione europea per ottenere il consenso ad aumentare il debito pubblico, l’importanza assunta dalle decisioni annuali di bilancio, intorno alle quali ruota il dibattito per almeno sei mesi ogni anno, il carattere spartitorio della politica.

Intanto che tutto questo accade, si verificano modificazioni radicali del nostro ordinamento, come lo spostamento della funzione legislativa dal Parlamento al governo. Questo fenomeno si accentua nella seconda parte dell’anno, sia perché il bilancio può provenire solo dal governo, sia perché gli esecutivi usano ormai da parecchi anni prendere la decisione di bilancio riservando un apposito fondo alla libera disponibilità di tutti i gruppi parlamentari, per conquistarsene il consenso. Ma tutto ciò accade senza che le ripetute denunce fatte dagli uffici parlamentari trovino echi nelle forze politiche.

Bisogna riconoscere che nessuno pensava che un governo stabile, da comitato direttivo della maggioranza parlamentare, potesse assumere esso stesso la funzione principale della maggioranza parlamentare, quella di adottare le leggi. Ma questo accade, e dovrebbe attirare l’attenzione del personale politico, spingendolo a cercare rimedi. Dovrebbe preoccupare, in particolare, le forze di opposizione, a cui viene sottratta l’arena del dibattito, la possibilità di esercitare una influenza, in ultima istanza la dialettica democratica. Dovrebbe essere al centro della discussione pubblica, spingere a individuare cause e adottare correzioni. Invece, ci si accontenta del tweet quotidiano, della battuta dinanzi alle telecamere. È questa la politica?

Articolo di Sabino Cassese, Corriere della Sera, 27.8.2023

AMARE LA SCIENZA, AMARE L’UOMO

AMARE LA SCIENZA, AMARE L’UOMO

Sul Corriere di oggi Aldo Cazzullo intervista Fabiola Gianotti e Renzo Piano: la prima direttrice del CERN di Ginevra, il secondo archistar. Due personalità geniali nelle loro discipline, serie e apprezzate ovunque nel mondo. Due italiani, ma soprattutto due persone che hanno finalizzato il loro lavoro, attraverso la scienza, alla promozione umana, all’Uomo planetario, auspicato decenni fa da padre Ernesto Balducci: essere giusto, pacifico, compassionevole, la cui anima è tutt’uno con il creato di cui si sente parte organica. Alla luce delle loro parole, ma soprattutto delle opere di Gianotti e Piano, le guerre e lo scempio dei diritti che abbiamo oggi sotto gli occhi sono quanto di più assurdo possa esserci.

Fabiola Gianotti

«Ogni uomo si ferma davanti al mistero; ma qui impara a guardare nel buio». Con questa filosofia Renzo Piano ha costruito per Fabiola Gianotti il nuovo Cern.

Dice Renzo Piano che ha lavorato con i neuroscienziati, con gli astrofisici, ora con i fisici delle particelle, e ogni volta ha visto la stessa cosa: «L’uomo arriva sempre più avanti, ma a un certo punto si ferma di fronte al mistero. Come diceva Marguerite Yourcenar, l’uomo guarda nel buio, senza distogliere lo sguardo. E se guardi nel buio, all’inizio, non vedi niente; poi l’occhio, piano piano, si abitua. Perché quel buio non è vuoto, è abitato da tutto quello che hai visto, letto, ascoltato, e che stai per immaginare, con quella sublime testardaggine senza cui non arrivi mai al centro delle cose. L’importante è applicarla alle cose giuste».

Il nuovo Cern, che si inaugurerà il 7 ottobre, è cominciato prima della pandemia, il giorno in cui l’italiana più importante al mondo — la direttrice Fabiola Gianotti — andò a Parigi a fare visita all’italiano più famoso al mondo, Renzo Piano, e a sua moglie Milly, e chiese consiglio per un nuovo edificio: «Ogni anno riceviamo 150 mila visitatori e diciamo di no ad altri 150 mila. Ci serve più spazio per raccontare agli studenti, agli insegnanti, a chiunque sia interessato, chi siamo e cosa facciamo, la bellezza e l’utilità della fisica. Una porta della scienza. Renzo, so che sei molto impegnato, ho già i progetti di qualche architetto locale, ma dammi un consiglio». Alla fine dell’incontro Milly Piano accompagnò Fabiola Gianotti al taxi e le disse: «Mi sa che questa cosa Renzo la vuole fare lui».

Indietro nel tempo

Il cantiere è quasi finito, e si chiama Science Gateway: appunto, il portale della scienza. Renzo Piano ha disegnato un ponte lungo duecento metri, «quasi un laboratorio spaziale in atterraggio», che passa sopra la strada e il confine tra Svizzera e Francia, e unisce cinque strutture. La prima è un auditorium da 900 posti, che sarà dedicato a Sergio Marchionne. La seconda — spiega Piano — è un pezzo, portato in superficie, di quello che si nasconde sotto: il gigantesco acceleratore lungo 27 chilometri. I visitatori potranno così vedere e capire come si scontrano i protoni, a una velocità vicina a quella della luce. È il meccanismo che ha portato alla scoperta del bosone di Higgs, la particella di Dio. È il luogo più vicino al mistero dove l’uomo sia mai arrivato.

«Einstein diceva che il tempo è un’illusione — ricorda Renzo Piano —. Il nostro tempo può fluire lentissimo o velocissimo, le nostre vite sono lunghissime e cortissime. Ha scritto Borges: «Il tempo è la sostanza di cui sono fatto. È il fiume che mi trascina; ma io sono il fiume. È la tigre che mi sbrana; ma io sono la tigre. È il fuoco che mi divora; ma io sono il fuoco». Il Big Bang, l’esplosione da cui è nato il nostro universo, è accaduta 13 miliardi e 800 milioni di anni fa, un tempo che non riusciamo neppure a concepire; ed è durata un tempo infinitamente piccolo che non riusciamo neppure a cogliere».

Al Cern si è risaliti indietro nel tempo sino a un milionesimo di milionesimo di secondo prima del Big Bang. E si è giunti a riprodurre le stesse condizioni di allora, la stessa temperatura, centomila miliardi di volte più alta della temperatura di questa estate, che è torrida pure qui a Ginevra. I fisici hanno capito il come; non il perché. Cosa è successo; non chi l’ha fatto. Sempre che il «Massimo Fattor» esista.

Le altre strutture sono dedicate appunto allo studio del Big Bang e al mondo dei quanti. Renzo Piano ha pensato un edificio che respira: «L’aria condizionata sale da questi forellini nel pavimento, tutto attorno abbiamo piantato quattrocento alberi, sul tetto ci sono pannelli solari di ultima generazione; si produce più energia di quella che si consuma». C’è anche una struttura dedicata all’arte contemporanea: perché arte e scienza qui sono collegate.

Renzo Piano al Cern di Ginevra

La mensa e gli occhiali

Arriva la direttrice del Cern con il vassoio in mano ed è come essere investiti da un fascio di protoni. Immaginate una Rita Levi Montalcini con la velocità di parola e di battuta di Enrico Mentana. «Lei ha gli occhiali rotti». In effetti ho perso una stanghetta, al ritorno in Italia dovrò andare dall’ottico. «Che problema c’è, abbiamo le stampanti 3D! Dia qua». Tutti la chiamano per nome, Fabiolà, alla francese. Lei però è molto italiana: padre piemontese di Asti (vissuto 101 anni), mamma siciliana di Palermo (92), nata a Roma, laurea e dottorato in fisica a Milano. È qui da sempre: arrivò al Cern ragazza con una borsa di studio, non se n’è più andata. Sulla mensola della sala di controllo sono allineate bottiglie di champagne vuote, con cui si sono festeggiati i grandi successi. Una foto reca la data «4 luglio 2012», scoperta del bosone di Higgs. «Quel giorno — racconta Fabiola Gianotti — il Cern ha raggiunto l’obiettivo per cui era nato nel 1954: riportare in Europa il primato della fisica sperimentale. Ora siamo più avanti degli Stati Uniti. Americani e cinesi vengono qui».

«Ho fatto il classico, e non è vero quel che dicono della scuola italiana. La scuola italiana è eccellente ancora oggi, qui su 17 mila scienziati di centodieci nazionalità 2.500 sono italiani, e sono arrivati per merito. Al liceo, di fisica ne ho studiata poca; ma avevo un insegnante che ci spiegava come la fisica funziona, come funzionano le cose. E la fisica fondamentale è semplice ed elegante, si basa su principi di simmetria. Ma noi esistiamo perché la simmetria non è perfetta. Se materia e antimateria fossero presenti in parti uguali nell’universo, si sarebbero annichilate, distrutte l’una con l’altra; e noi non esisteremmo. Invece l’antimateria per qualche strano motivo è scomparsa; al Cern la stiamo studiando, per capire che fine ha fatto. Nel cielo notturno voi guardate le stelle. Ma le stelle, i pianeti, la materia sono soltanto il 5% dell’universo. Noi dobbiamo guardare nel vuoto e nel buio. Da ragazza ho studiato pianoforte, ancora oggi passo il sabato pomeriggio a suonare. Tanti mi chiedono: perché nella vita hai fatto una cosa tanto diversa? Ma non è vero: io trovo la fisica nella musica, e la musica nella fisica». Papa Francesco l’ha voluta nella Pontificia Accademia della scienza. «Ho avuto una formazione cattolica. Ma la fisica non potrà mai né dimostrare, né escludere l’esistenza di Dio». E la vita extraterrestre? «Molto probabilmente esiste. Perché è molto improbabile che in nessun altro pianeta di un universo enorme si siano riprodotte le condizioni che sulla Terra hanno reso possibile la vita. Ma potrebbe essere una forma di vita molto diversa dalla nostra». Come immagina l’aldilà? «Come uno spazio immenso, in cui spero non vadano perdute le individualità; perché siamo tutti così diversi, così interessanti. Ah, ecco che sono pronti i suoi occhiali, vede la nuova stanghetta in titanio? Non deve più andare dall’ottico».

Renzo Piano con Fabiola Gianotti

Dentro la caverna

Con Piano scendiamo nella caverna dove tutto avviene: circa cento metri sottoterra, dentro il rivelatore Atlas, dove fu scoperto e ora viene studiato il bosone di Higgs. I rivelatori sono i luoghi dove vengono «fotografate» le collisioni che accadono nell’acceleratore lungo 27 chilometri, che i protoni percorrono undicimila volte in un secondo; ora si pensa a un nuovo acceleratore lungo 90 chilometri, da far passare sotto il lago di Ginevra. Si entra con il riconoscimento oculare, dettaglio che ispirò a Dan Brown il terrificante incipit di «Inferno». L’ascensore è veloce, ma vista dal basso del pozzo l’immensa macchina è impressionante.

«Qui non si studiano solo le particelle — racconta Piano —. Dal Cern è sorto il word wide web, insomma il www, ed è stato regalato al mondo. Qui sono nate le tecnologie della Pet e delle nuove cure contro il cancro. Si fanno cavi superconduttori per non disperdere energia». A New York Piano ha costruito il centro per la neuroscienza della Columbia University, l’Mbb — Mind Brain Behaviour —, per lo studio della mente, del cervello, dei comportamenti; ora sta costruendo il «Climate Change», il nuovo edificio dove si studierà la rivoluzione del clima. «Tutto si tiene. Le scienze tra loro si parlano. Gli scienziati collaborano, perché hanno capito che siamo a un punto di svolta nella storia dell’umanità, ed è sbagliato raccontare questo tempo soltanto come una grande crisi. Accadono cose meravigliose, si fanno grandi scoperte, si trovano soluzioni. È proprio sul terreno della scienza, della medicina, della climatologia, ma anche della solidarietà umana, che si assiste all’emergere un po’ timido, qua e là nel mondo, di una rete fluida di affinità globali. Che saranno la salvezza del nostro pianeta». Qui anche i fisici girano con il cacciavite in tasca, e molti hanno meno di trent’anni. «Io lavoro in mezzo ai giovani, e le assicuro che sono straordinari. Il solo modo di sopravvivere a se stessi, ad una certa età e con un lungo percorso alle spalle, è proprio lavorare con loro. Noi vecchi dobbiamo comportarci come i maestri giapponesi del tempio di Ise, che viene ricostruito ogni vent’anni. I giovani arrivano, tra i 20 e i 40 anni imparano a fare il tempio, dai 40 ai 60 fanno il tempio, e dai 60 agli 80 insegnano a fare il tempio».

Renzo Piano tra qualche giorno ne compie 86, e ha detto di voler morire in cantiere. Non in questo però, l’ascensore risale il pozzo, si torna al calore della superficie, si rientra nel Science Gateway. «Il Cern ha un budget da un miliardo e 200 milioni, ma il nuovo edificio è frutto solo di donazioni e costa meno di cento milioni: cioè meno del costo giornaliero di un bombardiere che semina morte e distruzione».

Racconta Piano che il suo mestiere è costruire luoghi di pace, che siano musei, sale da concerti, università, laboratori di ricerca, ospedali come quelli che ha fatto in Africa con il suo amico Gino Strada. «Siamo tutti imbarcati sulla stessa astronave, con destinazione ignota. Farci la guerra è come fare a botte su un autobus. A maggior ragione in Europa, che è una grande città diffusa: perché il contrario della città non è la campagna, è il deserto; e in Europa non ci sono deserti».

Al Cern lavorano mille scienziati russi e cento ucraini, che prodigiosamente continuano a collaborare. Tra gli Stati membri c’è Israele, che paga borse di studio a ricercatori palestinesi. «Oggi nell’architettura il fine è dare un riparo alle comunità — spiega Piano —, e per questo ci vuole anche la bellezza primaria, non nel senso caricaturale che la parola ha assunto: beauty, beauté, fa venire in mente un centro estetico. Il bello che dobbiamo recuperare è il “kalòs” dei greci, che è anche il buono. “Giuro di restituire Atene agli ateniesi più bella di come me l’avete consegnata”: il giuramento dei politici al tempo di Pericle dovrebbe essere anche il nostro».

Dialogo con Francesco

Il ponte di 200 metri e le cinque strutture che accoglieranno i visitatori realizzate dall’architetto La direttrice Gianotti: «Siamo l’eccellenza della fisica sperimentale»

Non molto tempo fa, l’architetto è stato dal Papa, che ha nove mesi più di lui. Hanno parlato a lungo. Si sono detti come la scienza spieghi il come, non il perché, eppure non esaurisca la spinta prometeica dell’uomo a penetrare il segreto delle cose.

«Nel Seicento — racconta Piano — i medici di Padova trafugavano i cadaveri per studiarli, e scoprirono che il cuore non è la sede dell’anima; è una pompa. Una meravigliosa, perfetta, instancabile pompa. Oggi gli scienziati hanno scoperto che nel nostro cervello ci sono 85 miliardi di neuroni; le donne ne hanno cinque miliardi in più, pare; la nostra amica Fabiola ancora di più. Ma come funziona la mente, come le sinapsi non solo trasmettano impulsi ma generino passioni, empatia, sentimenti, memoria, è ancora un mistero. Ed è un mistero come nel Big Bang l’energia sia diventata materia. Così nacque il nostro universo; che forse è solo uno dei tanti universi». E lei Piano l’aldilà come lo immagina? «Anche io ho avuto una formazione cattolica. Mia moglie a volte mi trascina a messa, a Notre-Dame prima dell’incendio, a Saint-Paul, nelle altre chiese di Parigi; e la sventagliata dell’organo è la liturgia che ci ricorda che dobbiamo morire. Meditare, pregare o semplicemente star zitti? La mia vera preghiera è veder crescere i miei cantieri e costruire luoghi per la gente. La trascendenza ci riguarda tutti. Norberto Bobbio diceva, da bravo laico: “Sono arrivato varie volte sulla soglia del tempio, e non sono mai riuscito a entrarci”. La fede tuttavia, o qualcosa del genere, è una buona compagna di viaggio nel corso della nostra vita. José Saramago scriveva della “breve immortalità”, il tratto di vita che viene dopo la morte dei nostri cari, ma è un’illusione. Forse la nostra immortalità sono le persone che abbiamo amato, i libri che abbiamo letto, i film che abbiamo visto, quello che abbiamo costruito, cioè le cose di cui noi stessi siamo fatti. Il Papa mi ha spiegato che non esistono atei. Nemmeno il nostro comune amico Carlin Petrini è ateo, ci siamo detti ridendo. Esistono solo uomini che si fermano davanti al mistero. E che guardano nel buio. Qui, nei sotterranei del Cern, sono soltanto meglio allenati».

Intervista di Aldo Cazzullo, Corriere della Sera, 27 agosto 2023

FRA RIMINI E RICCIONE,UN’ESTATE Al MARE

FRA RIMINI E RICCIONE,UN’ESTATE Al MARE

Un po’ per celia, un po’ per non piangere, diamo conto di quanto sta avvenendo al Meeting di Comunione e Liberazione, in svolgimento a Rimini, e dell’estate di un governo che, una volta, si sarebbe detto balneare, cioè destinato a durare poche e afose settimane, mentre questo sembra destinato a vivere più a lungo.

Lo facciamo spigolando qua e là sul Foglio Quotidiano, la cui linea editoriale è oscillante fra plausi, mascherati sotto benevoli suggerimenti di linea di condotta, e l’aperta, ammirata derisione delle tante piroette di ministri, nani e ballerine.

 Meloni a Riccione

Venga a Riccione, signora presidente, e scoprirà un’Italia naturaliter moderata, sensata, perfino ragionante, nemica degli estremismi e delle avventure, sospettosa sia del fighettame fintamente progressista da Ztl che delle scemenze autenticamente fasciste del Vannacci di turno, insomma democristiana nell’intimo. Ascolti i discorsi sotto l’ombrellone di una media borghesia di provincia, che poi alla fine è ancora quella che tiene in piedi il Paese o quel che ne resta, e vedrà che in realtà si accontenta di poco: un minimo di decoro da parte di chi comanda, un minimo di efficienza nei servizi basici, un governo che, come diceva lord Melbourne, primo ministro di Vittoria, prevenga i crimini e faccia rispettare i contratti. Senza palingenesi, rivoluzioni, grandi riforme e ponti sullo Stretto che tanto poi non si faranno mai. Una decorosa medietà giolittiana o degasperiana, evitando eccessi ostentatori, proclami, cafonate. Macché Twiga o Papeete, ogni tanto una mangiata di pesce e sempre il gelato alla sera durante la passeggiata con il golfino, casomai rinfrescasse (magari)……. E forse Riccione è così affascinante, antropologicamente affascinante, perché è la cristallizzazione dell’Italia nella nostra età dell’oro, i favolosi anni Cinquanta e Sessanta, quando si pensava che andassimo davvero verso quelle sorti progressive che poi si sono rivelate assai meno magnifiche.

Resta almeno questa quieta decorosità borghese, un po’ scettica dopo le molte fregature ma ancora disposta a dare credito a chi mantenga almeno qualcuna delle tante promesse, anche solo un taglietto alle accise, una decente riforma della giustizia, un’immigrazione sotto controllo magari senza strillare di blocchi navali prima delle elezioni salvo implicitamente ammettere che sono impossibili dopo averle vinte, robetta così, si sa che in Italia nulla è più straordinario dell’ordinaria amministrazione. Meno inaugurazione e più manutenzione, insomma, come si fa qui. Finché c’è Riccione c’è speranza.

Ma quale Albania, la premier vada in Romagna, immagine dell’unico conservatorismo possibile in Italia….Gggiorgia sbaglia a fare le vacanze in Puglia o in Albania. Dovrebbe andare a Riccione. E non per le ragioni cui state maliziosamente pensando, perché anche Lui faceva il bagno lì o perché la costa è punteggiata dalle provvide colonie per i balilla (il Duce ha fatto anche cose buone? Chissà. Di certo queste architetture fascio-razionaliste sono bellissime e andrebbero recuperate). No, il/la presidente dovrebbe andare a Riccione o più in generale sulla Riviera romagnola perché sono l’immagine dell’unico vero conservatorismo possibile in Italia. E infatti: tradizione, decoro, continuità, stessa spiaggia stesso mare una generazione dopo l’altra, Riccione è questo, il posto dove nell’ombrellone accanto ritrovi un decennio dopo l’altro la stessa famiglia, con i figli, i figli dei figli e così via. L’eterno ritorno del sempre uguale, rassicurante come il tortellino della nonna o un discorso di Forlani, senza rinunciare all’innovazione, ma che non diventi rivoluzione. ….

Estratti dall’articolo di Alberto Mattioli per Il Foglio Quotidiano

 Giorgetti contorsionista

Mercato, pensioni e fisco. Al Meeting il ministro riesce a smentire se stesso e il governo

Parla poco Giancarlo Giorgetti ma le poche volte che lo fa – ad esempio al Meeting di Rimini, di cui è ospite fisso – dice di tutto. E anche il suo contrario. Nel descrivere la sua visione di sviluppo economico, il ministro dell’economia ha affermato che: “Confidare unicamente nella mano invisibile del mercato non è la soluzione corretta”, sostenuto dal padrone di casa Giorgio Vittadini che elogia il “nuovo interventismo positivo” del governo Meloni, spingendo il concetto di sussidiarietà verso nuovi lidi. Eppure solo un anno fa, sempre al Meeting, Giorgetti da ministro dello Sviluppo economico (Mise) dimissionario esaltava gli animal spirit del mercato: “Lo sviluppo economico lo fanno gli spiriti animali ma degli imprenditori”. L’anno prima, nel 2021, da disciplinato ministro del governo Draghi, Giorgetti diceva al pubblico di Cl a Rimini che “lo sviluppo non passa attraverso il governo. Meno c’è il Mise, meglio è”. Ora il governo, fra tasse sugli extraprofitti del Mef e manovre per controllare i prezzi del Mise di Adolfo Urso, agli spiriti animali mette guinzaglio e museruola pensando di placare l’inflazione o quantomeno gli effetti sul consenso.

Ci sono altri aspetti contraddittori nella visione esposta da Giorgetti al Meeting. Il ministro sostiene che il problema di crescita dell’Italia non lo si risolve “aumentando la domanda”: “Ci si deve concentrare sul lato dell’offerta”, dice.

Quella di Giorgetti è un’involontaria autocritica, visto che il governo sul fronte dell’offerta ha fatto poco o nulla, a partire dalla concorrenza. In un altro passaggio sui problemi strutturali, Giorgetti dice lucidamente che con la crisi demografica che affligge la società italiana “non c’è nessuna riforma previdenziale che tenga nel lungo-medio periodo”. Vuol dire che anche una dura e necessaria riforma come la legge Fornero potrebbe non essere sufficiente a rendere sostenibile l’abnorme spesa previdenziale. L’opposto del programma della Lega con cui Giorgetti si è candidato che prevede, come vuole anche la Cgil, una controriforma delle pensioni come Quota 41.

E’ chiaro che la promessa “abolizione della Fornero” non ci sarà mai, al limite qualche accrocchio provvisorio come Quota 103 per tenere buoni gli elettori salviniani. E’ questa la “responsabilità” di cui si vanta il ministro dell’economia: non mantenere le promesse che sfascerebbero i conti, limitandosi a qualche versione omeopatica. La stessa sorte, probabilmente, toccherà alla grande riforma fiscale, annunciata da Giorgia Meloni come la svolta che si attendeva “da 50 anni”. Per ora si vedono solo provvedimenti spot, come la tassa sugli “extraprofitti” delle banche che, come rivelato dal Corriere della Sera, dopo l’annuncio roboante e le imbarazzate retromarce, si potrebbe trasformare in un “prestito forzoso”: un anticipo delle banche che poi recupereranno negli anni come credito d’imposta. Tassa o prestito che sarà, in ogni caso è un’entrata una tantum che però vari esponenti del governo si sono già affrettati a spendere sui giornali per tagliare le tasse, le accise e anche i mutui. E’ l’altra faccia della medaglia dei condoni: misure estemporanee per raccattare qualche miliardo, al costo della credibilità del sistema economico, da usare per coprire qualche bonus o spesa temporanea come ad esempio il rinnovo della decontribuzione. Questo è al momento l’orizzonte della legge di Bilancio di Giorgetti, molto più ridotto rispetto ai discorsi sul lungo termine e sui problemi strutturali del paese.

Estratti dall’articolo di Luciano Capone per Il Foglio Quotidiano

VOLEVO ESSERE DOSTOEVSKIJ

VOLEVO ESSERE DOSTOEVSKIJ

In ricordo di Mario Monicelli: “Il cinema non produce arte, al massimo cultura. Il mio cinema non aspira a verità massime né a piacere a tutti.”

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Mi piaceva Flaubert, avrei voluto scrivere come Dostoevskij. Mi sono accorto però abbastanza rapidamente – perché non sono del tutto stupido – che era meglio abbandonare questa ambizione. E ho ripiegato sul cinema, che comunque mi piaceva. Mi interessava entrare nel mondo che vedevo da ragazzino. Sono del 1915, e perciò vedevo il cinema muto, sono stato educato con quel cinema lì.

Io volevo essere un romanziere o un poeta: mi capitò intorno ai diciassette anni di leggere Gogol’, Le anime morte ,e allora capii che era meglio abbandonassi quest’idea di fare lo scrittore e ripiegai su una cosa assai più modesta, che è il cinematografo. Con il cinematografo puoi dividere la responsabilità con gli attori, per esempio, e dare anzi tutta la colpa a loro se una cosa è venuta male, oppure al direttore della luce, allo scenografo e soprattutto agli sceneggiatori. E ho avuto una vita più serena.

È dal 1934 che lavoro nel cinema. Da troppo tempo perché non sia viziato. Sono un regista accentratore, che sceglie i soggetti, li scrive, cura la sceneggiatura, sceglie gli attori eccetera.

Come molti di quelli che credevano di avere qualcosa da dire ho cercato di farlo attraverso la letteratura, poi mi sono accorto rapidamente che non era cosa. Ho provato con la musica, e anche lì mi sono accorto rapidamente che non era il mio campo, e allora ho scelto come ripiego il cinema.

I miei maestri sono gli autori delle farse, i cortometraggi non più lunghi di dieci minuti che quando ero bambino si mettevano in coda ai filmoni con Rodolfo Valentino, Mary Pickford o Douglas Fairbanks. Ufficialmente le farse erano anonime, ma gli autori erano i giovani Charlie Chaplin, Buster Keaton, King Vidor o John Ford che facevano il loro apprendistato come oggi si fa girando spot pubblicitari. Per me sono stati una scuola impagabile: di tempi comici, di psicologie secche, non troppo elaborate ma credibili, e anche di fantasia e di capacità di astrazione… Non c’è niente di cui non si possa sorridere. In ogni tragedia, anche nella guerra più atroce, c’è il grottesco, c’è l’umanità degli individui, con le loro debolezze, i momenti di tenerezza, anche con il dolore.

Da ragazzi si andava in questi cinemetti dove lo schermo era una parete bianca dipinta malamente, e lì si svolgevano delle vicende… cose meravigliose: battaglie, amori, cavalli in corsa… Io non capivo bene, ero bambino, cinque o sei anni, noi tutti non sapevamo bene se fosse roba vera o una finzione. Era una cosa magica, meravigliosa… Io allora ero talmente affascinato che volevo entrare in quel mondo, ma non sapevo come, non sapevo nemmeno cosa volessi fare: l’attore, il regista o chissà che… volevo entrare lì nel mezzo; per fortuna tanto ho fatto che ci sono arrivato, molto presto. A fare cose molto umili: l’attrezzista, l’aiuto trucco e così via; insomma piano piano mi sono infilato lì e ci son rimasto tutta la vita.

Non ho mai provato a scrivere un film da solo: mi annoierei. Fra noi sceneggiatori c’era un senso di bottega artigianale molto importante. Scrivevamo i film su misura per gli attori, com’è nella tradizione del teatro: anche Goldoni scriveva le sue commedie per questo o quell’Arlecchino, per questa o quella Mirandolina; e così faceva Shakespeare.

Con i cattivi registi si impara molto. Si impara a non fare. Con Fellini cosa vuoi imparare? Non impari niente, perché o sei lui, oppure lasci andare. Cosa vuoi imparare con Fellini o con Antonioni? Non si impara. Si impara con quelli che fanno le stupidaggini, sennò non impari. Impari, casomai, l’atteggiamento, un certo tipo di serietà oppure, al contrario, di non prendere troppo sul serio quello che stai facendo.

Aveva ragione Longanesi che raccontava di Rossellini, il quale si lamentava: “Ora non si possono più fare bei film… Allora vi era la guerra, un mondo distrutto”. E Longanesi: “Ma che, dobbiamo perdere un’altra guerra o farne un’altra per farti fare bei film?”.

Il cinema ha il potere di rispecchiare, di raccontare, ma non quello di fare prediche… Il cinema dovrebbe essere muto, non parlato. Dovrebbe essere composto solo di belle immagini mute che, montate le une con le altre, raccontano tutto quello che c’è da raccontare, e infatti, per i primi vent’anni, il cinema è stato così. Sono stati girati bellissimi film drammatici, comici, farseschi, avventurosi, tutti muti, senza musiche, senza sonoro.

Il vantaggio dei film brutti è che non li vede nessuno. Il cinema è un’arte applicata, senza l’industria non esisterebbe. È un segno dello squallore dei tempi sacralizzare il cinema come fosse la bottega di Caravaggio… Il cinema è la settima arte; cioè l’ultima. Ma quale arte! Io non ho questa gran stima per il cinema.

Avrei voluto essere Buñuel o Huston, ma mi è toccato essere Monicelli, e l’ho fatto meglio che ho potuto.

Articolo apparso l’11 agosto 2023 sul Fatto Quotidiano

Ormai minato da un cancro fase terminale, la sera del 29 novembre 2010, Monicelli, a 95 anni, decise di togliersi la vita gettandosi nel vuoto dalla finestra della stanza dell’ospedale romano dove era ricoverato.

SOVRANISTI D’ALBANIA

SOVRANISTI D’ALBANIA

Non si placano le polemiche sulle vacanze del premier Giuseppe Conte e dei suoi cari che, dopo alcuni giorni in una lussuosa masseria pugliese, hanno proseguito in Albania, ospiti del presidente socialista Edi Rama. Stupore e incredulità per la presenza nella comitiva del cognato del premier, che è anche ministro dell’agricoltura e del Made in Italy, nella peggiore tradizione familista e nepotista dei 5Stelle; e ancor più quella della fidanzata dell’“avvocato del popolo”, conduttrice di un programma politico su una tv nazionale riservato ai presunti miracoli del governo del fidanzato: l’ennesimo conflitto d’interessi grillino che il centrodestra, in particolare Forza Italia, denuncia con sdegno. Ma le polemiche delle opposizioni sovraniste si appuntano soprattutto sulla scelta dell’albania, quantomai inopportuna: lo sbarco di Conte&c. a Durazzo coincide col record di oltre 100 mila migranti africani sulle coste italiane; e con la transumanza di decine di migliaia di famiglie italiane che, stritolate dal caro-mutui, dal caro-prezzi e dal caro-benzina nell’indifferenza del governo (che anzi impone accise da paura sui carburanti), preferiscono alle spiagge italiane quelle molto più convenienti del Paese balcanico. A gettare altra benzina sul fuoco c’è poi la decisione del premier di saldare tramite l’ambasciata italiana a Tirana il conto di un ristorante lasciato da pagare da alcuni turisti italiani. Una mossa che il leader di Italia Viva definisce altamente diseducativa, ma tipica dell’assistenzialismo divanista del padre del Reddito di cittadinanza e di altri bonus a pioggia, perché d’ora in poi tutti i morosi e i portoghesi si sentiranno legittimati a non pagare il dovuto e penseranno che sia lecito persino campare a sbafo di capi di Stato o di governo.

“Paga Contalone”, è l’icastica apertura di Libero, il cui direttore Alessandro Sallusti dedica alla destinazione albanese l’editoriale dal titolo puntuto “Il Conte d’albania”. Vittorio Feltri rinverdisce i fasti della “Patata bollente” (Virginia Raggi) con un altro sapido calembour dei suoi sul caro-carburanti: “Pompe e pochette”. Anche il Giornale picchia duro, col commento di Augusto Minzolini dal titolo evergreen “Campagna d’albania: il Conte Max ci svende a Tirana”. Il Riformista si concentra invece sulle contraddizioni fra le vacanze contiane e l’emergenza migranti irrisolta in patria: “Conte da sbarco”. La Verità punta il dito sui sui loschi rapporti d’affari che legherebbero Conte, la sua compagna, Edi Rama e il suo consulente Massimo D’alema, nel sarcastico editoriale di Daniele Capezzone “La Rama e la fava”.

Ps. Ci informano che il presidente del Consiglio non è Giuseppe Conte, ma Giorgia Meloni, dunque nessuna polemica: è donna e pure sovranista.

Articolo di Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano

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