Indignati a gettone

23 Ago 2015 | 0 commenti

Vittorio Sgarbi critico d'arte e polemista

Vittorio Sgarbi critico d’arte e polemista

Pubblico l’articolo di Vittorio Sgarbi apparso sul  “Il Giornale” del 23 agosto 2015 dal titolo INDIGNATI A GETTONE

Tanto rumore per nulla. Può un funerale privato diventare un funerale di Stato, nel senso che debba occuparsene il ministro dell’Interno? In questa grottesca vicenda, c’è materiale solo per Striscia la notizia, non certo per parlamentari, sindaci, prefetti e ministri. E vorrei subito rovesciare la dichiarazione del sottosegretario ai Servizi Marco Minniti: «Enorme sottovalutazione». No: enorme sopravvalutazione. Tanto che Goffredo Buccini la definisce qual è, in tutti i sensi, una «pagliacciata». A cominciare dal fatto che ci si occupi di questo pittoresco e «pericoloso» personaggio ora che è morto piuttosto che quando era vivo, perché prima di questi teatrali funerali il nome di Vittorio Casamonica diceva poco o nulla se non a investigatori e pochi giornalisti, e nessuno, men che meno tra quanti oggi, anche tra le istituzioni, manifestano indignazione, si è preoccupato di dove e come vivesse, se si spostasse a bordo di una Panda o di una Rolls-Royce. Ora preoccupa e indigna che, da morto, salga sullo stesso carro funebre di Totò. Cinema, appunto, non realtà. E non è della realtà che si occupano il ministro e il prefetto (che dovrebbe avere il coraggio di scrivere che la vicenda letteralmente non esiste), ma piuttosto della rappresentazione che di essa hanno dato giornali e televisioni, non alla ricerca del vero, ma del verosimile, di una fiction mafiosa. Con risvolti tragicomici. Può un ministro dell’Interno non conoscere la differenza tra uno sciopero e un funerale e chiedersi, senza senso del ridicolo, se il corteo fosse autorizzato? Quando mai si autorizza un corteo funebre? Va da sé che il lutto è un fatto privato. E la manifestazione del lutto, pur con una «messa in scena», va solo rispettata, perché attiene ai sentimenti di umana pietà e a rituali della religione che ciascuno professa. Certo, ci sono funerali sobri e altri sfarzosi, ma un ministro non è chiamato a discettare sui dettagli di una celebrazione funeraria, né può pensare d’impedire che si lancino rose o si suonino brani tratti da questa o quella colonna sonora. Che vuole fare Alfano, vietare la colonna sonora del Padrino e prescrivere alle chiese un elenco di brani «antimafia»? Vorrà forse dichiarare fuori legge le carrozze trainate da cavalli e decretare che i defunti siano trasportati solo con mezzi a motore? Di Casamonica lo Stato doveva occuparsi e preoccuparsi quand’era vivo invece a suscitare scandalo non sono le sue azioni e le sue malefatte, vere o presunte, ma i cavalli che lo hanno accompagnato al cimitero e l’elicottero che ha lanciato sul corteo petali di rose. Nulla aggiunge o toglie al lutto se il defunto venga portato in chiesa su una Giardinetta o su una carrozza. Se non ci fosse stato il clamore indotto da giornali e televisioni, dei funerali di Casamonica alla periferia di Roma in una brutta chiesa dedicata a Don Bosco, in prossimità di Cinecittà (non al Pantheon o al Colosseo), non avrebbe parlato nessuno. Un defunto come gli altri. Morto da cittadino libero. E non si capisce come a un cittadino libero si possano vietare o discutere il buon gusto dei funerali. Con un evidente razzismo nei confronti di costumi e abitudini del popolo rom, identificato tout court con la mafia, e spregiati, perché volgari, i parenti del defunto. E, infatti, non è parso vero, ai soliti indignati a comando, di manifestare «stupore», «sconcerto», «vergogna» non per quello che Casamonica avrebbe rappresentato da vivo, ma per come sia stato celebrato da morto. In pratica, ai Marino, agli Orfini, alle Bindi, ai don Ciotti, ai Saviano e ai Savianoidi, sarebbe bastato che Casamonica se ne fosse andato all’altro mondo con discrezione, continuando a ignorarlo da morto come lo hanno ignorato da vivo. Dunque, più teatrali dei funerali, sono le ridicole reazioni della politica e delle istituzioni. Il prefetto Gabrielli ha fatto sapere di non esserne stato informato, come, presumiamo, non lo sia di centinaia di funerali che si celebrano a Roma. Il sindaco di Roma, in vacanza (come sempre), fa sapere del suo «sconcerto», e non gli par vero che il boss lo abbia spodestato nelle prime pagine dei giornali, avendo fatto molto meno di lui. Infine l’Enac, che controlla il traffico aereo, ci fa sapere che l’elicottero non era autorizzato, nulla obiettando sulla facilità con cui un elicottero possa sorvolare la Capitale, e sulla inquietante circostanza che lo stesso Enac ne sia venuto a conoscenza non perché abbia gli strumenti tecnici per accertarlo, ma solo perché due giorni fa ci sono stati i funerali di un presunto boss. Tanto rumore per nulla, dicevamo. E un generale moto d’indignazione per un funerale da film che è stato impropriamente elevato a un summit di mafia. Manca solo che don Vittorio non sia morto, e riappaia «miracolosamente», rivelandoci che siamo a Scherzi a parte. La realtà, dunque, e la sua rappresentazione. In cui la farsa viene elevata a tragedia. E la tragedia vera minimizzata. Come la distruzione del monastero di Mar Elian, vicino a Homs, in Siria, costruito 1.500 anni fa. Nessuno reagisce. È il segno di una classe politica «ingrillita», dedita al più vacuo cazzeggio agostano.

 

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