LA STAMPA DEI CUORI

12 Mar 2017 | 0 commenti

Avremo cuori stampati in 3D «su richiesta» per i trapianti?-La carenza di organi rende oggi impossibile curare tutti i pazienti. La medicina rigenerativa sta facendo passi da gigante e punta a risolvere il problema della carenza di «pezzi di ricambio»

(Fotolia)

Christiaan Barnard annuncia il primo trapianto del cuore, è il 1967

Organi «on demand». La nuova frontiera in tema di trapianti si può riassumere in questo concetto, affascinante e da vertigine allo stesso tempo. Che cosa significa? Lo abbiamo chiesto al professor Giuseppe Orlando, 47 anni, uno scienziato italiano tra i più accreditati a livello internazionale in questo particolare campo delle scienze biologiche: «Il nostro obiettivo è poter produrre organi quando il paziente ne ha bisogno, a partire da biomateriali dello stessa persona in modo tale da evitare la terapia anti-rigetto, che è estremamente costosa e gravata da un carico di effetti collaterali che possono minare l’esito del trapianto. Credo che nessun settore delle scienze biologiche abbia interesse al progresso della medicina rigenerativa più della trapiantologia, semplicemente perché il futuro di nessun altro campo dipenderà dal progresso che si verificherà in medicina rigenerativa». Giuseppe Orlando lavora come chirurgo dei trapianti e ricercatore in uno dei centri americani all’avanguardia per la ricerca sulla rigenerazione degli organi, la Wake Forest University di Winston Salem, North Carolina. Proprio di medicina rigenerativa e trapianti Orlando è stato chiamato a parlare di recente al Policlinico Gemelli di Roma nell’ambito del corso “Master in Trapianti d’organo”, diretto dal professor Franco Citterio, presidente della neonata Fondazione Italiana per la Promozione dei Trapianti d’Organo (Fipto).

Professor Orlando che cos’è la medicina rigenerativa?
«È una disciplina che ambisce a sviluppare terapie per la rigenerazione di organi o tessuti malati o disfunzionali, in modo da evitare che una malattia acuta diventi cronica e porti alla degenerazione irreversibile dell’organo o tessuto. Altresì, tenta di sviluppare tecnologie per consentire di produrre organi a partire dalle cellule del paziente».

Qual è lo stato dell’arte?
«Ci sono migliaia di sperimentazione cliniche in corso. Poche però funzionano e scarse sono le terapie rigenerative considerate elettive. Una di queste é stata messa a punto da due validi ricercatori italiani, Graziella Pellegrini e Michele De Luca del Centro di medicina rigenerativa dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Il loro team ha identificato e caratterizzato le cellule staminali dell’epitelio corneale umano e definito protocolli clinici che oggi consentono una terapia consolidata per la cura della cecità causata dalla distruzione della cornea per ustioni chimiche, mediante cellule staminali epiteliali coltivate. Questo tipo di cura, già applicata con successo su qualche centinaio di pazienti, ha rivoluzionato l’approccio terapeutico delle ustioni chimiche della superficie oculare e si è affermata ormai in diversi Paesi del mondo. Lo stesso team sta anche implementando sperimentazioni cliniche di fase 1 e 2 per la terapia genica dell’epidermolisi bollosa, una grave malattia genetica degli epiteli di rivestimento. Al di là questi esempio, però, la medicina rigenerativa è ancora “in fasce”, ergo, ci vorranno decenni prima di arrivare dove vogliamo arrivare».

Quali sono le applicazioni in campo trapiantologico?
«In questa prospettiva il potenziale della medicina rigenerativa è immenso. Ci sono stati casi di impianto di segmenti delle vie aeree e urinarie e di vasi artificiali, che per noi rappresentano la prova sperimentale della fattibilità e del potenziale di queste tecnologie. Siamo però ancora lontani da applicazioni cliniche, se si considerano gli organi da trapianto “classici”, quali rene, fegato, cuore e così via. Infatti, questi organi presentano una complessità anatomica e fisiologica non ancora “approcciabile” con le tecnologie correnti».

In che cosa consiste la procedura di rigenerazione?
«L’idea é di potenziare le capacità intrinseche dei tessuti di riparare se stessi. Quando il danno é moderato, il corpo umano rimpiazza il tessuto mancante con tessuto fibroso, cioè la cicatrice. Quando il danno é severo, non ci sono cicatrici che tengano, bisogna rimpiazzare il tessuto danneggiato con uno del tutto nuovo, prodotto “ex vivo”. A questo punto interviene l’ingegneria tissutale con la stampa in 3D o la decellularizzazione di organi. In pratica, si combinano cellule con alcune strutture di sostegno chiamate in termini tecnici scaffold, cioè impalcature, necessarie alle cellule per esistere e funzionare.

Nella stampa in 3D, gli scaffold vengono stampati strato dopo strato e assemblati sulla base di un modello matematico. Nella decellularizzazione, invece, gli scaffold vengono prodotti attraverso la distruzione del compartimento cellulare di un tessuto umano o animale. Gli scaffold prodotti con la decellularizzazione sono migliori, in teoria, perché prodotti da madre natura. La rigenerazione di un tessuto/organo malato mira a prevenire la progressione di una malattia verso la fase terminale. La produzione di organi o biofabbricazione, mira a rimpiazzare organi/tessuti malati con nuovi tessuti/organi prodotti artificialmente».

E le cellule staminali?
«Di recente si è proposta la cosiddetta complementazione blastocistica: si prende cioè una cellula della pelle umana e la si converte in cellula staminale totipotente (IPS). Questa viene poi inserita nell’embrione di un maiale che ha perso i geni che orchestrano la formazione dell’organo che si vuole produrre. La cellula staminale umana allora sarà in grado di sostituirsi alle cellule dell’embrione di maiale, in modo da produrre un organo umanoide».

La medicina rigenerativa pone problemi etici?
«Molti, i più importanti dei quali legati all’uso delle cellule staminali embrionali e alla manipolazione genetica. Le cellule staminali embrionali sono oggetto di discussione da anni per motivi legati all’evidenza che l’embrione é già vita ed individuo dal punto di vista biologico. Pertanto, se crediamo in questa visione, utilizzare cellule embrionali equivale a manipolare un individuo e ciò risulta eticamente inaccettabile. La manipolazione genetica, dal canto suo, comporta il rischio di creare chimere (cioè esseri viventi in parte umani e in parte animali, ndr) e alterare l’impronta dell’individuo. L’impatto è tremendo».

Quali sfide attendono la medicina dei trapianti nei prossimi anni?
«Negli Stati Uniti si sta pensando a incentivi per i donatori. Si calcola che, se si pagasse un donatore vivente 45 mila dollari e la famiglia di un donatore deceduto 10 mila dollari, ciò sarebbe probabilmente più vantaggioso che mantenere lo stesso numero di pazienti in dialisi. C’è poi l’applicazione ai trapianti di “big data”, cioè la valutazione di una mole enorme di informazioni attraverso modelli matematici. «Ci sta aiutando a capire che la donazione da vivente è sicura, anche se comporta dei rischi. Un altro campo di grande interesse è la ricerca di nuovi bio-marker di rigetto, funzione e rigenerazione: si sta cercando di capire se ci sono segni clinici di laboratorio, finora sconosciuti , che ci possano aiutare a diagnosticare il rigetto precocemente, oppure che ci permettano di capire come gli organi si riparano da danni biologici».

La rigenerazione è dunque un’alternativa al trapianto?
«Nei nostri sogni, sì. Quando il sogno si realizzerà, renderà il trapianto progressivamente obsoleto».

Intervista a cura di Ruggero Corcella – Corriere della Sera, 26.02.2017

 

 

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