BETTY

BETTY

 

 

A Elisabetta melodiosamente inferma

 

Non credevo che dal battito nervoso delle ciglia

dolcemente potesse lo sguardo scivolare su un alluce dolente,

in una sola grazia di eburneo benvenuto.

Poi, in quella che una volta si sarebbe detta una taverna fumosa

il rito del frappè mi ha portato alla mente il sillabario

di giorni lontani, quando, sotto gli argini del Fiume che si apriva al mare,

l’allegria dei poveri, iniziata con un tuffo, spegneva l’arsura dell’estate

con un frappè ghiacciato, che raffreddava anche altri bollori.

 

 

In quel Delta ho imparato a distinguere il verso degli uccelli,

presagire, da un guizzo lucente di un pesce,

il tuffo del cuore,

e prima della parola apprezzato il silenzio,

scoperto che la vita è ritmo e sospensione,

se risale verso uno sguardo che nel cielo si confonde.

 

 

Le immagini della copertina e nel testo sono opere di Luigi Armanni

 

ARMANNI, SANTI E CAVALIERI

ARMANNI, SANTI E CAVALIERI

 

IL POP-DADAISTA DELLA BASSA CHE ASSEMBLA SANTI E GUERRIERI– LUIGI ARMANNI DA’ IL MEGLIO DI SE’ QUANDO DONA  AGLI OGGETTI NUOVA VITA  SOTTO LA LUCE DEL MITO, DELL’EROISMO E DELLO SBERLEFFO IRRIVERENTE.

 

In un articolo (vedi qui ) vi ho parlato di Luigi Armanni pittore. Ma altrettanto interessanti sono le sue sculture. Anzi, chi conosce la personalità di Luigi, sa che manipolare, riadattare, accostare materiali, assemblare e reinterpretare oggetti d’uso è la cosa che più gli è congeniale.Luigi non potrebbe stare ore e ore a sbozzare del marmo, cesellare del metallo o incidere una miniatura. Il pennello, i colori vanno trattati con una cura e una pazienza che sembrano ritardare, quasi sviare l’idea di partenza, scansioni che l’impazienza di Armanni mal sopporta. Non a caso, alla tela, da qualche tempo preferisce i muri, dove l’idea di precarietà e consunzione, di contingente dell’opera umana, prima ancora che artistica, è presente re ipsa. A volte il suo segno si appesantisce, quasi volesse scavare nel muro, con una rabbia che ricorda quella di Jean-Michel Basquiat, artista afroamericano morto ad appena 28 anni. 

La pratica del riuso per accostamenti creativi è vecchia, dal dadaismo costruttivista all’arte povera, secondo la felice definizione datane da Germano Celant. Ma quella di Armanni non è l’estenuata replica di un epigono.

Il muro stesso, non è solo più la superficie sulla quale operare, ma materiale da plasmare, attorniare di oggetti, segnali, cartelli, che di fatto lo travisano e camuffano. Uno slittamento di senso verso una installazione in cui la pittura è decorazione e la scultura assorbe tutto il significato.

Nelle sculture-assemblaggio di Armanni l’ispirazione, apparentemente diretta ed esplicita, in realtà va interpretata alla luce del suo nomadismo culturale, in cui confluiscono lezioni antiche e influenze contemporanee, reinterpretate per ridare vita e significati diversi agli oggetti, grazie alla forte e originale ispirazione dell’artista.

L’archetipo che balza subito agli occhi è il “primitivismo” che guida la mano di Armanni. Inteso non tanto come recupero di un pensiero primordiale, di una purezza originale, ma del mito come antidoto alla modernità, come reazione alla prosaicità del vivere, dove l’apparenza ha sostituito la realtà. In tal senso la ripresa che egli fa di Corto Maltese, il moderno Moby Dick di Ugo Pratt, è esemplare.

Ne risultano opere che appaiono grezze nel loro insieme, realizzate con oggetti frutto del caso, ma in realtà studiate con l’attenzione dei particolari e con l’abilità dell’esperto artigiano. Il tono squillante di un colore, la leggerezza di un sagoma, la preziosità quasi barocca di un dettaglio, servono per contrasto, a dare all’insieme quel senso di forza, quasi brutale, di perentorietà, che solo le sculture tribali ci trasmettono.

Ma qui finisce ogni parallelo, dal monento che l’arte di Armanni si muove logicamente su un tessuto antropologico assai diverso, ibridandosi di elementi altrove sconosciuti e in cui il grottesco e l’eccesso riescono a convivere con il senso della misura, l’equilibrio compositivo e una esplicita spinta ironica, a volte quasi uno sberleffo, che serve a decodificare prosaicamente il contesto e il significato dell’opera. L’opera sopra riportata, che rappresenta il leone, simbolo di Venezia, ne è l’esempio, a mio parere, più elaborato e raffinato

La scultura che precede è il pifferaio magico della favola di Andersen. La figura si proietta sul reticolato che fa da sfondo e dà prospettiva, con un sapore schiettamente pop, in cui si recuperano, insieme al colore (il clarinetto a strisce è esemplare) toni e dinamica leggerezza, come solo si possono provare nei momenti onirici.

Una seconda fonte di ispirazione mi pare di intravvederla nel recupero dell’iconografia classica. Armanni intende l’artista, come durante il Rinascimento, quale costruttore di forme. I graffiti con santi e madonne, il modello del grande trittico con scene evangeliche, in cui forme quasi bizzantine scansionano icone, dipinte su materiale poverissimo come le tegole di un tetto, sono radici culturali ben visibili e feconde.

Polittico in legno dipinto e figurazioni su argilla .

Trittico, particolare

Trittico, particolare

La metamorfosi che gli oggetti subiscono nelle mani di Armanni riesce quasi sempre con esiti di felice espressività perchè è ben presente nell’autore l’idea che l’arte è anche inganno e finzione, come ogni opera di libera associazione e interpretazione. Però, al contrario di Magritte e dei metafisici, più interessati all’atto creativo in sè e meno alla fruizione, Amanni con onestà e sincerità evita di imporre una sua soluzione, ma lascia il significato dell’opera alla libera interpretazione di chi guarda. Almeno fino a quando essa esisterà sotto i nostri occhi, per rimanere dopo nell’animo del fruitore e dare “forma” culturale permanente al “rito” che si è consumato. Il retroterra culturale è insomma lo stesso di un Burri o un Fontana, anche se con esiti estetici diversissimi. La nutura e la sensibilità anarchica di Armanni, guardano scopertamente, oltre che ai già citati dadaisti, ad aspetti concettuali che richiamano Tano Festa e, più in generale, agli artisti della Scuola Romana, alla felice stagione di reazione della pop-art italiana allo strapotere americano, fra gli anni ’50 e ’60 del secolo scorso.

 

 

 

La bottega-laboratorio di Armanni. In primo piano una sua tela dal sapore metafisico

Anche i mostruosi cetacei di Armanni, pesci che affondano negli abissi misteriosi, continuano il mito insondabile dell’avventura, ma capovolti in aria, appesi al soffitto.Ondeggiano,con distratta leggezza, e più che farci paura richiamano lo sguardo, come in un gioco di bambini.

 

Non poteva mancare il giovane, biondo guerriero, bello, forte e certamente gentile, come alludono i fiori deposti ai suoi piedi. Un santo senza corona, ma già assiso nel tabernacolo? Sorregge un trofeo o una coppa. La violenza è sparita, rimangono il gesto cavalleresco, la vocazione e il destino da seguire. La preziosità dei segni e dei colori sul muro sembrano i tasselli di un mosaico bizzantino, o la ripresa di Egon Schiele.

L’inganno e la finzione si fanno un invito al gioco per lo sberleffo supremo: la violenza e la forza rappresentate dal guerriero, sontuosamente abbigliato e ricoperto di orpelli, dall’enigmatico nome di ERO (abbreviazione forse di eroe, chissà), si trasformano nella fattezze mostruose di un dadaista Ubu Re, il patafisico inventato da Jarry nel 1896 per scandalizzare la borghesia parigina.

 

Non poteva mancare San Giorgio, il viso di dura scorza legnosa, la sua corona di latta e l’armatura travisata in forma di ventaglio. In quanto al drago, eccolo ai piedi del santo, informe, vinto eppure ancora vitale e minaccioso, come sempre lo è il male che è in noi.

 

Un’ultimo lavoro, di attualità mai remota. La bocca in primo piano sembra conturbante. Un banale invito erotico?  No! Sono le scritte, prima ancora degli oggetti ad indicare divieto e blocco, che ci danno il vero significato del lavoro: un urlo di dolore, il respiro che manca e Charlie che muore. Il Bataclan, Parigi, il terrore. La morte.

 

Nell’ istantanea, primo piano di Luigi Armanni.

In copertina: scritta apparsa su un muro di Parigi durante la rivolta studentesca del 1968.

 

BANKSY DELLA BASSA

BANKSY DELLA BASSA

Banksy della Bassa

In una vecchia corte, fra capannoni dismessi e vecchie costruzioni addossate alle mura trecentesche della città veneta che sto visitando, ho scoperto il Banksy italiano. Le opere murali si snodano lungo un quadrilatero sghembo e non c’è parete che non sia dipinta. Alcune opere risalgono a qualche anno addietro, quando di Banksy e di altri street artist nulla si sapeva. Sono murales oramai ammalorati dal tempo, i colori sbiaditi, pezzi di intonaco caduti interrompono una linea o decapitano una mano o un naso, l’erba da sotto incalza, il muschio o la muffa scuriscono quello che rimane. Ciò nonostante è valsa la pena soffermarsi, approfittando di un mattino silenzioso e insolitamente chiaro per questi cieli caliginosi.Armanni antiviolenza

I murales sono spesso monocromi, ogni tanto qualche scheggia di colore, ma predomina un celeste smorzato  e freddo, a tratti cenerino. Il tratto è sommario, schematico, il pittore pare più attratto dall’idea che non dalla forma o dalla tavolozza. Nei ritratti i volti sono anonimi, oppure, come nel caso del multi-Matteotti, si limitano a cogliere l’aspetto saliente, procedendo più per macchie che per linee. In alcune opere compare la firma: L. Armanni, in altre la sua mano si indovina.

E’ difficile dare un significato unitario al ciclo, probabilmente cresciuto a caso, per ricordare, di volta in volta, qualche avvenimento, o per accontentare un associato. Infatti, nella corte in cui mi trovo, da decenni ha sede il circolo degli artisti, di cui Armanni è il principale animatore.

Il primo murale che mi colpisce rappresenta una Vittoria delacroixiana che brandisce la spada e sottomette il drago, con la scritta: antiviolenza. Più avanti un san Giorgio o un angelo vendicatore sottomette un drago, dalle fattezze umane, che sembra uscire dalle acque.Armanni drago Sempre nel tema va inserito il lavoro forse più bello per forza dinamica e resa concettuale: una donna che precipita nelle acque, fra bianche spume che sembrano sorreggerla ma anche ghermirla. Un’opera ambivalente, fortemente drammatica, che ricorda il Picasso di Guernica, specialmente in quel braccio vibrante, scagliato verso il cielo, quasi fosse un urlo. Il tratto rapido e conciso di Armanni riesce in questo caso a raggiungere la sua massima espressività, con risultati meno sommari che altrove e di notevole impatto emotivo.Armanni Guernica

Clima diverso nei ritratti, tutti resi con pochi tratti asciutti. Due solenni e impettiti uomini in blue, che recano in omaggio un modellino di sommergibile, inequivocabile scena cerimoniale. Il Carlo (san Carlo? vista l’aureola che ne circonda il capo) dallo sguardo lontano e attonito. L’immagine del santo in talare bianco e zucchetto, simile ad un papa. Un discorso a sé merita il ritratto multiplo di Matteotti. Partendo dalla classica iconografia del martire socialista, posta al centro, i visi si moltiplicano e si alterano, quasi che l’autore volesse rivelarci un Matteotti diverso, darci di lui una interpretazione meno eroica, ma più umana e vicina. E’ il murale più danneggiato dal tempo e poco leggibile.

I due uomini che brindano è l’opera strutturalmente più complessa, in cui il linguaggio pittorico colto, dissimulato altrove, traspare in maniera inequivocabile:i giochi dei pieni e dei vuoti, la sapiente prospettiva, recuperata con due visi in primo piano e l’alternarsi dei gradini sul lato sinistro, il tavolo al centro, unica macchia di colore in cui si condensa tutta la lezione cubista.Armanni osteria

La scena di interno con figure, firmato a datato 2009, è murale sostanzialmente monocromo, impreziosito dal dettaglio del disegno; cristallizza un evento infausto appena annunciato. Questo spiega l’immobilità dei corpi, la sedia vuota in primo piano, la figura che si stringe il capo, reclino sulla tavola, e un’altra, dal lato opposto, messa  addirittura di spalle.

E’ possibile trovare un filo conduttore fra queste opere? L’amico che mi accompagna e che conosce Armanni è meno perplesso di me: “Luigi è un uomo ruvido e spiccio. Un uomo della Bassa, che ama il silenzio, ma nello stesso temo curioso di natura, ama le storie e la gente, è facile a incapricciarsi di ogni tipo stravagante e originale. La lotta alla violenza e le scene quotidiane da lui rappresentate in questi lavori sono nella sua natura di pacifista e libertario, ma anche di individualista compassionevole. A Luigi piace pasticciare, recuperare oggetti e assemblarli. E’ anche uno scultore originale. Il paragone con Banksy finisce qui: Luigi non è un umorista, ne c’è satira nei suoi lavori. Anche la tecnica è diversa. Armanni forse non sa nemmeno cos’è uno stencil. Però, a modo suo, questo mondo padano, lo rappresenta”. L’amico rivolge lo sguardo verso una meridiana, un’opera di raffinata esecuzione: “vedi, il giorno inizia ancora col canto del gallo e finisce con la cena serale, magari al calare del sole”Armanni osteria 1

E, a proposito di sculture, l’amico mi indica un legno colorato che sta aggrappato ad un muro: è il più famoso personaggio dei fumetti di Ugo Pratt: Corto Maltese. Bisogna riconoscere che in questa opera, assemblata con legno di risulta, Armanni ha saputo conservare intatta la spavalda e affascinante aria del personaggio, senza limitarsi ad una smorta replica.

Lasciando la corte scatto alcune foto. Fra qualche anno l’opera impietosa del tempo avrà cancellato tutto, se non arriveranno prima le ruspe per una bella “lottizzazione”. Ma qualcosa ora rimarrà e Luigi Armanni, senza saperlo, ne sarà felice.

 

Armanni 3Armanni CarloArmanni 1Armanni meridianaArmanni CortoArmanni Matteotti

 

 

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