BANKSY APPESO

BANKSY APPESO

ANCORA PER UN MESE BANKSY SOTTO LA MADONNINA- L’ARTE DI STRADA E DI PROTESTA FINISCE AL MUSEO – AL ‘MUDEC’ DI MILANO LA MOSTRA (NON UFFICIALE) DEDICATA AL MISTERIOSO E QUOTATISSIMO WRITER – PER QUALCUNO “È IL PIÙ GRANDE GENIO DELLA COMUNICAZIONE DOPO ANDY WARHOL” – E NASCE ANCHE IL GELATO DEDICATO ALL’ARTISTA…

Gli spazi per l’esposizione sono ristretti. Pur accogliendo 80 «pezzi» il concetto di opera è completamente assente: il lavoro di Banksy è puro messaggio, senza forma.

MOSTRA BANKSYE la mostra è una museificazione-pacificazione di un atto di ribellione che è deflagrante in strada, conciliante in una sala. Eppure, qui dentro c’è tutto: ordine e bombolette spray, opposizione massima e cornici minimal, merchandising e Guerrilla finanziaria, esclusivi slogan anti-brand, la massima visibilità dell’incappucciato, cortocircuiti iconici, citazionismo e business… Provocazioni, contaminazioni, contraddizioni. A partire dalla notorietà attraverso l’anonimato di un uomo che nel nome ha una banca sì, bank – lui così apparentemente distante dall’arte a pagamento.

Banksy. Tutti lo conoscono, anche se nessuno sa chi è. Lui non vuole farsi vedere, ma tutti lo vogliono ammirare. Ha lottato una vita contro l’establishment, e ora è un ingranaggio delicato e fondamentale dell’art system. E così lo street artist più global del mondo lascia la strada e entra in un museo. O almeno: ce lo portano, senza chiedergli autorizzazioni. Ed eccolo, tra un’asta record e l’altra, «trafugato» al Mudec di Milano per una grande retro-spettiva su un artista che nessuno ha neppure mai visto davanti. E a pensarci bene, è un’arte anche questa.

Mostra BanksyLitografie offset. Stampe a getto d’inchiostro. Pittura spray su pannello di formica… C’è una serigrafia della Ragazza col palloncino rosso (2004), gemella del quadro clamorosamente autodistruttosi in un’asta di Sotheby’s a Londra un mese e mezzo fa. C’è il celebre (è l’immagine-copertina della mostra) Love is in the air (2003), il contestatore dal volto coperto che lancia una molotov-mazzo di fiori. C’è il poliziotto con la faccia di Smile, c’è la bambina vietnamita investita dal napalm che cammina mani nelle mani col pupazzo di Topolino e il pagliaccio di McDonald’s.

Mostra Banksy

C’è l’immagine culto di Pulp fiction con due banane al posto delle pistole. Ci sono i cani che Keith Haring faceva coi gessetti e quelli che Jeff Koons fa con l’acciaio gonfiato, ma tenuti al guinzaglio dalle persone sbagliate. Ci sono api, Bobby di Londra, militari e Neanderthaliani che danno la caccia ai carrelli della spesa nel mezzo della savana. E poi ci sono gli amatissimi ratti «odiati, braccati, silenziosi, ma in grado di mettere in ginocchio un’intera civiltà» come dice Banksy che issano cartelli scioccanti. «Welcome to Hell!».

Mostra Banksy

Benvenuti alla mostra The Art of Banksy, a visual protest (fino al 14 aprile 2019) curata da Gianni Mercurio («È stato come lavorare con un fantasma. Comunque l’obiettivo non è rispondere alla domanda Chi è Banksy, ma capire cosa fa l’artista») con 80 tra dipinti, prints numerati, memorabilia (adesivi, stampe, magazine, fanzine…), fotografie, video e circa 60 copertine di vinili e cd musicali disegnati dal misterioso uomo, o donna chissà, di Bristol.

BANKSY

Mostra unofficial, ma che è già «in». La prima noi nel 2016 avevamo visto War Capitalism & Liberty a Palazzo Cipolla a Roma, meno scientifica ma più scenografica – in un museo pubblico italiano. Tre temi-sezioni: la ribellione, a partire da quando si faceva street art ancora con lo stencil, per poter eseguire lavori elaborati e illegali con la massima velocità; i «giochi di guerra», declinati in lotta anti-sistema e contro il potere; e il consumismo, prendendo di mira (contraddizione volutamente apparente, viste le quotazioni di Banksy oggi) il sistema dell’arte e del mercato.

In più un documentario di 20 minuti sulla vita del misterioso artista tra periferie e spazi urbani (forse la cosa più bella della mostra) firmato da Butterfly Art News, la coppia di fan e collezionisti che seguono Banksy da vent’anni e che hanno prestato una buona parte delle opere in mostra (e probabilmente sono anche dentro l’entourage dell’artista…); e una stanza-multimediale che «mappa», proiettandoli sulle pareti, tutti i murales realizzati da Banksy nel mondo.

Mostra BanksyBanksy is not on Facebook (su Instagram sì) e qui a Milano, dentro il «Museo delle culture», trova illegalmente un posto ufficiale dentro l’arte contemporanea. Che per anni lo ha disprezzato, e ora lo mette in mostra. Per qualcuno (come il curatore Gianni Mercurio) «è il più grande genio della comunicazione dopo Andy Warhol». Per altri è un fenomeno, non solo mediatico, destinato (ma per quanto?) a durare. Per il resto, guardatevi attorno. Può essere qui, dietro di noi, ora. A guardare se stesso.

Un tempo quando l’arte valeva meno, ma era un valore un artista diventava famoso perché speciale. Ora in tempi di talent, reality e virtuale un artista può essere speciale soprattutto perché è famoso. Nonostante il cappuccio in testa.

Articolo di Luigi Mascheroni per il Giornale

LA RIVINCITA DELLA STREET ART

LA RIVINCITA DELLA STREET ART

 

 

COME PASSARE DAI MURI DI PERIFERIA A QUELLI DI UN MUSEO?- I DUBBI E LE CRITICHE CHE PRECEDONO LA MOSTRA STREET ART-BANKSY & Co. ALLESTITA A BOLOGNA- ESPOSTI CENTINAIA DI LAVORI DI ARTISTI NOMADI E MISTERIOSI DI TUTTO IL MONDO-UN EVENTO DA NON PERDERE PER CHI AMA GIRONZOLARE FRA I VICOLI E LE STRADE DELLE CITTA’.

 

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Dal 18 marzo apre a Palazzo Pepoli a Bologna la mostra Street Art- Banksy & Co- L’arte alla stato urbano. Sostenuta da Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, curata da Luca Ciancabilla, Christian Omodeo e Sean Corcoran, voluta da Fabio Roversi Monaco, presidente di Genus Bononiae. È la prima grande retrospettiva, forse il più grande progetto espositivo a livello europeo di questo tipo, che ricostruisce, attraverso le opere più significative, la storia della street art e che- grazie ad un gruppo di esperti nel campo della street art e del restauro- permetterà di avviare una riflessione sulle modalità della salvaguardia, conservazione e musealizzazione di queste opere d’arte entrate a far parte dell’esperienza urbana in tutte le città del mondo da almeno 50 anni.

Se si pensa al fatto che alcuni mesi fa Alice Pasquini, nota writing romana/bolognese, è stata denunciata dai vigili urbani della città felsinea e condannata per avere “imbrattato” i muri della città, si ha l’esatta dimensione di come il tema sia controverso.

L’artista, delusa e amareggiata così  commentava su Facebook: “Penso di aver contribuito a valorizzare la città e non ad imbrattarla, soprattutto perché le opere sono state realizzate in aree degradate. Oggi invece é stato sancito il principio secondo il quale ogni espressione artistica é reato. (…). E lo stesso comune di Bologna sembra che voglia ospitare le opere di strada in un museo. E allora perché condannare me, nonostante il parere contrario del PM? Sono amareggiata, ma pronta a far valere le mie ragioni in appello”.

In questi decenni, writing, street-artist e altre espressioni artistiche affini hanno cambiato il nostro modo di relazionarci con lo spazio urbano. L’uso di nuovi materiali, come le bombolette aerosol e i pennarelli negli anni ’70 e ’80, la tecnica dello stencil; le nuove tecnologie digitali a basso costo, a partire dalla fine degli anni ’90 fino ad oggi, hanno mutato il gusto delle persone, gli stili grafici, ponendo l’interrogativo di come passare dal graffito (deperibile per definizione) all’opera d’arte museale (da conservare), senza snaturare il linguaggio effimero e immediato della street-art, il suo valore certamente estetico, ma anche di documento della storia della città, degli stili di vita e della dinamiche sociali, della evoluzione culturale che ci stanno dietro.

Si legge nelle presentazione della mostra: “La mostra Street Art – Banksy & Co. è un modo originale e unico per scoprire la storia dell’arte di strada nella New York degli anni ’70 e ’80, per capire che le città vivono e comunicano anche attraverso un sovrapporsi non regolato di parole e per apprezzare una selezione di opere che offrono un ampio campionario della street art degli anni 2000” L’evento porterà inoltre per la prima volta in Italia la collezione donata nel 1994 dal pittore statunitense Martin Wong al Museo della Città di New York. Altre opere arriveranno da Amsterdam, Parigi, New York e Roma, dalla Germania. Non poteva mancare il capofila, vale a dire Banksy, poi i brasiliani Os Gemeos, l’americano John Fekner e Rammellzee, da New York. Quindi tanti italiani, a partire da Tommaso Tozzi, uno dei primi writer nostrani, attivo a Firenze per tutti gli anni Ottanta, poi quelli del gruppo Blu e della «scuola bolognese»: Cuoghi Corsello, Dado, Rusty. Oltre ai controversi graffiti staccati in città, sono in esposizione scritte, foto, installazioni, video, appunti, quaderni, blocchi da disegno, interminabili elenchi di tag, né potevano mancare pezzi di muro veri e propri, picconati e portati via da collezionisti o semplici amanti della street art in giro per il mondo.

Ma la mostra pone anche altri interrogativi: quali tracce di queste culture stiamo trasmettendo al futuro? Quali modalità e quali approcci sono da prediligere per salvaguardare questo fenomeno? Che ruolo avrà il museo in questa prospettiva?”

Cerca di dare la sua risposta il co-curatore Omodeo: “ ho visto nella mostra la possibilità di parlare di graffiti ma anche di un fantasma che agita questo ambiente fin dagli inizi: come portare l’estetica urbana in un contesto di galleria o museo, come mostrare al grande pubblico la street art e i graffiti che ormai si sono “istituzionalizzati”.

Apertamente critici e contrari all’iniziativa sono Fabiola Naldi, critica d’arte conosciuta in città come una delle massime esperte di graffiti,  e Ericailcane, writer di fama, di casa a Bologna: il disegno di un ratto e una scritta contro tombaroli  e sedicenti restauratori senza scrupoli, non lasciano nulla all’immaginazione. In mostra una sola opera, mi pare, di Ericailcane: Senza titolo del 2003, proveniente dalle ex officine Cevolari. Eppure, l’artista oltre ai muri di mezzo mondo non disprezza gli spazi espositivi. Ericailcane, un bellunese che al secolo farebbe Leonardo, è oramai un artista quotato e, gli piaccia o meno, ha suscitato l’interesse dei galleristi, insomma si è “istituzionalizzato” pure lui. Non mi sembra il caso di strepitare, né di affogare sotto gli scrupoli. In fondo un artista una sola cosa dovrebbe amare più di tutte: che la gente, tanta gente, quella di oggi e quella di domani, guardi la sua opera. Di lui trovo sul web questa descrizione: “Più che un artista un creatore di incubi e sogni sotto forma di animali, esseri favolistici sbucati fuori da un’incisione medioevale e piombati su palazzi fatiscenti e mostri di cemento. Un universo che attinge a piene mani dalla cultura pop per poi rivoltarla come un calzino e generare allegorie viventi della natura, capace di riprendersi lo spazio sottratto con personaggi grotteschi e surreali.” Il grottesco e surreale possono ben stare appesi in una galleria d’arte, anche se hanno visto la luce sotto un ponte o su un lastricato di periferia.

Anche Blu è fortemente contrario, ha oscurato i suoi lavori è ha invitato a boicottare la Mostra. Su Facebook sono già state raccolte mille adesioni. Sul muro rimasto grigio dopo l’opera di auto-cancellazione voluta da Blu compare una specie di epitaffio: «Rimpianti sì ma in ogni caso nessun rimorso», mentre sul blog dell’artista si leggono poche righe: «A Bologna Blu non c’è più e non ci sarà finché i magnati magneranno».

Non poteva mancare un commento di Vittorio Sgarbi: ” Gesto nobile e autentico quello di Blu, che restituisce alla strada quello che nella strada è nato. E non è nato perché qualcuno lo abbia commissionato, ma per un gesto di trasgressione che rappresenta la posizione e la ribellione dei writers alle regole della società……È un paradosso, ma è del tutto legittimo che Blu distrugga quello che ha fatto, per impedirne «l’ estraniamento» nella ospedaliera sede museale, sradicando i graffiti dai luoghi dove sono stati realizzati e dove hanno il senso della storia, della libertà e della eversione. La rivoluzione non può essere portata in salotto. Meglio il cupio dissolvi.”

Non la pensa così Camillo Langone, che sul Foglio del 15 marzo 2016 scrive:Blu è un bravo artista ma purtroppo, come molti suoi colleghi, è un artista politico, ideologico, e i suoi murali disturbavano chi, come me, non la pensa come lui. Proprio perché è bravo e proprio perché è politico il posto giusto per i suoi lavori è precisamente il museo, così chi li apprezza può ammirarli con agio e chi li detesta non deve subirne l’angosciante retorica”. Amen.

La carrellata di foto che corredano l’articolo chiude con un lavoro eseguito in congiunta fra Blu e Ericailcane (prima che decidano di sbianchettarlo).

Notizie sulla mostra si trovano all’indirizzo http://www.mostrastreetart.it/. La mostra chiude il 26 giugno 2016. Mentre dell’appello di Alice ( www.alicepasquini.com/it ) non si sa ancora niente…. ahi, la giustizia italiana! Auguri! Alice….siamo con te!! Nel frattempo sentitevi una sua intervista che ho scaricato da youtube.

Alla fine potrete vedere la foto scattate dal nostro collaboratore Mario Mirto a Fonni, paesino delle montagne del Gernargentu in Sardegna, già al centro di un servizio fra i più visitati del sito. Siamo di fronte a murales di tipo tradizionale, a scopo turistico- folcloristico, ma di sicura presa. Non aprono a visioni urbane di avanguardia e avveniristiche, ma sono opere che hanno il pregio di tenere viva una tradizione e dei costumi attorno ai quali la comunità locale trova un forte legame identitario.

 

 

 

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BANKSY DELLA BASSA

BANKSY DELLA BASSA

Banksy della Bassa

In una vecchia corte, fra capannoni dismessi e vecchie costruzioni addossate alle mura trecentesche della città veneta che sto visitando, ho scoperto il Banksy italiano. Le opere murali si snodano lungo un quadrilatero sghembo e non c’è parete che non sia dipinta. Alcune opere risalgono a qualche anno addietro, quando di Banksy e di altri street artist nulla si sapeva. Sono murales oramai ammalorati dal tempo, i colori sbiaditi, pezzi di intonaco caduti interrompono una linea o decapitano una mano o un naso, l’erba da sotto incalza, il muschio o la muffa scuriscono quello che rimane. Ciò nonostante è valsa la pena soffermarsi, approfittando di un mattino silenzioso e insolitamente chiaro per questi cieli caliginosi.Armanni antiviolenza

I murales sono spesso monocromi, ogni tanto qualche scheggia di colore, ma predomina un celeste smorzato  e freddo, a tratti cenerino. Il tratto è sommario, schematico, il pittore pare più attratto dall’idea che non dalla forma o dalla tavolozza. Nei ritratti i volti sono anonimi, oppure, come nel caso del multi-Matteotti, si limitano a cogliere l’aspetto saliente, procedendo più per macchie che per linee. In alcune opere compare la firma: L. Armanni, in altre la sua mano si indovina.

E’ difficile dare un significato unitario al ciclo, probabilmente cresciuto a caso, per ricordare, di volta in volta, qualche avvenimento, o per accontentare un associato. Infatti, nella corte in cui mi trovo, da decenni ha sede il circolo degli artisti, di cui Armanni è il principale animatore.

Il primo murale che mi colpisce rappresenta una Vittoria delacroixiana che brandisce la spada e sottomette il drago, con la scritta: antiviolenza. Più avanti un san Giorgio o un angelo vendicatore sottomette un drago, dalle fattezze umane, che sembra uscire dalle acque.Armanni drago Sempre nel tema va inserito il lavoro forse più bello per forza dinamica e resa concettuale: una donna che precipita nelle acque, fra bianche spume che sembrano sorreggerla ma anche ghermirla. Un’opera ambivalente, fortemente drammatica, che ricorda il Picasso di Guernica, specialmente in quel braccio vibrante, scagliato verso il cielo, quasi fosse un urlo. Il tratto rapido e conciso di Armanni riesce in questo caso a raggiungere la sua massima espressività, con risultati meno sommari che altrove e di notevole impatto emotivo.Armanni Guernica

Clima diverso nei ritratti, tutti resi con pochi tratti asciutti. Due solenni e impettiti uomini in blue, che recano in omaggio un modellino di sommergibile, inequivocabile scena cerimoniale. Il Carlo (san Carlo? vista l’aureola che ne circonda il capo) dallo sguardo lontano e attonito. L’immagine del santo in talare bianco e zucchetto, simile ad un papa. Un discorso a sé merita il ritratto multiplo di Matteotti. Partendo dalla classica iconografia del martire socialista, posta al centro, i visi si moltiplicano e si alterano, quasi che l’autore volesse rivelarci un Matteotti diverso, darci di lui una interpretazione meno eroica, ma più umana e vicina. E’ il murale più danneggiato dal tempo e poco leggibile.

I due uomini che brindano è l’opera strutturalmente più complessa, in cui il linguaggio pittorico colto, dissimulato altrove, traspare in maniera inequivocabile:i giochi dei pieni e dei vuoti, la sapiente prospettiva, recuperata con due visi in primo piano e l’alternarsi dei gradini sul lato sinistro, il tavolo al centro, unica macchia di colore in cui si condensa tutta la lezione cubista.Armanni osteria

La scena di interno con figure, firmato a datato 2009, è murale sostanzialmente monocromo, impreziosito dal dettaglio del disegno; cristallizza un evento infausto appena annunciato. Questo spiega l’immobilità dei corpi, la sedia vuota in primo piano, la figura che si stringe il capo, reclino sulla tavola, e un’altra, dal lato opposto, messa  addirittura di spalle.

E’ possibile trovare un filo conduttore fra queste opere? L’amico che mi accompagna e che conosce Armanni è meno perplesso di me: “Luigi è un uomo ruvido e spiccio. Un uomo della Bassa, che ama il silenzio, ma nello stesso temo curioso di natura, ama le storie e la gente, è facile a incapricciarsi di ogni tipo stravagante e originale. La lotta alla violenza e le scene quotidiane da lui rappresentate in questi lavori sono nella sua natura di pacifista e libertario, ma anche di individualista compassionevole. A Luigi piace pasticciare, recuperare oggetti e assemblarli. E’ anche uno scultore originale. Il paragone con Banksy finisce qui: Luigi non è un umorista, ne c’è satira nei suoi lavori. Anche la tecnica è diversa. Armanni forse non sa nemmeno cos’è uno stencil. Però, a modo suo, questo mondo padano, lo rappresenta”. L’amico rivolge lo sguardo verso una meridiana, un’opera di raffinata esecuzione: “vedi, il giorno inizia ancora col canto del gallo e finisce con la cena serale, magari al calare del sole”Armanni osteria 1

E, a proposito di sculture, l’amico mi indica un legno colorato che sta aggrappato ad un muro: è il più famoso personaggio dei fumetti di Ugo Pratt: Corto Maltese. Bisogna riconoscere che in questa opera, assemblata con legno di risulta, Armanni ha saputo conservare intatta la spavalda e affascinante aria del personaggio, senza limitarsi ad una smorta replica.

Lasciando la corte scatto alcune foto. Fra qualche anno l’opera impietosa del tempo avrà cancellato tutto, se non arriveranno prima le ruspe per una bella “lottizzazione”. Ma qualcosa ora rimarrà e Luigi Armanni, senza saperlo, ne sarà felice.

 

Armanni 3Armanni CarloArmanni 1Armanni meridianaArmanni CortoArmanni Matteotti

 

 

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