BERGOGLIO

BERGOGLIO

IN UN LIBRO INTERVISTA PAPA BERGOGLIO CONFESSA QUANDO LA SUA FEDE VACILLO’– UNA GRANDE DESOLAZIONE, UN TEMPO OSCURO DURANTE IL QUALE LA SFIDA PER LA FEDE E CONTRO IL MALE GLI SEMBRO’ PERSA- “POI HO APERTO UN’ALTRA PORTA” .

 

PAPA BERGOGLIO SI SCACCOLA E POI DEGUSTA

Papa Bergoglio colto in un momento di trasferimento

 

Dice di aver vissuto «il tempo di una grande desolazione, un tempo oscuro». «Credevo – continua – che fosse già la fine della mia vita» perché «sì, facevo il confessore ma con uno spirito di sconfitta». E ancora: «Ho pregato tanto, in questo tempo, ma ero secco come un legno» perché «credevo che la pienezza della mia vocazione fosse nel fare le cose». Tuttavia, «non ho lasciato la preghiera e questo mi ha aiutato».

PAPA BERGOGLIO CON L OCCHIO TUMEFATTO

Il Papa dopo l’incidente che gli ha tumefatto un occhio

 

Non ha paura di parlare di sé, Papa Francesco, entrando anche nei momenti più riservati e insieme bui della sua vita. Le parole che lui stesso dice a braccio incontrando la settimana scorsa i parroci di Roma nella basilica di San Giovanni in Laterano, infatti, sono la parte più intima della sua vita e vanno a svelare, con semplicità, il tempo di una sorte di notte oscura vissuta dal futuro Papa in Argentina fra l’ inizio degli anni ’80 e il 1992, l’ anno in cui Giovanni Paolo II lo nomina vescovo ausiliare di Buenos Aires. Dopo una telefonata del nunzio vaticano in Argentina, Ubaldo Calabresi, «ho poi aperto un’ altra porta», racconta.

PAPA BERGOGLIO CON I GIORNALISTIBergoglio, che nel 1981 compie 45 anni, vive un momento di difficile passaggio della sua esistenza. Dopo essere diventato a soli 37 anni superiore della provincia argentina della Compagnia di Gesù, e poi rettore del Colegio Máximo di San Miguel, diventa confessore, incarico nel quale non si ritrova del tutto. Trascorre un periodo in Germania dedicato a terminare una tesi dottorale su Romano Guardini che tuttavia non arriverà mai a discutere, e poi parte per Córdoba dove «come lavoro» fa il direttore spirituale e il confessore della chiesa della Compagnia di Gesù.

un giovane jorge mario bergoglio

Jorge Mario Bergoglio giovane

Sono anni duri per lui, di buio, anche di incomprensioni all’ interno della Compagnia, un periodo che i biografi definiscono di «esilio». E nei quali Bergoglio deve ripetersi spesso: «Adesso non so cosa fare». Mai avrebbe immaginato cosa sarebbe accaduto dopo; la nomina a vescovo ausiliare, la guida dell’ intera diocesi di Buenos Aires, l’ elezione al soglio di Pietro il 13 marzo del 2013, giusto cinque anni fa.

jorge mario bergoglio in argentina

Il futuro papa che celebra messa in Argentina

È vero, come rivela lui stesso in un libro-intervista scritto col sociologo francese Dominique Wolton, già nel 1978 vive un periodo d’ inquietudine – «il demone di mezzogiorno», come chiamano in Argentina la crisi di mezza età – affrontato «per sei mesi una volta alla settimana» con una psicoanalista ebrea che lo aiuta molto. Ma qui sembra che egli debba fronteggiare qualcosa di più profondo, una crisi nella vocazione risolta soltanto grazie alla preghiera, e in particolare a un rapporto «faccia a faccia col Signore, parlando, conversando, dialogando con Lui».

jorge mario bergoglio in argentinaLa notte oscura è di tante donne e uomini di fede, «una spina nella carne», dice san Paolo. Ne scrive Giovanni della Croce che parla di notte dei sensi e dello spirito, momento di travaglio, sofferenza, dubbio, senso di solitudine e d’abbandono da parte di Dio. Un’oscurità, spiega il carmelitano spagnolo, voluta da Dio per purificare l’anima dall’ignoranza e liberarla dagli attaccamenti ad affetti, persone e cose, che le impediscono lo slancio verso l’alto e l’ unione amorosa con Lui. La vive, fra i tanti, anche Teresa di Calcutta, che si sente per un lungo periodo «abbandonata da Dio». Sorride a tutti, ma dentro di sé non ha che buio.

papa bergoglio quando era arcivescovo di buenos aires

Jorge Mario Bergoglio ai tempi in cui era arcivescovo di Buenos Aires

Bergoglio non arriva a dire di essersi sentito abbandonato da Dio. Tuttavia, il suo smarrimento è reale. Ma, confida ancora ai preti romani, per molti sacerdoti può essere così: «È un momento aspro ma liberatorio. Quello che è passato, è passato». Dopo «c’è un’altra età, un altro andare avanti».

E, in effetti, tutto cambia successivamente. Il gesuita che nel ’78 sente, mentre si trova in macchina, che hanno eletto Karol Wojtyla al soglio di Pietro, un uomo del quale fatica a ripetere il nome, parte per Roma nel 2013 convinto di tornare a casa presto. Le cose vanno diversamente. Bergoglio diviene Francesco e dalla sua Argentina rimane lontano. Ma la crisi degli anni di Córdoba è oggi passata.

PAPA BERGOGLIO CON ARCIVESCOVO APURONAi suoi collaboratori ripete di non sentire alcuna nostalgia del suo Paese. Ha scelto di vivere a Santa Marta non per rifiuto del lusso dell’ appartamento apostolico, ma perché quelle stanze gli sembrano un imbuto all’ incontrario, una porta piccola all’imboccatura di spazi troppo grandi. A Santa Marta vede gente, prega, lavora, non si sente solo. La strada è spianata. La notte oscura sembra ormai svanita.

Paolo Rodari per “la Repubblica”

 

Matrimonio gay

Matrimonio gay

Papa Bergoglio in preghiera

Papa Francesco in preghiera

 

 

Il referendum irlandese sui matrimoni gay se fosse avvenuto in Italia avrebbe avuto un esisto ancora più schiacciante a favore dei sì. La posizioni di chi si oppone al varo di specifica normativa diventa, infatti, ogni giorno più debole. Il clima che si respira nel Paese, se non mi inganno anche nel campo cattolico, è lo stesso dei tempi del divorzio, gloriosa battaglia dei radicali italiani guidati da Marco Pannella. La posizione ufficiale della Chiesa (anche se Papa Francesco sembra manifestare qualche apertura) rischia di realizzare la perfetta eterogenesi dei fini. Mi spiego. Non si tratta qui di equiparare cose diverse o di metterle in concorrenza fra loro: ogni persona di buon senso sa che la famiglia composta da uomo e donna è un modello di riferimento consolidato antropologicamente, anche se culturalmente non universale, ma in ogni caso ineludibile. Lontano da me ogni ragionamento di relativismo culturale o di indifferenza. Il fatto è che il c.d. matrimonio gay è cosa diversa: si tratta di riconoscere una unione fra persone dello stesso sesso dal punto di vista civile per disciplinare, senza discriminazioni ingiustificate, le conseguenze personali e sociali che tali unioni possono dare. Opporsi a tale linea, sulla base del presupposto che altri modelli di famiglia non possono essere dati, vuole dire mettere sullo stesso piano  e omologare proprio ciò che assertivamente è diverso e inconciliabile: cioè  favorire l’esatto opposto di quanto si teorizza. Ecco perché credo che la posizione della gerarchia cattolica sia sbagliata e perdente. Un ragionamento altrettanto esplicito va fatto per quanto riguarda la possibilità per le coppie gay di adottare. Va da sé che se uno dei due partner ha già un figlio il problema non si pone nemmeno. Nei casi di adozione (procedura difficile, dicono i numeri, se già adesso molti sono costretti ad adottare all’estero) deve esiste uno e uno solo punto di vista: quello del bambino. Può crescere più sano e felice in un orfanotrofio, cioè in una istituzione che nel migliore dei casi può garantire la “manutenzione del corpo, ma non quella dell’anima”, oppure in un nucleo “famigliare” che lo accoglie e lo ama? Datevi voi una risposta. Si osserva: manca nella coppia gay il modello duale di riferimento genitoriale. Pazienza, non si può avere tutto, e poi la famiglia è oggi allargata per definizione da reti di frequentazione, ruoli sociali arricchiti, rapporti educativi plurimi, un tempo impensabili. E’ giunto il momento che la politica decida e che il Parlamento trovi il tempo per disciplinare la materia, prima che gli schieramenti opposti sollevino tanta polvere e alzino gli scudi.

 

Noi tutti diversi

Noi tutti diversi

Black-blok

Black-blok

Ho riflettuto a lungo circa l’origine dell’atteggiamento omologante oggi di moda, che non solo annulla le differenze, o aspira a farlo, ma impedisce il giudizio, inteso come valutazione etica dei comportamenti. Tale atteggiamento largamente dominante, anche in chi si limita passivamente a subirlo, lo vediamo all’opera in ogni contesto, pubblico o privato.

Le motivazioni sono diverse, ma il risultato è uno solo: la rinuncia preventiva e auto censurante alla formazione di una opinione su ciò che sia bene o male fare. Bene o male intesi sia nel loro valore pratico e utilitaristico, sia dal punto di vista etico. Parliamo, attenzione, di comportamenti agiti, non di categorie astratte o di modelli di riferimento, suggeriti o imposti.  Tale atteggiamento (che tento di riassumere sociologicamente in inazione o apatia di ruolo e di valori)  lo vediamo in famiglia, sul lavoro, nel mondo politico, lo leggiamo sui giornali. Anche la Chiesa ne è stata contagiata in questi decenni, rinunciando al suo magistero. Ora papa Francesco, con semplicità ma efficacia, non manca di pronunciare giudizi anche severi, a chiamare ladri i ladri e  lo sterminio di un popolo olocausto.

Papa Francesco

Papa Francesco

In questo clima, il genitore non è più una guida responsabile, ma un amico compiacente, meglio se distratto; la famiglia sopravvive nel suo ruolo strumentale; la scuola, sovraccarica di compiti, fra le macerie di riforme abortite e in mano a sindacati ottusi, pratica un egalitarismo che prescinde da meriti e bisogni; politica e istituzioni, compreso anche il sacra sanctorum delle Corti, naufragano in un mare di sporcizie, non suscitando nemmeno più sdegno, ma solo rabbia impotente.

Il livellamento senza casi esemplari da inseguire, o lezioni da prendere e da cui imparare, senza rispetto di ruoli e senza richiamo a responsabilità, lavoro e sacrifici, ha portato alla pacifica accettazione di tutto, alla edulcorazione dei comportamenti, alla abolizione di censure e alla rinuncia del conflitto, trasformato in schiamazzo fra compari sul web, il luogo non luogo dove non vale la censura della parola, anzi meglio che sia sboccata e rapidamente trasformata in parolaccia. Quest’ultima è ammessa in rete, anzi richiesta, mentre nella vita reale non si può dire pane al pane e vino al vino, né chiamare le cose col loro nome, la realtà viene camuffata nella sua allegoria edulcorata, come pietre avvolte nel cellophane. Per non ferire le sensibilità dei “diversi”, si è abolita la categoria anche quando essa non vuole dire discriminazione o emarginazione, anzi al contrario sensibilità e apertura, accoglienza e cum passione. Nel dibattito si assistere alla prevaricazione dei pochi sui molti, le minoranze si ergono a modello, dotato de ipso di innata perfezione. Di alcuni, se non si parla è perché si è egoisti e classisti, quando se ne parla lo si può fare solo parlandone bene, a prescindere. Alcuni sembrano immuni alla critica e con l’assoluzione incorporata.

Perché tutto ciò è avvenuto? La mia idea è che l’uomo contemporaneo, senza radici e modelli, sia affetto da una fragilità congenita che lo ha ridotto all’afasia civile e alla cecità morale. Unire debolezze non fa forza, purtroppo. La realtà è che siamo tutti “diversi”, estranei a noi stessi, senza saperlo o riconoscerlo.

 

Contact Us