DAGO

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DAGO: SONO GAY DALLA VITA IN SU’– L’ARTE E’ OMOSESSALE O NON E’- I LITIGI CON SGARBI E IL FASCINO DI FEDERICO ZERI, GRANDE ESPERTO D’ARTE- LA ROMA TRASGRESSIVA DEGLI ANNI 80 E RIMINI DI TONDELLI NEI RICORDI DI ROBERTO D’AGOSTINO.

 

Sette puntate, su SkyArte. Roberto D’Agostino, Dago per i nemici, torna in tv, nella sua nuova incarnazione, con Dago in the Sky. La prima puntata, a parlare di arte e omosessualità.

Roberto Dagostino

Roberto Dagostino

Come mai questo tema?

Datemi un pene e vi solleverò il mondo. È chiaro che l’arte nasce con l’omosessualità. Tutto nasce da lì. Lo dice anche Vittorio Sgarbi, nel programma: «L’arte è omosessuale o non è».

Con Sgarbi ormai siete una coppia di fatto.

Ho partecipato al Maurizio Costanzo e abbiamo rivisto il nostro scontro del 1991 (quello del famoso schiaffo, nda). È stato veramente imbarazzante rivederlo sul grande schermo. Ma in realtà quella cosa nasceva da una grande gelosia per un amore contrastato. L’amore per Federico Zeri (grande critico d’arte, poco ortodosso, burlone, autore con Dago di un celebre ‘’Sbucciando piselli’’, 1990, nda). Zeri aveva un discepolo, Sgarbi, e poi aveva un amico, che ero io. Poi era successo un casino Londra che portò all’allontanamento di Vittorio.

Vita con Zeri

Dall’alto della sua immensa, interdisciplinare cultura, Zeri era un po’ il padre per noi, un Maestro di vita, un idolo per cui avevamo una sorta di follia, di ammirazione per lui. Dopo Londra, frequentai per sei mesi, ogni giorno, Casale di Mentana (località in provincia di Roma, dove viveva Zeri, nda). Seduto al suo fianco, quaderno in mano e registratore sulla scrivania, ho vissuto i sei mesi più pazzeschi della mia vita. Arrivava chiunque. Chessò, Gianni Agnelli con l’elicottero, atterrava nel giardino. Zeri era il suo consulente per gli acquisti importanti.

Vittorio Sgarbi

Vittorio Sgarbi

Era gay, Zeri?

Ma no, questa è una cazzata. Era asessuato, non aveva alcuna disposizione per l’altro sesso, né per il suo. Ce ne sono tante di persone così, eh. Mica è obbligatorio avere una vita sessuale.

Ci credo, ci credo.

Però aveva avuto un grande innamoramento per la figlia del conte Cini, ma quello aveva posto il veto, non essendo Zeri aristocratico, qualcosa del genere, tipico degli anni Cinquanta.

Sgarbi era geloso di te?

Ci eravamo conosciuti alla presentazione del mio primo libro, ‘’Look parade’’, a Roma, nel 1985, sulla scia di “Quelli della notte”. Era venuta Marta Marzotto portando questo bel tipo che scappava da Milano, aveva messo incinta Patrizia Brenner, una della famiglia Rusconi, e la famiglia le aveva impedito di sposarlo, dicendo che era un arrampicatore sociale, che le voleva portare via i quattrini. Per un po’ abbiamo fatto coppia, mi era molto simpatico, sveglio e curioso, presenziavamo a tutte le feste, e poi avevamo interessi perfettamente complementari, a me piacevano le giovani, a lui le vecchie.

Tu hai sempre detto che sei gay dalla vita in su. Mai sceso sotto?

Mai. Mai provato quel trasporto lì. Però ho una grande ammirazione, anche invidia, per i grandi scrittori omosessuali, Proust, Capote, Arbasino.

Citi tre scrittori che hanno fatto del gossip un’arte.

Federio Zeri

Federio Zeri

La vita si sconta spiando. I fatti degli altri, naturalmente. Il pettegolezzo è il normale rumore di fondo della civiltà, un modo importante di raccontare le piccole storie, senza cui non ci sarebbe forse oggi la Storia. Bisogna dunque riconoscere che l’arte della diceria non è un genere letterario, ma la letteratura un settore molto fortunato del gossip. Da mille portinaie nasce un Proust, non viceversa. È sempre stato così. Arbasino è sempre stato il mio faro di civiltà. E poi Penna. E Tondelli.

L’hai conosciuto, Tondelli?

Certo. Ci frequentavamo, a Roma, negli anni Ottanta. Lo portavo a mangiare le fettuccine dietro Fontana di Trevi. Era pieno di contrasti, affascinante. Un’aria serissima, occhialetti da nerd, una voce molto maschile, non era per niente effeminato. Io gli ho presentato il romanzo ‘’Rimini’’ al Grand Hotel di Fellini nel 1985. Me lo ricordo bene, eravamo nel giardino, io portavo un turbante.

Perché il turbante?

Ma che ne so, era l’epoca in cui portavo un turbante che era stato confezionato con gli stracci per pulire per terra, regalo di una stilista post-punk. A un certo punto, quando il giardino dell’hotel è già pieno di giornalisti e combriccole gaie giunte da ogni dove (Pier era per loro l’Isherwood italico), quelli della Bompiani vanno nel panico, all’epoca non c’erano i telefonini, Pier non si vede, scomparso, dov’è finito? Vado su a cercarlo e appena apro la porta della sua camera, vedo che c’è una vera e propria una simpatica orgia in progress, tutti che si spompinano allegramente, e lui che non vuole scendere. Allora gli dico: «Pier, che famo? Scendi, dai, c’è una folla che ti attende!».

Era divertente la riviera romagnola?

Pier Vittorio Tondelli

Pier Vittorio Tondelli

Scherzi? Rimini all’epoca era meglio di New York e Los Angeles messi insieme, noi da Roma ci andavamo sempre, sei ore di macchina per una notte in bianco. Sulla Costa succedeva qualsiasi cosa. Al Pascià di Riccione, la pista da ballo era occupata da un gigantesco lampadario che la copriva tutta, finché partiva la musica, dj quel genio di Marco Trani, il lampadario si alzava e la gente scivolava sotto tipo serpenti, strisciando. Una volta dovevo fare un servizio tv per “Mixer” sugli after-hours di Gabicce, la ragazza con cui stavo, una vj di Videomusic, mi dà un acido. Ma alle 6 del mattino si girava il servizio e non riuscivo a riprendermi dallo “zuccherino”, ero totalmente sballato, “fuori”, alla fine con un po’ di cocaina siamo riusciti a bilanciare l’effetto dell’acido, tipo omeopatia, curiamo la droga con altra droga. Non ho mai visto poi quel servizio né mai lo voglio vedere. Ecco: nessuno potrà mai raccontare quella vita là perché eravamo troppo fatti per ricordarla. Poi è finito tutto con l’Aids. Oggi Ibiza è diventato il luogo di divertimento della borghesia in cerca di qualche brivido di breve durata; Mykonos è rimasta gay ma è tutto è diventato routine, un po’ un carnevale obbligatorio. Chi vuole un po’ di trasgressione va a Londra, alle serate clandestine del Torture Garden. Una volta il Torture Garden lo facevano ogni weekend a Gabicce.

E Roma era molto gay?

Ma certo. Tutto nasce sulla pista dell’Easygoing, un locale degli anni Sessanta a due passi da piazza Barberini. Era tutto decorato da immagini ferocissime di Tom of Finland, e l’ingresso era fatto come un vecchio cesso pubblico, piastrellato. I locali a Roma o erano gay o non erano divertenti. Non è che andavi al Jackie ‘O o al Bella Blu. C’era il St. James a porta Pinciana, dove nottetempo andavano tutte le marchette di Termini.

Moana Pozzi

Moana Pozzi

Ma Milano oggi non è più gay di Roma?

Dipende. Forse sul versante glamour. Conosco certi milanesi però che impazziscono per il Muccassassina, a Milano non ce l’hanno quel miscuglione lì. Pensa che il primo Muccassassina era di proprietà del Vaticano: era in un ex cinema, il Mercury, a Borgo Pio, e gli organizzatori ogni mese pagavano l’affitto al Papa! Su quel palcoscenico vidi la divina Moana Pozzi. Poi la cosa venne fuori sui giornali e il Vaticano li sfrattò di corsa.

Dopo l’edonismo reaganiano, avremo un edonismo trumpiano?

No, perché quello era la belle epoque degli anni Ottanta, ricerca del piacere di lunga durata dopo gli anni Settanta pieni di ideologia e sangue, idee suicide e ideali mummificati. Oggi, con la globalizzazione tecnologica, il mondo si è impoverito, il futuro è qui, cazzo! e ci terrorizza. Trump non è edonismo ma libertinaggio, orientato sull’orgoglio coatto, che  permette di vendicarti del politicamente corretto delle èlite con borsetta Prada e attico nel centro storico.

Però Melania promette grandi soddisfazioni.

Beh, lei è una femmina d’antan, al guinzaglio del maschio, che si sente rassicurato nella fatale erezione, anziché sotto esame come uno scolaretto. Quindi agli antipodi di Hillary, che era chiaramente il maschio di casa. Una che, per rompere il soffitto di cristallo, è finita per rompere la tazza del cesso.

 

Interista di Michele Masneri per http://www.rivistastudio.com

 

 

B.B. KING, the thrill is gone.

B.B. KING, the thrill is gone.

B.B. King

B.B. King

’The thrill’’ stavolta è davvero andato. E ci lascia piu’ soli. Sempre piu’ soli. Riley B. King, noto come B.B. King, se ne e’ andato. A 89 anni. Dicono che avesse dagli 8 ai 15 figli, aveva avuto due mogli ma vi posso assicurare che oggi non solo loro due e loro, 8 o 15 che siano, non solo la nera Lucille, la sua chitarra Gibson preferita piangono, siamo in tanti. In silenzio. No, ascoltando la sua musica. Da solo o con tanti dei suoi ammiratori allievi, primo tra tutti Eric Clapton.  Non sembra possibile che non ci sia più, che con la sua debordante fisicità ci rassicurava. Era nato in Mississippi, da bambino nella “terra della speranza e della libertà”, lavorava nei campi di cotone, stando bene attento al Ku Klux Klan. A 12 anni la prima chitarra poi una regalatagli da un suo cugino, Bukka White, grande bluesman. Nel gospel certo, eccelleva, ma la chitarra, la chitarra, la chitarra. Ha suonato con tutto e con tutti e ovunque, ha fatto discepoli ovunque ma senza mai prendersi sul serio. Era un negro, non un afro-americano. Alla sua negritudine ci ha tenuto e teneva sempre tantissimo. Un negro orgoglioso di essere tale e di essere discendente di schiavi che su quella terra avevano perso la vita dopo inenarrabili sofferenze. Di lui no, non si può dire quale sia stato l’incontro che lo ha segnato perché la vita del musicista blues di allora era un’avventura. Una grande, spesso pericolosa, avventura. Come dimostra la coltellata che pose fine alla vita del più grande bluesman, Robert Johnson. B. B. King aveva 89 anni, soffriva di diabete perché musica blues, donne e cibo erano state le sue grandi passioni. Il numero di figli lo dimostra, non quello delle consorti, il diabete che lo fiaccava sempre più negli ultimi anni. Quella pancia, quel fisico troneggiante che ci rendeva tranquilli.

Paolo Zaccagnini, il critico musicale autore dell'articolo.

Paolo Zaccagnini, il critico musicale autore dell’articolo.

Tre ricordi soli, l’ho sentito innumerevoli volte. In piazza a Bologna, stavo col mio fratello di sangue blues Roberto D’Agostino a rendere omaggio a Papa’, se non ricordo male in una caldissima aribollente piazza Maggiore dove i “du’ matti”, io e Roberto, abbiamo rischiato sul serio l’infarto per il tanto ballare e dimenarsi e sudare. Un fresco dopo-concerto a Castiglion del Lago in Umbria. Aveva suonato a Umbria Jazz e a tavola, sotto le frasche che ci coprivano dal caldo agostano, aveva razzolato e spazzato tutto. Poi si era poi concesso un grande sigaro e me ne aveva dato uno, io andavo e vado avanti con i sigari toscani, e avevamo cominciato a parlare di musica e cibo. Io accennavo qualche domanda, volevo sapere qualche aneddoto ma lui B. B., era inamovibile, voleva sapere tutti i segreti della deliziosa cucina umbra. No, non sarebbe stato tipo da Eataly e Masterchef. Come si direbbe a Roma, “parla come magna”. No, “magnava come suonava, ‘na meraviglia”. E poi Parigi, per la prima del ‘’When love comes to town tour’’ degli U2, dove apriva il concerto per i giovani Bono e C.. Ero entrato prima, causa legami familiari, professionali e irlandesi, e mi potei gustare le prove, come mi e’ capitato spesso nel mio lavoro. E no, non potrò mai dimenticare gli sguardi, l’ho scritto oggi sul mio blog di Paul, Dave, Adam e Larry jr, seduti ai suoi piedi come scolaretti estasiati davanti a un docente affabulatore. E i suoi sorrisi e occhi allegri guardando Dave (“The Edge”) mentre inanellava, durante le prove, qualche assolo dove aveva deciso di non controllare piu’ il volo delle sue grosse dita. Ogni volte che si sente ‘’When love comes to town’ si sta bene, lo si sente e ci tranquillizza. Anche adesso che non c’e’ più basta sentire un qualsiasi brano dei suoi innumerevoli album e Cd per averlo vicino. Nel cuore. Che ci ha riscaldato innumerevoli volte. Lascio ai Critici il Giudizio Critico, io sono e voglio essere solo un fan di blues, rythm’n’blues, funk e rock’n’roll. E oggi, vi assicuro, e’ un maledetto giorno, Riley, ci mancherai Ma, ahimè, ‘’the thrill is gone’’. Stavolta per sempre.

Paolo Zaccagnini per Dagospia 15-5-2015

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