STORIA DI UNA TESTA

STORIA DI UNA TESTA

Beppe Grillo, che prometteva una rivoluzione stellare, la cancellazione dei partiti e delle leadership ovvero degli sfruttatori maledetti, realizzata attraverso la rete, strumento post-rousseauiano della democrazia diretta, con la conseguente abolizione dei parlamenti, i probi cittadini come costanti legislatori e detentori del potere per il bene del popolo, e tramite loro sarebbero state cancellate le abnormi ricchezze, sconfitta la povertà, sbaragliata la disonestà, il mondo trasformato in un villaggio verde coi mulini a vento, una detonazione d’amore senza gas e petrolio, tutti a curarsi con erbe di campo coltivate da ex vampiri di Big Pharma, e aveva affidato questa rivoluzione, che in confronto Robespierre sembrava un impiegato dell’anagrafe, a un gruppo di senzatetto vagamente alfabetizzati, pressoché estratti a sorte e capaci – si è scoperto ieri – di scrivere una legge sul superbonus con un tale ingegno che i suddetti probi cittadini si sono rubati quattro miliardi di euro, di cui due e mezzo ormai irrecuperabili – due miliardi e mezzo di euro !

Che non basterebbero le tangenti di ottanta Psi per assommarli – ed è finito nottetempo con lapis, visiera e mezze maniche a cercare il comma da opporre a un tribunale di Napoli per tenere in piedi questa combriccola di titani, e soprattutto per salvarsi le tasche, dopo avere devastato di scemenze un Paese che quanto a scemenze se la cavava benissimo senza il suo definitivo contributo, ecco, Beppe Grillo ieri ha detto senza pentimenti e senza imbarazzi di sentirsi il condom dei cinque stelle. In quanto fondatore, la testa giusta al posto giusto.

Dalla rubrica Buongiorno di Mattia Feltri, La Stampa

DA BUGLIANO A FRITTOLE

DA BUGLIANO A FRITTOLE

Conscio della più totale inutilità di questa rubrica, per una volta cerco di rendere un servizio pubblico dall’alto valore civico.

Mattia Feltri

Dunque, lunedì il comune di Bugliano, provincia di Pisa, ha avvertito i 49 non vaccinati (su 1324 abitanti) di sapere chi sono e dove vivono e andranno a prenderli. La notizia ha sollevato la più comprensibile indignazione. Vabbè, solo qualcuno si è indignato. I più ci hanno riso sopra perché Bugliano non esiste, tranne che su Facebook dove da oltre due anni si racconta la saga del paesello virtuale dove alla scuola elementare Bava Beccaris situata in via Lenin sono vietate le decorazioni natalizie e l’ingresso alle renne, pur se dotate di museruola. Non molti, ma non pochissimi, ci hanno visto un intollerabile attentato alle nostre tradizioni, e succede ogni volta, quando Bugliano annuncia di avere proibito il sesso ai no vax, di avere introdotto il green pass gold con sconti al supermercato, di avere richiesto i ristori per i mancati introiti dell’autovelox durante il lockdown, di avere emanato un’ordinanza con cui mettere fuorilegge l’uso della parola resilienza, di avere multato per schiamazzi un disabile chiuso in ascensore che urlava aiuto, di avere interdetto l’accesso allo scuolabus a un bambino non vaccinato che, costretto a farsi otto chilometri a piedi, è arrivato a scuola due ore in ritardo e ha preso tre in condotta. Ogni volta c’è chi ci crede e denuncia il vile oltraggio.
Comunque mi arrendo: la rubrica è inutile e ci sarà chi continuerà a cascarci. In fondo il servizio pubblico lo fa già Bugliano, perché ci spiega il mondo in cui l’inverosimile non lo è mai abbastanza.

Articolo di Mattia Feltri, La Stampa, rubrica Buongiorno

FELTRISSIMO, FRA UTILE E SUPERFLUO? L’ULTIMO CHE HAI DETTO!

FELTRISSIMO, FRA UTILE E SUPERFLUO? L’ULTIMO CHE HAI DETTO!

Se è vero, e non c’è ragione di dubitare, che il mondo per metà è da vendere e per metà è da comperare, coraggio, amici del consumismo, ci aspettano ancora molti acquisti.

Non date retta alla favola della cicala e della formica: probabilmente è stata scritta da un formichiere che voleva incentivare la riproduzione del suo nutrimento.

Che senso ha risparmiare due, dieci, cento milioni se poi non li spendi? Il risparmio non finalizzato ad una spesa è il peggiore dei vizi. Accumulare denaro per idolatrare delle cifre con molti zeri su di un libretto in banca, che orrore.

Vuoi mettere la gioia dell’investimento? Non mi riferisco a titoli e obbligazioni che sono una variante sofisticata del salvadanaio, ma ai generi di conforto, specialmente quelli molto voluttuari, i soli che rendano sopportabile la vita. Il distinguo è importante perché nessuno ci persuade che sia godibile il possesso del pacchetto di maggioranza della Bastogi, mentre è sperimentalmente provato che una cassa di champagne può rallegrare alcune serate.

E poi: è meglio un pomeriggio in borsa o dal sarto? Preferisci 500 azioni della Finmare o un motoscafo? Un aumento di capitale o una “spider” inglese? Un dividendo con il direttore della Cariplo o una settimana a Mombasa con tre ballerine etiopi?

Comprare è un’arte che si impara con molti sacrifici, e ci vuole predisposizione. Tutti sono capaci di spendere 50 milioni, avendoli, per essere proprietari di un palazzo. Ma pochi sanno comperare una cravatta, un’acqua di colonia, un gatto, un tappeto, un orologio, un pianoforte una pipa o un disco di Bobby Solo.

Il problema è la scelta, occorre un lungo esercizio, anni e anni di struggente esame delle vetrine, bisogna aver covato il desiderio dell’oggetto per un giusto periodo. E l’oggetto va selezionato, coccolato, nutrito di ammirazione. Il consumista provetto, di rango, una volta in negozio non ha esitazioni, sceglie a colpo sicuro. Ma a certi livelli si giunge appunto con l’esperienza, dopo decine di “shopping” a vanvera e dopo aver accatastato quintali di roba pessima. Il consumista è come il “sommelier”, degusta.

L’importante per lui non è riempirsi di merce, ma comprare: come momento culminante di un piacere che comincia col desiderio di possedere la tal cosa ed esplode al ritiro del pacchetto.

C’è qualcosa di voluttuoso nel rito dell’acquisto: il negozio, la vetrina, l’odore del legno e del cuoio, quei lunghi attimi che precedono l’estrema decisione, di fatto, già maturata. Comprare è come amare, contano anche gli approcci. Al consumista raffinato il piacere più grande, tuttavia, è offerto da un acquisto eccessivo. Vediamo come. È il venti di novembre, lo stipendio è lontano, ha in tasca 100 euro e li spende tutti per prendersi un accendisigari corteggiato da sempre.

Ecco, qui il godimento è impareggiabile. Tanto è delizioso oziare nel giorno in cui sei sommerso di impegni, così è dolce, quasi da estasi, scialacquare fino all’ultimo centesimo nel giorno in cui ti scade una cambiale. Provate. Privatevi pure dell’utile, ma non lasciatevi mancare il superfluo che, come diceva Oscar Wilde, è una necessità. Anzi, un’esigenza. Perché beati sono coloro che per vivere da ricchi muoiono poveri, e infelici coloro che vivono da poveri per morire ricchi.

Articolo di Vittorio Feltri, Libero Quotidiano

CARLITO EL DRITO

CARLITO EL DRITO

AMA DEFINIRSI PIRLA, IN REALTA’ E’ UNO SCAFATO UOMO DI MONDO- GIORNALISTA, UN POCO DANDY, AMA LE BELLE DONNE E L’AGIATEZZA BORGHESE, DISCRETA, MISURATA- OGNI MATTINA ALLE 6 RECITA IL ROSARIO, MA AMA DEFINIRSI COMUNISTA, PIU’ PER VEZZO CHE PER CONVINZIONE. ECCO A VOI CARLO ROSSELLA.

 

A Pavia, in corso Mazzini, Carlo Rossella ha affittato un appartamento per collocarvi quella che definisce la «sezione d’ intelligence» della sua sterminata biblioteca: «In casa non mi ci stava». Il clima da guerra fredda è rafforzato dal fatto che ha rinunciato al riscaldamento: «Vengo qui ogni due giorni, perché pagare un botto di spese condominiali? Ti accendo la stufetta». Sa tutto di tutti. Avrebbe potuto lavorare tanto per il Kgb quanto per la Cia («Allora meglio il Mossad»), invece ha fatto l’ inviato speciale e il direttore di giornali. Ora è presidente della Medusa, la casa cinematografica di Silvio Berlusconi. Chi , il settimanale di gossip della Mondadori, lo ha appena esonerato.

Che succede? Il Cav non la ama più?

«Pare che fossi troppo comunista».

Nella rubrica «Posta del cuore»? Dai!

«Ero antipatico a qualcuno che sta al di sopra del direttore Alfonso Signorini».

Non ha protestato con l’ editore?

« Never complain , never explain . Mai lamentarsi, mai spiegare. Non si disturba il maestro perché un alunno ti ha sporcato d’ inchiostro la seggiola».

Davvero è ancora comunista?

«Certo. Semel abbas semper abbas ».

In che modo lo diventò?

«Per via di sangue. Padre antifascista.

E zio romagnolo, comunista e gappista, grande amico di Armando Cossutta».

Ma il nipote guidava una Rolls-Royce.

«Una Corniche blu con interni bianchi. Mi urlavano: “Te l’ ha data Berlusconi!”. L’ ho dovuta vendere per 48.000 euro».

Sul «Foglio» nei giorni scorsi ha battuto le mani a Massimo D’ Alema.

«Batto e ribatto. Con Berlusconi ed Enrico Letta è il politico migliore».

Credevo che lei avesse militato nel Pri.

«Per modo di dire. Con l’ altoparlante sull’ auto, aiutavo due amici nei paesi dell’ Oltrepò: “Votate Vittorio Olcese e Antonio Del Pennino”. Poi mettevo “La bambola” di Patty Pravo: “Tu mi fai girar…”.Di giugno, all’ ora della pennica. Insulti dalle finestre: “Va’ a da’ via el cü!”».

In seguito entrò nel Psi.

«Nel Psi mai. Ero solo amico, e lo sono ancora, di Paolo Pillitteri. Suo cognato Bettino Craxi lo copriva di male parole: “Perché frequenti quel comunista?”».

Che cosa pensa di Matteo Salvini?

«Non mi piace. Troppo macho».

E di Luigi Di Maio?

«Che t’ aggia dì?».

E di Giuseppe Conte?

«Un buonuomo».

Come arrivò al giornalismo?

«Per caso. Un mio parente conosceva il caporedattore di Grazia . Erano ex comunisti. Quello m’ indirizzò a Nino Nutrizio, direttore della Notte di Milano, ex fascista, che mi ricevette alle 5 del mattino, lui in piedi, io seduto. Dava del voi a tutti: “So che siete del Pci: qui nessuno è del Pci. So che siete laureato: qui nessuno è laureato. Torni domani alle 5”. Il giorno dopo esplose una pompa di benzina in via Tabacchi. Mandò me. Dettai il pezzo al telefono, a braccio. Al ritorno Nutrizio mi disse: “Siete assunto. Ora non fate come gli altri, che scrivono due articoli belli all’ inizio e poi solo schifezze”».

Soffre di astinenza da direzione?

«Mai sofferto di astinenza da nulla».

Quindi neppure dalle droghe.

«Dopo aver fumato l’ unica canna della mia vita durante una festa a New York, mi guardai allo specchio e vomitai».

Il direttore che le ha insegnato di più?

«Alberto Ronchey, alla Stampa . E il suo vice Carlo Casalegno, assassinato da quei delinquenti delle Br. Ti correggeva gli articoli con la matita rossoblù».

Soffrì a lasciare il posto che era stato di Ronchey?

«No, perché Gianni Agnelli mi concesse di traslocare a Washington, da dove in un anno la direzione mi chiese d’ inviare un solo editoriale».

Argomento?

«Il frigo in cui Monica Lewinsky aveva conservato l’ abito blu macchiatosi durante un rapporto orale con Bill Clinton».

Ha il potere di far girare un film?

«No. Ci pensa l’ amministratore delegato Giampaolo Letta, figlio di Gianni, che è bravissimo. A me i film piace di più vederli. Adoro Miseria e nobiltà con Totò e Casablanca . Li guardo per intero».

Perché me lo dice? Mi pare la norma.

«Dipende. L’ Avvocato aveva il cinema in casa, ma i film li faceva vedere al maggiordomo. Poi gli chiedeva: “Bvunetto, com’ è il pvimo tempo?”. Brunetto gli raccontava la trama e il finale. E Agnelli: “Allova guavdiamo il secondo tempo”».

Rossella con Daniela Santanchè

Può almeno lanciare un’ attrice?

«Meglio evitare tentazioni. Sono sposato. Cerco di peccare il meno possibile».

Però nel 2001 allegò a «Panorama» il calendario di Manuela Arcuri.

«Che cosa c’ era di meglio in giro?».

Fabio Volo commentò: «Carlo Rossella non sbaglia un corpo».

«Or non è più quel tempo e quell’ età».

Si definisce eterosessuale a riposo.

«Quest’ anno saranno 77».

Le gambe delle donne.

«Corteggiarle è faticoso. Alcune sono anche care. Non nel senso di affettuose».

Da ragazzo le piacevano tutte.

«Tutte quelle belle. A cominciare dalla prima, Françoise, una francese. Avevo 16 anni. Lo facemmo in spiaggia, a Igea Marina. Perché non si sporcasse, stesi sulla sabbia L’ Espresso formato lenzuolo. Rincasò con la controstampa di un articolo di Eugenio Scalfari sulle natiche».

Ha mai tradito sua moglie?

«Mi avvalgo della facoltà di non rispondere».

Su «Chi» scrisse che 60 italiani su 100 hanno l’ amante. Come fa a dirlo?

«Dal basso della mia esperienza».

Nei verbali sulle «cene eleganti» di Arcore un’ olgettina dice che ballò con lei.

«Confermo. Sono ballerino di tango. Lo imparai di pomeriggio in una tangueria di Buenos Aires frequentata dalle cameriere. Buttavano acqua saponata sulle assi di legno per facilitare il figurato».

Che cosa sa del bunga bunga?

«Nulla. Partecipai a una sola di quelle cene e non vidi alcunché di sconveniente. Tante belle ragazze. Me ne andai presto perché guardavano solo il Cav».

Come giudica il leader di Forza Italia?

«Come imprenditore, di lui mi piace tutto. Come politico, è troppo buono».

Ma lei non tifava per l’ Inter?

«Adesso per la Fiorentina, in onore di Diego Della Valle. Ma di calcio non capisco un’ acca. Motivo per cui Berlusconi non mi ha mai parlato del Milan. Lui coglie al volo quali sono i tuoi interessi».

Si narra che in tutte le redazioni dove arrivava come direttore per prima cosa appendesse al muro un crocefisso.

«Sempre lo stesso. Mi portavo da casa anche martello e chiodo. Ora sta a Roma, nel mio ufficio alla Medusa».

Non la facevo così timorato di Dio.

«Ogni mattina alle 6, appena sveglio, recito il rosario, seduto sul bordo del letto, e guardo una statuetta della Madonna di Lourdes. È molto rilassante. Ne ho due di corone, una rossa e una nera. Me le ha regalate Cristina Borgomanero, un’ amica di Bologna che accompagna i malati alla Grotta di Massabielle».

Sapevo solo che è contrario all’ aborto.

«Sì, fermamente, con tutto il rispetto per le donne. Baldovino del Belgio si sospese da re per non promulgare la legge sull’ interruzione di gravidanza. Purtroppo in Italia non abbiamo più il re».

Da direttore del Tg5 consentì alla conduttrice Paola Rivetta di presentare il Family day.

«Ci andai anch’ io. Lo condividevo».

Papa Francesco le piace?

«Mi piacciono tutti i papi. Ma nel cuore ho san Giovanni Paolo II. Nel 1976, sulla via per Auschwitz, un’ amica mi disse: “A Cracovia va’ alla messa mattutina del cardinale Karol Wojtyla”. Andai. Alle 5.30 la piazza era già gremita. Per me è il più grande personaggio del secolo scorso».

Perché la chiamano Carlito?

«Un nomignolo che mi fu affibbiato quando facevo l’ accompagnatore della Italturist a Cuba e nell’ Urss».

Ricorda Pedrito. Carlito el Drito.

«Più che altro Carlito el Pirla».

In quale Paese ha lasciato il cuore?

«In Russia. E in Armenia. Le armene sono bellissime».

Credevo negli Stati Uniti.

«Ho vissuto a New York e Washington, ma il mio buen retiro è Miami, dove i ricordi superano la realtà. Ci andavo nei weekend. Ora ci torno due volte l’ anno».

Roma e Milano non le piacciono?

«Per carità! Ci ho lavorato, ma ho sempre mantenuto la residenza a Pavia. Roma è Il Cairo senza i musulmani, Milano è New York senza i calvinisti».

Potrebbe trasferirsi in Portogallo, come il suo amico Fabrizio Del Noce.

«Ci ho pensato, per via delle tasse agevolate sulla pensione. Ma ascoltando “Il re del Portogallo volea ballar la samba” del Trio Lescano m’ è venuto il magone.

Era la canzone delle mondine. Da bambino le spiavo nelle risaie con il cannocchiale di un mio amico, nipote di un ammiraglio. Alle mondane ho sempre preferito le mondine. Sono il mio mito erotico. Invece con Del Noce mi divertivo a tirare sacchetti pieni d’ acqua contro le vetrine dei negozi di Pavia».

Vittorio Feltri mi ha detto che di Rossella ne conosce almeno due o tre, «anzi, sette, i sette fratelli Rossella».

«Potresti pregarlo di trovare sette spose per sette fratelli? Feltri è il più grande giornalista italiano. Il suo editoriale è il primo che leggo la mattina».

L’ ha definita «un grandissimo figlio di buona donna».

«Mi assunse come suo vicedirettore all’ Europeo . Dopo aver brindato a champagne, non mi presentai a firmare il contratto. Senza dare spiegazioni».

Posso sapere perché non si presentò?

«Claudio Rinaldi, immenso direttore di Panorama , quella sera stessa mi triplicò lo stipendio. L’ uomo non è di legno».

Stefano Lorenzetto per il Corriere della Sera

 

Da 54 a 79 anni, una vita per la Giustizia?

Da 54 a 79 anni, una vita per la Giustizia?

Un uomo ha cinquantaquattro anni la mattina in cui riceve un avviso di garanzia per concorso esterno in associazione mafiosa. Ne ha cinquantacinque quando, nella stessa indagine, finisce in prigione per nove mesi e ai domiciliari per tredici. Ne ha cinquantasette quando viene scarcerato. Ne ha sessantadue quando viene pronunciata l’assoluzione in primo grado.

Ne ha sessantatré quando la procura fa ricorso. Ne ha quasi sessantaquattro quando viene condannato in appello. Ne ha sessantasei quando la Cassazione ordina la ripetizione dell’ appello definendo la sentenza di condanna un perfetto esempio del modo in cui una sentenza non andrebbe mai concepita né scritta. Ne ha sessantanove quando l’ulteriore appello lo assolve.

calogero mannino

Ne ha settanta quando la procura oppone un nuovo ricorso. Ne ha quasi settantuno quando la Cassazione lo assolve in via definitiva. Ne ha settantadue quando viene indagato nell’ ambito della (presunta) trattativa fra Stato e mafia con l’ accusa di attentato a corpo politico dello Stato. Ne ha settantatré quando viene rinviato a giudizio.

Ne ha settantasei quando, con rito abbreviato (e si sottolinea abbreviato), viene assolto in primo grado. Ne ha settantasette quando la procura fa ricorso in appello. Ne ha settantanove quando viene assolto anche in secondo grado, due giorni fa. L’uomo, che fra un mese compirà ottant’ anni, si chiama Calogero Mannino, è stato cinque volte ministro democristiano e da venticinque anni e cinque mesi è sotto il sequestro di uno Stato incivile.

Mattia Feltri per “la Stampa”

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