NON SEMPRE IL TEMPO INSEGNA

NON SEMPRE IL TEMPO INSEGNA

 

RETICENTE E SUPERFICIALE INTERVISTA DI CLAUDIO MARTELLI, EX DELFINO DI CRAXI E EX MINISTRO DELLA GIUSTIZIA- SI SOSTIENE CHE LA CADUTA DELLA PRIMA REPUBBLICA FU VOLUTA DAGLI USA IN COMBUTTA CON IL PCUS DI ELTSIN, MENTRE FU UN’AUTO DA FE,’ INFLITTA A FUROR DI POPOLO A UN SISTEMA ISTITUZIONE ESANGUE E CORROTTO- MARTELLI: “CRAXI E I SOCIALISTI LA LORO BATTAGLIA L’HANNO VINTA SUL PCI- SI’, A TAL PUNTO CHE SONO SPARITI ENTRAMBI.

 

Il segretario del PSI (Partito Socialista Italiano) Bettino Craxi stringe la mano del sindacalista italiano Agostino Marianetti a un comizio elettorale. Il vicesegretario del PSI Claudio Martelli fuma in mezzo a loro. Milano, 28 maggio 1983

Cronache dall’estate: Walter Veltroni intervista in prima pagina sul Corriere della Sera Aldo Tortorella e Rino Formica, sui magazine rispuntano le foto di Achille Occhetto che bacia Aureliana Alberici a Capalbio, Lorella Cuccarini annunciata alla conduzione di un importante programma, Paolo Cirino Pomicino fisso al suo posto nei talk del mattino. Sembra un’estate di fine anni Ottanta e invece è proprio questa qui appena finita, quella del 2019. Uno dice: e Raffaella Carrà? In palinsesto pure lei, in attesa del ritorno della lambada e delle pennette alla vodka. Se per spiegare i fenomeni di moda e di costume, però si può sempre ricorrere ai ritorni ciclici che funestano – o allietano, dipende – ogni epoca, per la politica il tema é più complesso: cosa ci riporta sempre là? Perché abbiamo sempre bisogno di quel confronto (o di quello scontro)? Perché quei protagonisti sembrano non passare mai?

Per esempio, si ipotizza, perché non troviamo quello che cerchiamo nella classe dirigente attuale? Perché i conti sono ancora aperti? Perché ci fa sentire giovani? (Su questo tema primeggia, come sempre, la gloriosa categoria dei giornalisti: basta andare a controllare chi firmava i pezzi in ricordo di Francesco Saverio Borrelli, gran capo del pool di Mani Pulite scomparso lo scorso luglio: omaggiato, criticato ma quasi mai oltraggiato dagli stessi che scrivevano più o meno sugli stessi giornali all’inizio degli anni Novanta). «Non so perché ci sia tutta questa attenzione», dice Claudio Martelli, ex ministro, leader socialista della Prima Repubblica, ospite ambito nei salotti delle signore romane, una condanna per la maxi tangente Enimont, visione politica da vendere, «e non so neanche se chiamarla nostalgia o ripensamento. Sicuramente é una riflessione più serena su quello che è stato».

Ma qual era la caratteristica di quella Repubblica, cosa è cambiato rispetto a ora?
Glielo riassumo in un titolo: “Partiti forti e istituzioni deboli”.

Istituzioni deboli?
Lei come le definirebbe? Come definirebbe una forma di governo che nella Costituzione ha dedicate appena tre righe?

Ma come: la Costituzione più bella del mondo, c’era anche un programma di Benigni che…
È la più bella del mondo soprattutto per chi non ha letto le altre.

Tipo?
Serve che le citi il diritto alla felicità contenuto in quella americana? Mi pare un concetto ben più ampio che «fondata sul lavoro», no?

Torniamo alla Prima Repubblica.
Guardi che io ero un critico della Prima Repubblica anche quando era considerata intoccabile da molti.

Bettino Craxi con Gianni De Michelis

E poi? Mi dica quando è finita.
Lì la follia fu prendersela con i partiti invece che con le istituzioni.

Beh, neanche i partiti dell’epoca erano esenti da critiche, non trova?
Ma certo. Però lì è avvenuto qualcosa di diverso: i partiti sono proprio stati azzerati, c’è stato uno sdegno, un rifiuto totale.

È da quel periodo che siamo arrivati a quello che viviamo oggi?
Calma, non scordi che tra allora e oggi c’è di mezzo la Seconda, di Repubblica.

Ma quello che voglio chiederle è: all’epoca non si aspettava veramente quello che è accaduto poi?
Vede: qualche fenomeno politico c’era anche, come la Lega nascente, ma erano poca cosa.

Allora cosa accadde?
Nel ’92 fu il momento in cui ci fu un’iniziativa improvvisa sul finanziamento illecito ai partiti, si mise un accento esagerato su quel reato.

Chi lo mise?
La Procura di Milano, mi pare chiaro.

Che ricordo ha di Borrelli?
Con me è sempre stato cortese, disse che ero stato il miglior ministro della Giustizia, assieme – aggiunse poi – al suo amico Giovanni Maria Flick. Negli ultimi anni Borrelli, a proposito di Mani Pulite, disse che «non valeva la pena di buttare all’aria il mondo precedente per cascare poi in quello attuale».

Un cambio di atteggiamento, secondo lei?
Sicuramente c’entrava il suo giudizio sulla classe politica della Seconda Repubblica. Un giudizio che rivalutava i politici della Prima, e non riesco a immaginare cosa avrebbe detto della situazione attuale.

Durante Mani Pulite il clima era diverso?
Ricordo una sua intervista rilasciata nel 2000: disse che fintantoché si trattava di decapitare il re la gente si eccitava, quando poi ci si è accorti che la lotta alla corruzione è una cosa un po’ diversa, qualcuno ha cominciato a infastidirsi. Colpisce la metafora usata, “decapitare il re”, in cui è evidente che Borrelli si identificava coi giacobini, con Robespierre.

Erano gli anni dei “ladri socialisti”.
Sì: ladri solo quando eravamo al governo con la Dc. Quando sul territorio governavamo insieme al Pci d’incanto non eravamo più ladri.

Il Pci godeva di uno status particolare, diverso dagli altri, secondo lei?
Si rilegga le parole di Gherardo Colombo che ammise questa vicinanza tra comunisti e magistrati giustificandola col fatto che, se non ci fosse stato il pool, sarebbe stato isolato politicamente.

Qual era il contesto?
Cerchi su YouTube: c’è un video di quel tempo. Si vedono il presidente americano Clinton e quello russo Eltsin al termine di un incontro: ridono, scherzano, sono alticci, sembrano due comici.

 

Il vicesegretario del Partito Socialista Italiano Claudio Martelli, il ministro delle Partecipazioni Statali Gianni De Michelis e Rino Formica (Salvatore Formica) partecipano ad un comizio del Partito Socialista Italiano. Parma, 16 gennaio 1983

(Dopo un controllo) Sì, in effetti c’è: sono a New York nell’ottobre del 1995. E allora?
Ma non capisce? Era finita la Guerra fredda, Dc e Psi erano qualcosa da cui liberarsi, il nuovo alleato Usa sarebbe stato il Pds.

Lo zampino americano, quindi, secondo lei.
Oramai è passato molto tempo e ci si dimentica di episodi dell’epoca, tipo quello del console americano che si vedeva spessissimo con Di Pietro e a cui il Pm avrebbe anticipato la volontà di compiere alcuni arresti prima di eseguirli (questa è la versione data dal console, Peter Semler, contestata da Di Pietro, nda).

(Mentre chiacchieriamo con Martelli i telegiornali aprono sulla vicenda dei presunti finanziamenti russi alla Lega di Salvini. Una questione che da subito ha rimandato alla Prima Repubblica: i soldi da Mosca, i rubli! Ovviamente glielo si chiede). Se l’aspettava?
Diciamo pure che non avevo dubbi. Mi scusi: ma se legge di un partito italiano al 4% che stipula un trattato con un partito russo che sta al 70% lei cosa pensa? Perché questo è quello che è accaduto anni fa tra la Lega, quando la prese Salvini ai minimi storici, e Russia Unita di Putin.

Però neanche è automatico…
Ma dai!

Ma mica solo Salvini ha rapporti con Putin: Berlusconi, ad esempio.
Berlusconi era diverso: lui almeno con Putin cercava di cavarne accordi con la Nato.

Cercando assonanze tra la Prima Repubblica e adesso non si può non ricordare che lei firmò la prima legge (nel 1990, legge Martelli, appunto), che regolava i flussi di immigrati.
E io sono felice che lo ricordi. Anche qui: dal 1991 e per i 10 anni successivi, gli immigrati sono aumentati di 600 mila unità in 10 anni. Poi, con le leggi Turco-Napolitano e Bossi-Fini sono diventati 5 milioni.

Solo merito della sua legge?
Ma no, certo, vanno anche considerati i flussi di migranti provenienti dall’Est, come dopo che la Romania entrò nella Ue e 800.000 badanti furono regolarizzate con la gestione Maroni.

Claudio Martelli, si intravvedono riconoscibili Enrico Manca, Rino Formica e, dietro Martelli, il giornalista Rai Alberto La Volpe

Cosa aveva la sua legge rispetto a quelle attuali?
Era severa ma giusta. All’epoca mi dicevano che avevo aperto le porte ai migranti, ma in realtà io quelle porte le ho costruite. Era una legge che programma i flussi, una legge seria come le altre che ho fatto sull’asilo politico e sulla cittadinanza.

Poi cosa è successo?
Sino al Governo Letta tutti i governi che si sono succeduti, di tutti i colori, facevano leggi che avevano come premessa il contrasto all’immigrazione clandestina. Da quel momento in poi invece, col ministro Alfano, per quattro anni abbiamo lasciato entrare in Italia 150/180.000 mila immigrati all’anno.

Secondo lei quel periodo è l’origine della situazione che viviamo oggi?
Assisto a un estremismo umanitario parolaio. In questi anni non abbiamo accolto queste persone, le abbiamo salvate e questo è giusto, poi le abbiamo abbandonate o fatte “passare” nei Paesi confinanti. In questo modo abbiamo esasperato sia i nostri partner europei sia il popolo italiano.

Però parliamo di un fenomeno marginale, ci sono altri Paesi come la Grecia o la Spagna dove sbarcano molti più immigrati che in Italia.
Ma lo vogliamo capire che l’immigrazione è ciò che sposta i flussi elettorali?

Dice?
È un fatto: guardi in Germania, dove sui migranti si è rotto l’asse con la Spd e il partito della Merkel ha perso punti e punti di consenso. E la Brexit: anche con quella c’entra l’immigrazione. E in Francia…

Il tema sarà anche quello delle frontiere, però queste persone neanche possono morire in mare.
Certo che no. Però è anche vero che l’accoglienza indiscriminata porta malessere nelle città, i benefici del welfare sono limitati. Non dico di bloccare le frontiere ma di accogliere nei limiti delle nostre capacità, anche il Papa l’ha detto.

Sempre per stare sull’attualità: lei si è arrabbiato molto per il ricordo che quasi tutti i media hanno dedicato a Gianni De Michelis: la foto iconica di lui scamiciato che balla in discoteca…
Mi sono arrabbiato molto, certo, per quello che non è stato un equivoco.

E cosa è stato allora?
Una volontà premeditata, superficiale e cinica, per sminuire la sua immagine pubblica.

Claudio Martelli, oggi

Ma non negherà che l’ex ministro De Michelis in discoteca ci andava volentieri: il soprannome «avanzo di balera» datogli da Biagi, il libro scritto di suo pugno Dove andiamo a ballare stasera? presentato anche al Bandiera Gialla di Rimini…
E cosa c’entra? Sì, ci andava, e allora? Mica passava le sue giornate a ballare: stiamo parlando di un personaggio che aveva intuizioni straordinarie, come quella dei “giacimenti culturali”.

«I socialisti vogliono rifare il minculpop», cito.
(Sorride) È vero, dicevano così. Ma non avevano capito che avevamo ragione, che i socialisti erano dei modernizzatori, che la cultura, sostenuta dall’impegno privato, era il futuro.

Quest’anno si sono ricordati anche i 35 anni dalla morte di Enrico Berlinguer: lei in quel 1984, quando alcuni vostri delegati lo fischiarono al congresso di Verona (e Craxi disse: «Non ho fischiato solo perché non lo so fare», anche se dopo si pentì), era vicesegretario del suo partito. Che ricordo ne ha?
Quella morte fu quasi un sacrificio in pubblico (Berlinguer ebbe un malore durante un comizio a Padova e dopo poco si spense, nda) e non poteva non emozionare.

Ma?
Ma il giudizio politico, che mi pare confermato dai fatti, non è positivo: l’eurocomunismo in cui tanto si era impegnato, che doveva avvicinare i grandi partiti di Italia, Francia e Spagna, si rivelò una fiammata e nulla più.

Però il compromesso storico, la convergenza con la Democrazia Cristiana…
Il compromesso storico! Sa quali furono gli effetti, al di là della tragica morte di Moro?

Quali?
Un corteggiamento ai ceti imprenditoriali concretizzato con il patto Agnelli Lama che portò l’inflazione al 17%.

Berlinguer sollevò anche la questione morale, in una celebre intervista a Scalfari: almeno su questo aveva ragione, o no?
Ecco, vede, è proprio questo il punto: la questione morale, con la quale si voleva certificare la diversità morale dei comunisti. Ma questo rende la politica di fatto intrattabile.

Però ha posto un tema.
Sì, ma senza fornire soluzioni.

Lei fu il delfino di Bettino Craxi: il prossimo anno saranno 20 anni dalla morte. Crede nella riabilitazione?
Beh, quella è in corso già da tempo, e sa perché?

Perché in Italia tutto passa?
Perché Craxi e i socialisti la loro battaglia l’hanno vinta: nel 1992 socialisti e comunisti hanno preso gli stessi voti (considerando anche i socialdemocratici, attorno al 16%, nda), un risultato impensabile sino a poco prima, un risultato prima di tutto di portata culturale per questo Paese.

Ha nostalgia per quegli anni?
Sono portato ad andare avanti e a tener conto del passato, ma non sono un presentista.

Chi è Claudio Martelli?
Io ho sempre fatto politica. E continuerò a farla.

Intervista di Francesco Caldarola  per la Rivista Studio

Le immagini in bianco e nero sono di Getty Images/Mondadori Portfolio

Sul tema dei rapporti col PCI di Berlinguer leggi qui (https://www.ninconanco.it/berlinguer-e-la-terza-via/)

Il Grillo secondo Formica

Il Grillo secondo Formica

Grillo secondo Formica. E ce n’è pure per Renzi- Il grande Rino socialista si sfoga con Francesco Merlo e prevede che Alfano sulla Cirinnà calerà le braghe per un tozzo di pane. Quando la plebe era classe sociale e la politica coniugava idealismo con realismo, tanto tempo fa…..                                                                                                                                      

 

Merlo Francesco

Il giornalista Francesco Merlo

Ovviamente si comincia con Quarto e Beppe Grillo, con l’ ideologia e la religione della trasparenza, con la trappola morale e con l’ ingenuità, con il mito sempre infranto della purezza e quello invece roboante ma inconcludente della protesta “che non può essere politica”, dice, “perché la politica è mediazione dei conflitti e dei contrasti. E se stai nelle istituzioni non puoi mica protestare, devi governare”.

Ma dopo un po’, ascoltandolo, si capisce che a lui il Movimento di Grillo sta forse meno antipatico di quanto non sarebbe lecito immaginarsi, o forse considera i cinque stelle un epifenomeno trascurabile, chissà, come una nuvola destinata a essere portata via dal vento: è con Renzi che lui ce l’ ha di più.

E allora è sul nome del presidente del Consiglio che Rino Formica calca la voce e anima il suo corpo di ottantanovenne rapido e ben conservato, perché “la riforma costituzionale di Renzi è inutile”, si accende, “è persino dannosa. Io voterò ‘no’ al referendum. Ma senza aderire al comitato per il ‘no’, perché io non sto mica con gli immobilisti alla Zagrebelsky, e non coltivo nemmeno feticismi costituzionali. Tutto il contrario.

Penso però che prima della seconda parte della Costituzione bisogna modificare la prima, che è già stata consegnata all’ obitorio con i trattati internazionali. Bisogna modificare quella parte della Costituzione che stabilisce le norme vincolanti sui diritti sociali e politici, quelle regole ideali che adesso sono state superate, affidate al vincolo estero o al vincolo di bilancio”.

E sembra che lui, due volte ministro delle Finanze, con Spadolini e con Andreotti, poi ministro del Lavoro tra il 1987 e il 1989 nei brevissimi governi Goria e De Mita, adesso guardi con un certo partecipe dispetto il formicolio della politica contemporanea, la politica come gioco intellettuale e ginnastica del pensiero, passione e umori, una malattia dalla quale non si guarisce mai, nemmeno alle soglie dei novant’ anni.

Rino Formica

Rino Formica

“Guardi”, dice accompagnando le parole con un’ ombra di sorriso, “dopo Mani Pulite solo una classe politica di coglioni poteva accettare il perpetuarsi della rivoluzione giudiziaria, accontentandosi degli onori formali del potere”.

E questa è la spiritosa premessa, sta a monte di tutto, tutto precede e tutto filtra, come un paio di lenti attraverso le quali Formica osserva con un certo acuto cinismo, appena incrinato da una nota di bonario disprezzo, la pazzotica realtà dell’ Italia istituzionale.

Sangue e merda, diceva lui un tempo, “e intendevo dire passione e contaminazione”. Quella contaminazione che Grillo, per esempio, vuole sfuggire. “Ma nessuna forma di potere può rinunciare a confrontarsi con il male”. E allora Grillo dovrebbe studiare Andreotti? “Non dico questo. Ma fare politica significa trovare un punto di equilibrio tra il reale e l’ ideale.

Ce lo spiegava Nenni quando eravamo ragazzi”. Nenni coniò quella famosa, e abusata, espressione con la quale ammoniva di ben guardarsi dai puri, perché poi arriva sempre un puro più puro che ti epura. “Era l’ esasperazione del moralismo come canone interpretativo della realtà e della politica.

Ma bisogna anche guardarsi dagli iper-realisti, io sono molto critico nei confronti delle falangi del realismo straripante, anche perché li trovo fasulli”. E Formica parla di Renzi, evidentemente. “Lui usa il realismo per piegare gli idealisti del suo partito. Ma non ha nessuna visione. E’ un uomo dai tratti tipicamente strapaesani”. Renzi e Grillo, dunque. “Un provinciale e un populista”.

E seduto in poltrona, con alle spalle un proclama dei tempi della Repubblica romana, Formica tratteggia in pochi, precisi dettagli l’ aporia e le contraddizioni che secondo lui rendono impossibile la vita del Movimento 5 stelle nelle istituzioni: “Dc e Pci erano partiti di matrice idealistica”, dice. “Ma l’ eccesso di ideale trasforma la mediazione nobile della politica in sensalìa, in una forma di contrattualismo interessato”.

E qui Formica fa una pausa, tono ironico -didattico: “Prendi Alfano, tanto per capirsi. Quello, sulle unioni civili, sarebbe disposto a cedere qualsiasi cosa, basta che gli dai mezzo sottosegretario”. Chiusa parentesi. “Ecco. Una volta che la mediazione è stata declassata in sensalìa, la trasformazione, o meglio la deformazione della politica è inevitabile.

Formica Il fatto

Rino Formica nella sua lunga e recente intervista al Fatto Quotidiano

E allora ci si rifugia nei fondamentalismi, si rompe ogni rapporto tra reale e ideale.

E si arriva dunque ai cinque stelle, cioè al punto in cui i popolarismi diventano populismo. Per noi socialisti il popolo era il proletariato, cioè una classe dotata di coscienza, non una plebe. Il populismo assume invece il compito di fare sue le pulsioni plebee”. Ma perché non riescono a governare, i 5 stelle? “Ci arrivo.

Il Movimento cinque stelle è il collettore di tutte le proteste, di tutte le pulsioni che non trovavano più sfogo in una politica capace di mediare e ricomporre i conflitti. Ma a questo punto, assieme ai voti, e al personale politico eletto, dentro il Movimento esplode anche una contraddizione gigantesca, che è tipica di tutti i populismi quando si istituzionalizzano: il consenso facile che si raccoglie negli infiniti rivoli della protesta, quando si trova di fronte al governo, che per sua natura è ricomposizione dei conflitti, va in cortocircuito”.

Ed ecco dunque il caso di Quarto Flegreo, ma anche le tensioni tra Grillo e Pizzarotti a Parma per l’ inceneritore, ecco l’ espulsione del sindaco di Gela che non voleva chiudere il petrolchimico, ed ecco i guai con la spazzatura del sindaco Filippo Nogarin a Livorno.

Matteo Renzi

Matteo Renzi colto in una sua tipica posa

“Loro sono antisistema, ma pure coltivano la velleità di gestire il sistema”. Un’ aporia da sciogliere, dice Formica, una contraddizione in termini che in questi giorni, come si vede, scoppietta tra minacce e rinfacciamenti: uno si dimette, uno viene cacciato, l’ altro rimane al suo posto, uno cade dalle nuvole, l’ altro grida che lui l’ aveva detto, un trombettiere squilla l’ unità del movimento, un coro assordante intona l’ inno di ciò che si doveva fare, di ciò che si farà e non si farà.

“Ma io nelle espulsioni che fa Grillo non ci vedo niente di strano visto che abbiamo accettato che i partiti non esistono più”, dice Formica. “Qual è la differenza con lo ‘stai sereno’ di Renzi a Letta? La regola è che tutto è lecito nella disarticolazione. Mi capita talvolta di pensare alla reazione di Sandro Bondi quando ha lasciato Berlusconi. Nella sua pochezza, Bondi ha detto la verità: ‘In questi anni ho fatto il servo’. Ma se è così, se funziona così, davvero ci dobbiamo stupire di Grillo?”.

E allora il vecchio Formica solleva lo sguardo e dice che “più dello scollamento di Grillo dalla realtà, mi inquieta il fasullo ‘realismo del fare’ di Renzi. Lui si occupa del Senato, vuole la semplificazione, pensa sempre alla catena di comando corta. Questa sua idea che si debba sempre rifuggire dalle fatiche della democrazia è perniciosa.

I socialisti degli anni Settanta non ponevano un banale problema di semplificazione, che è un problema da gestione condominiale, ma pensavano che la costituzione avesse bisogno di un profondo ripensamento. L’ Italia ha bisogno di un’ assemblea costituente, la Carta va riscritta, ma riscritta tutta, in maniera coerente. E la nuova Costituzione deve servire a spiegare come il nostro paese può stare in Europa e in un sistema sovra nazionale di libero mercato.

Beppe Grillo come Mao tze tung che attraversa lo Stretto di Messina

Beppe Grillo, come Mao tze -tung, mentre attraversa lo Stretto di Messina

E’ ancora compatibile la prima parte della nostra Costituzione, che tanto affida allo stato, con un’ Europa che ha il suo inquadramento in un contesto di libera contesa politica ed economica? Non lo è. E occuparsi del Senato solo per comprimere il meccanismo democratico denota miopia, diciamo così. Per essere buoni”. E per essere cattivi? “Una sicumera che non promette bene.

Guardi, le astuzie di Berlusconi sono durate vent’ anni. Renzi naturalmente è più fresco di astuzie, ma è già in via d’ esaurimento”. Dunque? “Troverà la sua mozione Grandi sul tavolo”. Un 25 luglio. “E lo convocherà lui”. La sicumera.

Salvatore Merlo per Il Foglio

 

 

I ricordi di Formica

I ricordi di Formica

Rino Formica

Rino Formica

Pubblico stralci della lunga intervista concessa al Fatto da Rino Formica, fra i più sottili e acuti protagonisti della Prima Repubblica. Quella di Formica è una ricostruzione in biblico fra storia e autobiografia. Formica non è uno storico, parecchi giudizi sono ricostruzioni compiacenti o giustificazioni a posteriori o non richieste, Ciò nonostante l’articolo merita una riflessione sui cinquantanni che vanno dalla ricostruzione post-bellica a Tangentopoli, utile per capire il presente. Come giovane amministratore socialista e dirigente regionale dell’allora PSI ho avuto la possibilità di conoscere Formica e di vivere quelle pagine, dall’ascesa del Midas Hotel alla rovinosa caduta, col lancio delle monetine, davanti ad un altro all’hotel, il Raphael in Roma. E’ forse vero, come sostiene Formica, ancora risentito, che chi lanciava quelle monetine le aveva a sua volta rubate. Resta ad ogni modo sottile la distinzione che Formica fa fra “ricerca illegale di risorse” da parte dei partiti e l’odierno “rubare” per sé della “casta politica”, poiché sempre di illegalità si tratta. Circa la genesi di Tangentopoli, Formica aveva in passato parlato di “complotto americano” dopo i fatti di Sigonella; ora la sua analisi è più articolata. Resta un fatto: nessuno di noi aveva capito il significato profondo della caduta del Muro di Belino, né previste le sue conseguenze. Sarebbe onesto ora ammetterlo. D’un colpo cadeva la ricerca di autonomia a sinistra dei riformisti socialisti, e la maschera di pretesa indipendenza del PCI da Mosca. Senza il patto “ad escludendum” e il superamento della guerra fredda il quadro si riprendeva la sue libertà e la società italiana, sconcertata e senza guida, avviava la sua giustizia sommaria, affidandosi al “salvatore” di turno. L’intervista contiene una novità: quella secondo la quale Craxi si esiliò per paura di essere ucciso. Nessuno ne ha mai parlato finora. Ucciso da “chiunque, ovunque”, dice Formica. Per odio? Per paura che parlasse? Sono domande che restano senza risposte. 

………..

Lei è stato ragazzo, a Bari, durante il Fascismo.

Anticipai la licenza liceale: bisognava accelerare. S’intravedeva già nel ‘42 la fine del Fascismo, la preoccupazione era capire che cosa sarebbe successo dopo. Ebbi la fortuna, nel liceo scientifico che frequentavo, di avere professori molto bravi, tra cui l’antifascista Ernesto de Martino. E un professore di religione che fu poi l’ispiratore spirituale di Aldo Moro, monsignor Mincuzzi. Ricordo che nel 1942 portai a scuola un opuscolo delle edizioni Avanti (il programma dei comunisti di Bakunin). Lo avevo trovato nella libreria di mio padre. Il professore di tedesco, un fascista critico, trovò il libro, e con fare paterno mi disse: ‘Guarda che te lo devo sequestrare’. Ma dopo avermi dato uno scappellotto mi disse: ‘Ti segnalerò al professore di religione’.

Che c’entrava il professore di religione?

Mincuzzi aveva il compito di tutelare i dissidenti. E fu così che dopo l’ora di religione mi chiamò e mi disse: ‘Ma che fai il comunista?’ e io: ‘Veramente mio padre è socialista e repubblicano’. Mincuzzi mi invitò in Arcivescovado dove incontrai un giovane professore, Aldo Moro: mi fece una lezioncina spiegandomi che era giunto sì il momento per una scelta politica, ma non doveva essere di partito. Dovevamo orientarci per una svolta istituzionale. Ma non avrei seguito questo consiglio: successivamente aderii al Partito socialista. Non fu facile, perché quando il 18 novembre 1943 mi presentai alla sezione del Partito in via Andrea da Bari, non trovai disponibilità all’accoglimento. Ebbi un primo scontro con il Collegio dei probiviri.

Perché, non la volevano?

I compagni della Commissione mi sottoposero a un lungo interrogatorio: ‘Perché ti iscrivi al Partito socialista? Perché ti iscrivi a un partito di sinistra? Perché non continui a studiare?’. Perfino: ‘Ma la ragazza non ce l’hai?’. Io risposi irritato: ‘Ma che c’entra la ragazza, è incompatibile con il socialismo?’. Dissi che mio padre era ferroviere, le obiezioni caddero: due dei tre probiviri erano ferrovieri!

 Poi finisce la guerra.

Nel ‘43-‘44 assumo la segreteria provinciale della Federazione giovanile socialista e alla liberazione di Roma, nel ’44 sono chiamato a Roma da Matteo Matteotti. Nel luglio del ‘45 con il Congresso costitutivo della Federazione giovanile socialista, entro nel ristrettissimo esecutivo nazionale. Avevo 18 anni.

 E gli studi?

Mi iscrivo a Ingegneria. Ma nell’ottobre 1945, Rodolfo Morandi, vicesegretario nazionale del partito, convocò la segreteria della Federazione Giovanile che aveva una linea ostile, da sinistra, a quella del partito e di Nenni.

Prendendola alla larga ci disse: ‘Voi personalizzate troppo; non riuscirete mai a fare vera e giusta politica. La politica è una missione dove si deve usare il noi e non l’io’ . Queste parole aprirono tra noi giovani una lunga riflessione al limite del ‘ religioso’  sulla funzione della politica nella nostra vita.  Una scelta di vita coerente poteva essere vissuta solo con il massimo della spersonalizzazione: allora ci convincemmo che la personalizzazione nella politica è una forma degenerativa che distrugge gli ideali. A questa convinzione, che nacque sul filo del ragionamento di Morandi, la mia generazione è rimasta fedele.

 Profetico! E questo come influenzò i suoi studi?

Morandi terminò così il ragionamento: ‘ Per una buona politica non è sufficiente la spersonalizzazione, bisogna studiare in funzione della missione politica, se ci credete. Se non ci credete lasciate la politica’ . Fu così che cambiai facoltà e mi iscrissi a Economia e Commercio: si trattava di materie più aderenti alla missione politica.

Prima di diventare senatore, nel ‘68, cosa fa?

Ho una tormentata esperienza dei movimenti politici socialisti. Partecipo a tutte le scissioni: Palazzo Barberini nel ’47, la lacerazione del Psli nel ’48, la costituzione del Psu nel ‘ 49, la formazione di Cucchi e Magnani nel ‘ 50, il ritorno nei socialdemocratici nel ’52, la scissione del Mup nel ‘ 59, e dal ‘ 60 partecipo a tutte le battaglie autonomiste riformiste del Psi sino al 1994.

 Ignazio Silone l’ha conosciuto?

Nel Psu, Silone era il segretario del partito e io della Federazione giovanile. Ogni lunedì ci convocava. Un giorno discutemmo a lungo dei rapporti tra socialisti e comunisti e io gli chiesi: ‘ Perché non ci parli della tua esperienza nel Comintern con Togliatti e Stalin?’ . Lui rispose non rispondendo. Con una breve frase enigmatica soddisfò la mia curiosità. Disse: ‘ Di queste cose non parlo, perché vengo da un Paese in cui il lutto si porta a lungo. Però attenti, voi siete giovani: il momento tragico sarà quando gli ex comunisti saranno più dei comunisti’ .

 Torniamo a lei.

Nel ’72, dopo il congresso di Genova, assumo la responsabilità dell’organizzazione del Partito e nel ’76 quella della segreteria amministrativa, che allora in tutti i partiti politici era considerato il posto più delicato della gestione interna. Nell’assumere l’incarico chiesi al compagno Craxi e ai compagni che avevano guidato la svolta del Midas, di impegnarsi perché il posto di Segretario amministrativo fosse sempre ricoperto da chi non godeva della immunità parlamentare. Allora non ero parlamentare e pensavo che per rimettere ordine nelle finanze dei partiti era necessario giocare senza rete.

 Craxi cosa rispose?

Bettino Craxi segretario PSI

Bettino Craxi segretario PSI

Fu d’accordo. Nel ’75, un anno prima del Midas, avevamo convocato la conferenza nazionale dell’organizzazione del partito a Firenze. Si aprì una riflessione tra tutti i partiti perché si notava una lenta ma continua degenerazione nel rapporto partiti- istituzioni: una tre giorni in cui si parlò il linguaggio della verità. Leggendo la rassegna stampa di quell’evento è impressionante vedere come tutti i problemi di ieri sono oggi declinati in peggio.  Furono i socialisti a lanciare l’allarme sull’esaurimento del modello di partito tradizionale chiuso, verticistico e disciplinato senza canali di comunicazione con una società che avanzava al di fuori delle caserme dei partiti. Da quella discussione non nacquero soluzioni coerenti.

Cosa intende per modello di partito tradizionale?

L’organizzazione di partito era nel dopoguerra una formazione che viveva nella separatezza: centralismo democratico, disciplina di partito anche nelle istituzioni, giustizia domestica (il lecito e l’illecito era sanzionato in casa) selezione del personale politico per fedeltà al partito, riservatezza assoluta nella raccolta delle risorse. Questo era il modello di tutti i partiti grandi e piccoli di sinistra, destra e centro.

Dove ha sbagliato la sua generazione?

Siamo stati cattivi maestri dei nostri figli. Abbiamo voluto metterli al riparo delle nostre amarezze, dalle dure esperienze di una maturità senza giovinezza, li volevamo giovani e liberi per un periodo lungo e senza fine. Era un modo per poter vivere la nostra mancata giovinezza.

……..

Anche Craxi fa parte di quella generazione che non ha sofferto?

No. Craxi non è stato soltanto lottato dai suoi nemici, ma è stato abbandonato dai craxiani degli anni 80, quelli che non avevano sofferto.

Capitolo Tangentopoli.

Antonio Di Pietro, magistrato di Tangentopoli e politico

Antonio Di Pietro, magistrato di Tangentopoli e politico

Mani Pulite nasce con gli eventi internazionali dell’ 89. È la fine del socialismo senza democrazia (il comunismo). In occidente, patria del compromesso socialdemocratico (capitalismo democratico+ distribuzione delle risorse pubbliche ai lavoratori e alle imprese), si ritiene sia giunto il momento di sostituire la giustizia sociale con la giustizia di mercato. Viene imboccata una strada ad alto rischio: a) esportare nei paesi dell’est il capitalismo; b) trascurare la riconversione democratica del socialismo reale; c) liquidare lo stato del benessere in nome della crisi dello stato fiscale; d) trasformare la democrazia partecipata in decisionismo autoritario.

 Va bene: cambia il mondo. Ma non c’è solo questo.

La sinistra, il movimento democratico italiano, non è pronto. Deve affrontare un doppio fallimento, il fallimento del comunismo come socialismo senza democrazia, e la fine del compromesso socialdemocratico. La crisi dello stato fiscale e l’alto costo del compromesso sociale, porta il capitalismo a ritenere di non avere più bisogno del compromesso socialdemocratico. Il capitalismo ritiene che divorziando dalla democrazia possa liberarsi dal vincolo politico. È un’illusione, perché dovrebbe togliere alla politica il governo e dovrebbe avere la forza di chiudere il Parlamento.

Scusi, e la corruzione?

La corruzione dei singoli per fini propri è materia diversa dalla ricerca di risorse da parte dei partiti. Nel compromesso sociale tra governi, imprese e mondo del lavoro, vi era un’area grigia che riconduceva all’utilizzo delle risorse.

Un modo molto elegante per dire che si rubava.

Il verbo rubare è improprio. Nel vocabolario è spiegato così: ‘Sottrarre oggetti di proprietà altrui con astuzia, sotterfugio e inganno’. Tra il 1945 e il 1992 i partiti raccolsero senza astuzia, senza inganno e senza sotterfugio, fondi per una istituzione costituzionalmente garantita (art.49 Costituzione) e per una alta finalità (costruire l’ordine democratico repubblicano).

Tutti colpevoli, nessun colpevole. Non avete mai ammesso di essere tutti colpevoli.

La raccolta dei fondi avvenne anche con l’utilizzo proporzionale delle forze elettorali e del potere di governo nazionale e locale. Ciò andò oltre i limiti consentiti dal rispetto della legge e avvenne con la compiacenza del mondo imprenditoriale, e dell’informazione e della magistratura. Intorno a questo nucleo di verità deve esercitarsi una seria e profonda ricerca critica su la vita di tutti i partiti politici nella fase di costruzione dello Stato repubblicano. Vi era inoltre il finanziamento esterno: gli americani pensavano alla Dc, l’Urss pensava al Pci e solo in parte al Psi sino al 1959. L’Eni di Mattei rafforza questo schema che vede la liceità del finanziamento dei partiti con risorse pubbliche. E oggi? Dopo Mani Pulite, i partiti storici sono scomparsi: l’attività politica è passata nelle mani dei partiti personali e dei singoli operatori elettorali che hanno drenato risorse in ogni campo con ‘astuzia, inganno e sotterfugio’. Questa è la differenza tra ricerca illegale di risorse praticate dai partiti tra il ‘45 e il ‘92 e il rubare delle caste politiche di oggi. Se si chiarisce questa differenza, sarà facile affrontare il tema della separazione in corso tra politica e democrazia e tra utopia dei fini e cinismo dei mezzi.

…….

Torniamo a Mani Pulite. Quand’è che vi accorgete che di lì a poco il sistema, compreso il vostro partito, sarebbe stato completamente spazzato via?

Nel ‘ 75 abbiamo detto: qui siamo a un punto di non ritorno. Punto. Che cosa è avvenuto nel ‘ 92-‘ 94? Tra il ‘ 92 e il ‘ 94 i mutamenti internazionali cambiano gli equilibri politici anche nel nostro Paese. Il 20 gennaio ‘ 92 Cossiga scrive al Popolo  una lettera in cui annuncia le sue dimissioni dalla Dc e indica una nuova prospettiva politica. Craxi mi chiede di scrivere il fondo dell’Avanti!  sulla lettera di Cossiga. Uscì con questo titolo: ‘ Preannuncio di Nuova Democrazia’ . È brutto citarsi, ma in quella nota c’ è la risposta alla sua domanda.

Parlando di cose più spicce, nel ‘93 Craxi in Parlamento fa il famoso discorso del cestino…

…e il sistema non risponde. Alla domanda di Craxi: ‘ Abbiamo fatto così, siamo pronti a smettere?’ , nessuno fiata. Ma non poteva farlo un partito solo, lo dovevano fare tutti. Oggi possiamo dire che chi buttava monetine lanciava qualcosa che aveva rubato. Chi alzava il cappio in Parlamento e indossava i guanti bianchi, oggi deve rispondere alla giustizia per le malefatte compiute in questo ultimo ventennio. Si vestivano da epuratori mentre erano già epurabili. Non si tratta di voler tutti colpevoli. Quando una trasgressione individuale e sporadica diventa generalizzata e radicata, è una grande questione nazionale di costume civile, di cultura o subcultura politica e sociale.

 Si dice che uno dei problemi del paese è stata la mancanza di epurazioni: dopo il Fascismo e dopo Mani Pulite.

Epurazione è una parola da usare con cautela. Spesso è stata usata per vendetta e non per giustizia. Nel dopoguerra abbiamo visto epurabili che hanno epurato gli epuratori. Anche la rivoluzione dopo gli attimi di gloria e di esaltazione della purezza deve ricorrere al personale antirivoluzionario. La rivoluzione è una rottura dell’ordine politico, civile e sociale che deve aprire il passo al ‘ riformismo di pace’ .  La rivoluzione continua, è la follia dei fanatici. L’amnistia è l’unica forma di pacificazione realizzata con la forza della legge. De Gasperi, Togliatti e Nenni furono lungimiranti. Chi parlò di rivoluzione tradita (e anch’io con i giovani socialisti ero tra questi) mise veleno nelle pieghe della Storia. Nella stagione del terrorismo riapparve la funesta bandiera della rivoluzione tradita.

 L’Italia non è un Paese di rivoluzioni.

Dopo l’ultimo ventennio, la lezione che dovremmo imparare è che saremo, per forza, costretti a introdurre cambiamenti copernicani senza fare rivoluzioni. Nel ‘ 92 si capì bene che la miseria della lotta politica aveva vinto. D’Alema, Occhetto e Veltroni, che avevano la guida della sinistra sopravvissuta, avevano un unico problema: eliminare i socialisti e Craxi. Allora andava bene tutto, anche in sede locale accordarsi con i dorotei o con Tatarella, come D’Alema fece in Puglia. Una mossa che non stava nella grandiosità del duello a sinistra tra vecchi socialisti e comunisti.

Craxi si è autoeliminato scappando.

Craxi non scappò: andò via con un passaporto. Sulla scelta dell’esilio ebbi con Craxi una discussione. Gli dissi: siamo in presenza di una ribellione. La prima cosa che bisogna fare è stare sul posto e affrontare tutto. Ma in lui giocò un elemento squisitamente personale, la paura di essere ucciso.

Ma da chi?

Da chiunque. Ovunque. Non è questione di senso di colpa o cose del genere. Era una suggestione che lo ha reso debole. Il suo errore è stato avere, nella gestione dell’esercito che lo seguiva, una visione ottocentesca e non moderna. La cassa di Garibaldi, per capirci. La cassa era comune: si provvedeva al matrimonio di un capitano, alle armi, al compleanno di un tenente. La tecnica comunista era la compartimentazione, molto più moderna. Allora è stato facilissimo. Se lei prende dal volume su Mani Pulite scritto dai colleghi del suo giornale Travaglio, Gomez e Barbacetto troverà l’elenco degli imputati eccellenti. E noterà che l’unico che riceve una condanna per ogni singolo fatto, non in continuità, è Craxi. Quell’elenco grida vendetta al cielo.

……..

Com’è che Mani Pulite ha prodotto Berlusconi?

Silvio Berlusconi ex presidente del Consiglio

Silvio Berlusconi ex presidente del Consiglio

Berlusconi fu svelto. Mise al servizio di Mani Pulite le tv e diede a intendere che non era figlio del sistema. Ma in seguito non gli andò bene perché l’intreccio con il sistema era molto profondo.

Era agganciato prevalentemente al carro vostro.

Non è giusto. Gli unici che furono ostili alle televisioni di Berlusconi, furono i demitiani, in ragione della guerra interna con i forlaniani. Che fece il Pci per fermare il potere di Berlusconi?

Ma al governo c’eravate voi.

Il decreto fu predisposto da Amato e approvato da tutto il governo pentapartito.

La politica è ancora sangue e merda?

Purtroppo non è lo più per come lo intendevo. Sangue è passione, merda è contaminazione. Una contaminazione in cui il fine era molto più importante dello strumento. Lo strumento era funzionale. Più grande era il fine, più tollerabile era la contaminazione. Siamo senza il fine. La contaminazione ha prodotto più sterco. La passione manca del tutto. Inoltre oggi vi è un contesto fortemente mutato. L’avanzare di un capitalismo senza democrazia sta producendo una nuova forma di democrazia: la democrazia affidataria: l’affidato è il popolo desovranizzato, un soggetto inabile, l’affidante è chi ha il potere del vincolo estero, oggi è la Bce. Ma anche Draghi si illude di essere il vero sovrano. Ed è l’affidante provvisorio che ha scelto l’affidatario, anche egli provvisorio, che per ora si chiama Renzi.

L’errore è stato l’euro?

L’errore è stato entrare a quelle condizioni senza un rafforzamento immediato delle istituzioni politiche. L’unificazione solo della moneta è precaria e insufficiente.

Lei è sempre ricordato per le sue fulminanti definizioni come l’assemblea del Psi ridotta a ”nani e ballerine”.

È un apprezzamento di cui mi pento se devo paragonare gli eccellenti professori universitari e gli straordinari personaggi del teatro e del cinema di ieri con i grigi amministratori delle unità sanitarie delle municipalizzate e le veline-cubiste di oggi.

Matteo Renzi

Matteo Renzi, segretario PD e premier

Matteo Renzi, segretario PD e premier

È il motorino d’ avviamento di una centrale atomica che lo brucerà a breve. Non ha un pensiero politico, è una carica di energia. Servirà ancora qualche mese, poi la Chiesa lo farà fuori. La sua politica, che persegue la giustizia del mercato, contraddice il pensiero della dottrina sociale cattolica. E non è nemmeno in condizioni di servire al capitalismo a sganciarsi dalla democrazia: non ha abbastanza forza. Renzi non si è accorto che a ogni forzatura autoritaria, corrisponde un’ espansione del fronte largo di difesa della democrazia parlamentare, qualcosa che va oltre l’ostilità alla legge elettorale e alla riforma del Senato. Può diventare un moto indomabile di liberazione che travolgerà il suo partito e i suoi alleati. Uomini di Chiesa, borghesia impoverita, lavoratori stremati e giovani senza futuro sono in allerta.

 Silvia Truzzi per il “Fatto Quotidiano” 30.4.2015

 

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