Marina Terragni

Ieri a Piazza Pulita si è parlato di Desirée. O meglio si è parlato di quasi tutto –degrado urbano, mercato della droga, quartiere San Lorenzo diviso tra salviniani e non salviniani, inerzia delle forze dell’ordine, quantum della manovra economica sul tema sicurezza, probabile imminente campagna elettorale per il sindaco di Roma- tranne che di Desirée.

Per “parlare di Desirée” non intendo parlare della sua famiglia disfunzionale, del fatto che venisse bullizzata a scuola per un suo lieve difetto fisico, della sua eventuale tossicodipendenza o che le stesse capitando o meno di prostituirsi in cambio di un po’ di pasticche, fatto eventualmente non sorprendente.

“Parlare di Desirée”, così come “parlare di Pamela”, o di Jessica ammazzata a Milano dall’uomo che le dava ospitalità, o di tante altre, significa parlare di ragazze martiri –nel senso etimologico di “testimoni”- della sessualità maschile violenta, dello stupro come dispositivo del dominio.

Le vittime di femminicidio sono sempre donne che hanno fatto una mossa di libertà: che si sottraggono a relazioni malate, che disubbidiscono, che non si fanno tutelare da un maschio-padrone, che non si chiudono in casa quando fa buio, o che semplicemente si fidano di uomini e non accettano la parte della preda.

Probabilmente Desirée si è fidata dei suoi aguzzini. E gli aguzzini hanno preso questa bambina senza padrone e l’hanno ridotta a cosa morta. Lo stupro è assassinio simbolico, è downgrade di una donna viva verso il non-umano. Qui all’assassinio simbolico è seguito l’assassinio reale, in una sequenza ancora non chiarita. Ma di che cosa si tratti è già chiarissimo: di violenza maschile, funzione del dominio. Su questo non servono ulteriori indagini.

Su un’altra cosa va detta la verità (oggi dire la verità contro ogni tentazione di correctness, come insegna il #metoo, è precisamente la cosa che abbiamo da fare): l’immigrazione sregolata comporta dei costi, e uno dei costi che vanno nominati è un carico ulteriore di rischio e di violenza per le donne.

Se è vero che il più della violenza avviene nell’ambito delle relazioni familiari, è vero anche che (dati Istat) in Italia il 40 per cento degli stupri viene commesso dall’8 per cento della popolazione, i cosiddetti “stranieri”, e questo è un fatto su cui ragionare. 

In Svezia –nazione europea con il più alto tasso di violenza maschile- il 95,6 per cento degli stupri commessi tra il 2012 e il 2017 è stato a opera di stranieri, così come il 90 per cento delle violenze di gruppo.Gli autori degli stupri provengono prevalentemente dal Medio Oriente, dai paesi africani e dall’Afghanistan (studio Jonasson-Sanandaji-Springare). Nel dicembre 2017 a Malmö le donne sono scese in piazza protestare contro l’ondata di violenze. Il primo ministro svedese e leader del socialdemocratici Stefan Löfven ha parlato di un “grande problema di democrazia” per il Paese e di un “doppio tradimento” nei confronti delle donne.

Uno stupro è uno stupro è uno stupro, certo, chiunque lo commetta. Ma qui ci sono degli stupri in più. Qualunque discorso di accoglienza deve tenerne conto. Indire un corteo che rappresenta la San Lorenzo “solidale” mentre quella bambina attende ancora di essere sepolta non è una grande idea, soprattutto da un punto di vista femminista. Qualcuno potrebbe intendere che quella solidarietà è destinata ai clandestini spacciatori o ai mafiosi nigeriani (in prima linea anche nella tratta delle prostituite), e il malinteso procurerebbe solo altri problemi.

Il femminismo non è ancella della destra, ma nemmeno della sinistra, soprattutto di una sinistra confusa e distopica. 

L’occasione casomai andrebbe colta per una riflessione sulla differenza sessuale nella migrazione e nell’accoglienza.

Secondo uno studio della scienziata politica Valerie Hudson l’Unione europea sta accogliendo un numero sempre più alto di giovani maschi: il 73 per cento dei richiedenti asilo è composto da uomini. Circa l’87 per cento degli immigrati arrivati in Italia sono maschi di età compresa tra 18 e 34 anni, e quasi tutti sono arrivati da soli. Trend confermato dagli ultimi dati disponibili (Ministero dell’Interno): nel dicembre 2017 sono sbarcati 2.327 migranti, dei quali solo 255 donne; a gennaio 2018, su un totale di 4189 sbarcati le donne erano 600. In generale l’80-90 per cento dei crimini — con lievi differenze da Paese a Paese — è commesso da uomini giovani adulti. Favorire l’accoglienza delle donne comporterebbe molti vantaggi: per loro, anzitutto, ma anche per le comunità ospitanti, a cominciare dalle donne. 

Un buon lavoro femminista potrebbe essere proprio questo: lavorare perché le donne migranti -profughe e migranti economiche- godano di una corsia preferenziale. Chiedere che si tenga conto della differenza sessuale nelle politiche di accoglienza e di integrazione.  

Quelle donne fuggono da guerre che non hanno dichiarato, da situazioni economiche e politiche che non governano, sono spesso oggetto di violenza sessuale, di sfruttamento e di tratta. In cambio dell’accoglienza portano in dono tutto il loro desiderio intatto di libertà e di un mondo più giusto. 

Differenza sessuale nell’accoglienza! Lo dobbiamo anche a Desirée.

Articolo di Marina Terragni, apparso sul suo blog (qui). Milanese, anima vagante, femminista, madre, giornalista, scrittrice (tra gli altri: “Vergine e piena di grazia”, “La scomparsa delle donne”, “Un gioco da ragazze”, e il recentissimo “Temporary Mother – Utero in affitto e mercato dei figli”). Tra le prime blogger italiane: il blog MaschileFemminile ora è diventato FemminileMaschile. Così-scrive- per rimettere le cose al loro posto.