L’ALTRA META’ DI PARIGI

L’ALTRA META’ DI PARIGI

Giuseppe Scaraffia è un autore noto e premiato, oltre che una persona simpatica e cordiale. Ha scritto l’ennesimo libro su Parigi. Ha avuto una buona idea? In una recente intervista su Rai storia ne ha parlato. Scrittori, poeti, saggisti, storici trattano, almeno dal 1789, di Parigi, che poi vuole dire la Francia. Gli appellativi per la Ville lumiere si sprecano, gli elogi anche, il suo fascino è indiscusso, la sua autorevolezza culturale e artistica pure. L’accento batte sovente su quell’insieme di fatti e personaggi riconoscibili e riconducibili all’interno di una comune identità, diciamo così, toponomastica-culturale: la Rive gouche. “ in quanto la riva sinistra della Senna è sempre stata, almeno fino agli anni settanta del novecento, storicamente al centro della vita letteraria, universitaria ed artistica di Parigi per la presenza dell’università della Sorbona, del quartiere latino e di Montparnasse” (cfr wikipedia).

Giuseppe Scaraffia

Bene, si è detto Scaraffia, ma la Rive droite? Perché trascurare questa parte di Parigi, che ben prima degli anni ’30 e per un periodo durato grosso modo vent’anni, è stata animata di artisti e intellettuali che hanno segnato con la loro vita e le opere quell’epoca di passaggio dall’800 alla prima guerra mondiale, alla nascita dell’esistenzialismo, le avanguardie artistiche e all’emancipazione femminile.

Sembrava, scrive Scaraffia nell’introduzione “un’alba magnifica, era in realtà un meraviglioso tramonto, che la lunga notte dell’invasione nazista chiuse definitivamente”.

Con L’altra metà di Parigi (Bompiani euro 32) Scaraffia ha tradotto questa idea, suddividendo il libro non per capitoli ma per arrondissement, cioè le circoscrizioni amministrative a destra della Senna, e per ognuna ha “mappato” le strade e i civici che nell’arco degli anni, che vanno dal 1919 al 1939, hanno visto soggiornare, frequentare, vivere e lavorare, questo o quel personaggio.  

Il libro si apre con il 9 di rue de Beaujolais e Colette per finire col 4 di avenue Anatole France e le vicende di Henry Miller e Anais Nin.

Solo dieci, se non ho contato male, gli italiani citati, cosa alquanto singolare se ricordiamo la numerosa colonia di connazionali presenti in quel ventennio a Parigi.

Scaraffia ha fatto largo uso di libri, autobiografie, saggi e ricerche, con frequenti citazioni testuali, inserite in scarne note di colore, ricostruisce interni ed ambienti secondo la vulgata, cita episodi plausibili, ma di fantasia, senza descrizioni originali o particolari interpretazioni di vicende note o di scritti, oramai troppo conosciuti e studiati.

Lo stesso personaggio (e sono moltissimi, un po’ affastellati e confusi, che ritroviamo nell’indice dei nomi) appare un po’ qua e un po’ là, in luoghi e anni differenti, sicché per ricomporne i tratti (artistici o anche semplicemente biografici) il lettore deve procedere a una faticosa azione di rimando mnemonico.

La scrittura bozzettistica di Scaraffia restituisce una immagine assai sbiadita di quegli anni, in cui i protagonisti, colti nella loro dimensione quotidiana, scadono a occasionali frequentatori, a “turisti per caso”, mancando alla fine di una cornice che li riassuma e caratterizzi. A volte gli aneddoti raccontati sono mere riempiture biografiche, particolarmente ricorrenti quando esse toccano la sfera sessuale: sembra quasi che dandy, pederasti, ninfomani, sadomasochisti e pervertiti di rango siano stati tutti concentrati in quegli anni su quella riva della Senna.      

La più vistosa lacuna del libro è però riassumibile nel tono rapsodico e superficiale, quasi scontato, con cui i personaggi sono presentati. Il volo panoramico sulla Rive Droit è un’idea bella, ma limitarsi alla vista dei tetti e al colore delle case, è un po’ poco.

Anziché portare il lettore a spasso da strada in strada, da civico in civico sarebbe stato forse meglio, che idealmente Colette e Henry Miller, e gli altri centinaia di personaggi citati avessero preso per mano i lettori per portarli nei luoghi della memoria, parlando della loro vita e di quella di Parigi in quegli anni irripetibili. La magia della scrittura avrebbe potuto fare questo miracolo, ma questa volta non è accaduto.

STREET ART A PARIGI

STREET ART A PARIGI

 

GODETEVI LE OPERE DEGLI ARTISTI DI STRADA CHE STANNO TRASFORMANDO PARIGI CON IL LORO ESTRO E L’IRONIA GRAFFIANTE- DI SEGUITO LE OPERE PIU’ AMMIRATE, GLI INDIRIZZI UTILI E I SOCIAL PER CONTINUARE IL VOSTRO VIAGGIO IN QUESTO NUOVO MONDO D’ARTE. 

 

 

La street art, o arte di strada, è l’insieme di diverse forme di arte che si manifestano in spazi pubblici e comprende diverse techiche: spray, sticker art, stencil, sculture, ecc. Queste opere, spesso realizzate illegalmente, sono realizzate da alcuni come forma di critica nei confronti della società o della proprietà privata. Altri vedono questa nuova espressione artistica come una forma di arte lontana dalla formazione accademica e le città sono come una grande tela colorare o semplicemente un luogo dove esporre i proprio lavori. La street art si allontana dal concetto di graffito, nella tecnica e nel fatto che in questa disciplina non è obbligatoriamente legata allo studio dei caratteri tipografici.

Nella storia di questo movimento, nato negli anni ’60, si ebbe una svolta proprio a Parigi negli anni ’80 e ’90 con artisti come Jérôme MesnagerNémo e successivamente Stak, Andrè e Honet. Con l’arrivo di Invader e Zevs si inizia già a parlare di “post-graffiti”. Attualmente in Francia, questo movimento è molto vivo, e a Parigi sono attivi anche altri street artist come DranSethMosko et associés, Gérard Zlotykamien, Miss.Tic e tanti altri.

Su internet ci sono diversi siti creati in onore alla street art di Parigi, come per esempio la pagina facebook Street Art Paris o la mappa interattiva di paris-streetart.com. Per chi fosse interessato sul sito undergroundparis.orgsi possono prenotare diversi tour guidati in inglese da fare a piedi o in bicicletta.

Di seguito qualche opera dei principali artisti di street art a Parigi
 

Jérôme Mesnager

Jérôme Mesnager
Foto Flickr

 

Némo

Némo
Foto Flickr

 

Invader

Invader
Foto Flickr

 

Miss.Tic

Miss Tic
Foto Flickr

 

Dran

Dran
Foto Flickr

 

Mosko et associés

Mosko et associés
Foto Flickr

 

I 10 luoghi dove ammirare le più belle opere di street art a Parigi

Se sei appassionato di street art non farti mancare questi incredibili indirizzi. Di seguito i 10 luoghi dove ammirare le più belle opere di street art a Parigi

Il 13° arrondissement di Parigi

L’arrondissement di Parigi in cui è possibile effettuare un percorso artistico incentrato sulla street art è sicuramente il XIII°. Un tripudio di forme, colori e motivi, accompagneranno il visitatore in una sorta di pellegrinaggio che non può non partire dalla Butte aux Cailles. Quindi, un percorso turistico intorno alle stazioni metro “Nationale” e “Chevaleret” che trova in rue Jeanne d’Arc una opera a firma Obey.

Rue Dénoyez

Questa tipica stradina che si trova a Parigi nel XX° arrondissement, è diventata nota perché ha le pareti ricoperte interamente da graffiti. Quindi, oltre che avere la possibilità di prendere il sole in maniera rilassata sorseggiando una bibita o un caffè, si avrà anche modo di ammirare un ampio e incredibile panorama di street art.


Photo Credits

Metro Saint-Germain-des-Prés

Parigi è bella e romantica, ma è anche underground e multietnica. Nel sesto arrondissement parigino si trova la metro Saint-Germain-des-Prés, uno dei luoghi più cult per la street art. Qui, infatti, si ammirano, in un mosaico di colori in continuo divenire, alcuni dei più esemplari e magnifici tributi degli artisti a questa particolare forme di arte.

Rue Igor Stravinsky

Per ammirare una monumentale opera di street art, si deve andare in rue Igor Stravinsky che si trova nei pressi del Centre Pompidou. Quindi, nella grande sinfonia urbana di Parigi si potrà ammirare una delle opere di street art più fotografate al mondo (di Jef Aerosol).

Rue Oberkampf

Per gli amanti della street art, percorre rue Oberkampf sarà fonte inesauribile di grandi emozioni. Non per nulla, le sue mura sono considerate una delle più importanti e di incomparabile valore gallerie di street art di tutta Parigi.

Rue de Verneuil

Nel VII° arrondissement parigino si trova rue de Verneuil, ove è ammirabile il muro Gainsbourg. Infatti, la parte esterna della casa di Serge Gainsbourg, che è stato attore e regista, poeta e pittore, paroliere e musicista di successo internazionale scomparso nel 1991, è divenuta una immensa parete ove la street art esprime tutta la sua forza, creando quello che è un vero museo a cielo aperto.

Quai d’Austerlitz

Quai d’Austerlitz, a poca distanza dalla stazione dei treni omonima, sotto la cité de la mode et du design, permette di ammirare le opere di vari artisti in continua evoluzione. Percorrere questi particolari luoghi sarà come respirare l’aria di New York. Una impareggiabile mostra d’arte di strada da visitare assolutamente.

Rue des Frigos

Tra le più storiche mura dedicate alla street art, indubbiamente, spiccano quelle di questa interessante via che si trova nel dinamico e poliedrico 13° arrondissement della capitale francese. Una rivisitazione di luoghi e attività che vivono nuove vite, grazie alla geniale attività artistica di questi novelli pittori.

Rue de l’Ourcq

Le mura dell’antico canale Ourcq, una delle fondamentali via fluviale utilizzate per approvvigionare Parigi, oggi brillano e risplendono di magnifici esempi di street art. Opere artistiche sono, quindi, sparse lungo tutto il percorso e non mancheranno di sorprendere piacevolmente il visitatore.

Quai de Valmy

Nel 10° arrondissement parigino, si trova quai de Valmy, gioioso luogo dedicato alla street art. Nella più pura tradizione tanto cara a città come New York o a Lisbona, anche qui a Parigi, quella che viene chiamata semplicemente arte di strada, è in piena espansione e oggi gode di un riconoscimento artistico internazionale. Una attrazione turistica parigina che merita di essere visitata.

 

Tratto da https://www.vivaparigi.com/luoghi-street-art-parigi/, sito che si ringrazia

Leggi anche:

Su Ninconanco altri articoli, digitando le parole steet art nell’apposito spazio di ricerca.
Art 42: il museo di street art a Parigi
“Heroic Parade”, la più grande opera di street art d’Europa alle porte di Parigi

QUANTO E’ STRETTA PARIGI…

QUANTO E’ STRETTA PARIGI…

L’esperienza personale come prima ispirazione. Questa è la matrice del lavoro di Félix Macherez, che ha deciso di fotografare i minuscoli appartamenti (e le loro vite) dei ragazzi di Parigi.

 

Félix Macherez - Neomag.

 

Cosa sono le chambre de bonne? Sono delle minuscole ‘residenze’ parigine, che di norma non superano mai i 10 metri quadri, poste sotto i tetti dei palazzi e naturalmente senza ascensore. Stesso discorso non vale invece per l’aspetto economico: infatti superano ampiamente il prezzo per il quale esse valgano realmente. Sono abitate di norma da studenti fuori sede, e personaggi che travalicano l’incerto mondo delle arti in genere, dalla moda, alla musica, all’arte figurativa etc etc.

Di solito alcuni progetti partono da delle necessità ben precise. È il caso del fotografo Félix Macherez (potete visitare il suo sito cliccano QUI) che abita egli stesso in una di queste case e quindi vive sulla propria pelle, le difficoltà spaziali di cui sono sfortunatamente dotate.

Ora è quasi un anno e mezzo che vivo a Parigi, in un appartamento microscopico che mi costa un occhio della testa. Cerco di stare fuori il più possibile, ma ogni volta che entro in casa ho l’impressione che i muri potrebbero schiacciarmi da un momento all’altro. È proprio riflettendo sul mio ristrettissimo spazio vitale che ho pensato a un progetto fotografico su questi monolocali e la gente che ci abita.”

Da questa spinta personale, parte il suo progetto fotografico e parte alla ricerca di questi minuscoli monolocali da fotografare e scoprire, quindi, la vita delle persone che li abitano.  Così incontra modelle, illustratori, artisti di varia origine ed estrazione, tutte accumunate dalle ristrettezze delle loro chambre de bonne. L’utilizzo degli spazi (molto ristretti) di queste case, varia anche in base all’età di chi le abita: più si è maturi, più oggetti si è accumulati nella propria vita, più si è giovani meno (in teoria) oggetti si hanno. C’è quasi una personificazioni degli abitanti della chambre con le cambre stesse, diventano una seconda pelle.

Queste abitazioni nascono alla fine degli anni ’30 dell’800 come luogo in cui relegare la servitù. I ricchi vivevano ai primi piani e la servitù… in pratica relegata in soffitto.

Félix Macherez - Neomag.
Félix Macherez - Neomag.
Félix Macherez - Neomag.
Félix Macherez - Neomag.
Félix Macherez - Neomag.
Félix Macherez - Neomag.
Félix Macherez - Neomag.
Félix Macherez - Neomag.
Félix Macherez - Neomag.

 

 

 

PARIGI, GEOGRAFIA DELLA MEMORIA

PARIGI, GEOGRAFIA DELLA MEMORIA

PARIGI DOPO I MASSACRI – UNA CITTA’ AL TRAMONTO O SOLAMENTE L’ABBASSARSI DELLE LUCI PRIMA DELL’ALBA?- L’ANTICA VITALITA’ CHE HA FATTO SOGNARE IL MONDO E’ FUGGITA DALLE SUE STRADE, OPPURE LA GEOGRAFIA DELLA MEMORIA AVRA’ LA MEGLIO E LA BELLEZZA RISORGERA’?

 

 

A Parigi la contemplazione si fa solo in strada: seduti per ore, immobili davanti ad una birra o a un calice di vino, aggrappati a minuscoli tavolini, confusi fra la folla di sfaccendati e perdigiorno multietnici.

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Ernest Hemingway

Hemingway scrive che passa il tempo a contemplare la corrente della Senna, forse riflettendo sul panta rei oraziano. Ma qui, ora?

Nel gennaio del 2015 c’e stato il massacro alla redazione di Charlie Hebdo, il 13 novembre la strage del Bataclan, nel luglio 2016 quella di Nizza. Sempre a luglio in una chiesa a Saint-Etienne-du-Rouvray in Normandia viene sgozzato durante la messa un prete.

L’aria è pesante, la sorveglianza delle forze dell’ordine anche, i turisti sono visibilmente calati.saintgermainedespres

Scruto le facce, per quanto lo permettano le lunettes  enormi o i cappellacci calati sul viso. Alcune sono interessanti, vissute, senti che dietro c’è una storia, ma sono facce chiuse, quasi cliché raggelati. Non dànno confidenza, ti senti un postulante solo a chiedere permesso di passare.

Sotto un ombrellone un vecchio sbuffa, settantino, sudato, la panza tremolante, forse diabetico, forse americano, abito di lino bianco liso dall’uso. Accanto una ragazza, forse la figlia, forse anoressica, fuma annoiata e silente, sembra non notare nulla, il tempo non passa per lei. Le altre coppie posano accanto come per caso, sguardo fisso in avanti, l’impressione è che si ignorano, magari non è così. Stare lì risponde forse ad una segreta complicità, ad un’intesa così profonda che sfugge  a chi passa. Ma!..  

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Bistrot a Saint Germaine de Prés- Foto tratta dal sito Nonsoloproust.wp.com

Passerà la paura, torneranno i turisti, la vita riprenderà e Parigi tornerà Parigi.

Ricordo Parigi come città aperta, una sorte di enclave in cui la pausa si fa contemplazione, l’atto di osservare un’indagine sul mondo, il silenzio si fa più eloquente della parola.

Mezzi toni, mezze luci, un procedere ordinato, espressione di uno stile piuttosto che di una regola, un fare un pò disincantato che rasenta la noia e, a volte, il disimpegno. Città di flâneurs… già i flâneur…

Come tradurre in italiano una parola che è la sintesi di una condizione esistenziale?

 

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Vetrina di bv. Hausserman. Foto tratta dal sito nonsoloproust.wp.cm

 

Il modello letterario nostrano più prossimo ce lo fornisce Piero Chiara, grande estimatore del romanzo francese e memorabile traduttore, appunto dal francese, della Histoire de ma vie di Giacomo Casanova.

I protagonisti degli scritti dello scrittore di Luino fanno, appunto, flanella, con ciò intendendo un ozioso, sfaccendato e cinico sguardo sul mondo.

Qualcosa di simile ai vitelloni felliniani, con la variante che in Fellini c’è il desiderio frustrante di rompere l’orizzonte provinciale, quando per Chiara la provincia è ancora un comodo ed accogliente rifugio.

Ma ambedue le versioni sono, appunto, topograficamente ed esistenzialmente distanti dal modello di flâneur, che invece si colloca indubitabilmente nelle metropoli.

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Herry Miller con Anain Nin

Come scrive Benjamin, il flâneur è un bohémien, un déraciné, uno che non è più a suo agio nella sua classe sociale, ma è a suo agio solo nella folla, cioè nella città, nella grande città commerciale; la sua casa è il marciapiede, il grande magazzino, i passages, dove la città passa e vive promiscuamente.

Il flâneur è il borghese che la modernità ha espulso dalla sua classe e che trova rifugio nella folla, dove si mischia e confonde, covando dentro un pathos di ribellismo impotente. Questo apparente chiamarsi fuori è forse la condizione necessaria al flâneur per interpretare il segno dei tempi senza subirli, per immunizzarsi da capricciose mode.

Allo stesso modo Parigi rimane fedele a se stessa, città libera per eccellenza, metabolizzando i passages, gli interieurs, le esposizioni universali, ben prima che la crisi della borghesia mercantile europea li trasformi in rovine

Il fascino che Parigi esercita sugli artisti trova origine in questa libertà, che sa conservare anche nei momenti collettivi più drammatici, anche in guerra.

 

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Salvator Dalì

 

 

Nei primi decenni del ‘900 agli artisti che vi dimorano, cui non sempre sono risparmiati i morsi della fame, sono condonate, in parte, le angustie e gli orrori di guerre sanguinose, le paure dell’imminenti catastrofi totalitarie.

Nel suo ultimo libro Mezzanotte a Parigi (editore Garzanti, euro 25) Dan Franck, racconta la vita di filosofi, scrittori, artisti, gente dello spettacolo che hanno vissuto a Parigi durante l’occupazione nazista, iniziata nel giugno del 1944. Tutte le loro storie si intrecciano, come dice Franck, in uno di quei momenti memorabili in cui la Storia, con la esse maiuscola, trasforma le biografie in romanzo.

I nomi che si incontrano nel libro di Franck formano un firmamento di prima grandezza. C’è il filosofo Walter Benjamin, Albert Camus, André Malraux, Jean-Paul Sartre con Simone de Beauvoir, l’autore del Piccolo Principe Antoine de Saint-Exupéry, Jean Gabin, Jean Renoir. Altri ancora, ricordati anche nel mio libro Cartoline da Parigi, fra essi Ferdinand Céline, Jean Cocteau, Coco Chanel. Girovaga per Parigi Pablo Picasso. Guernica, esprime la partecipazione del pittore al dolore per i morti del paese basco e sublima mirabilmente l’evento bellico, ma non altera in nulla la vita del pittore con i suoi turbolenti amori, i tradimenti, i figli legittimi o meno. Non si vede, nei bistrò o nelle brasserie parigini, abituali ritrovi degli artisti, Salvator Dalì, volato a New York nel 1940; manca anche Joan Mirò tornato in Spagna proprio in vista dell’invasione tedesca. Nello sguardo di costoro non c’è cinismo, forse lo scetticismo di chiamarsi fuori, certo l’indifferenza del flâneur.

 

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Alla guerra- in questo caso quella spagnola- si partecipa al massimo come corrispondente di un giornale, come fa Ernest Hemingway, che arriva a scrivere: “Viva Madrid, la capitale della mia anima. E del mio cuore- dissi-, avendo bevuto anch’io qualche bicchiere”.

Sono a Parigi anche Henry Miller e Anais Nin, persi nel loro amore e nella frenesia dello scrivere (lui il Tropico del cancro, lei le migliaia di fogli del Diario, iniziato a 14 anni), non sanno nemmeno che il mondo è in guerra.

L’incontro fra Henry Miller e George Orwell, di passaggio a Parigi come volontario nella guerra contro il franchismo in Spagna, al di là dei reciproci apprezzamenti per i rispettivi libri, è un vero e proprio dialogo fra sordi.

Gli esempi potrebbero continuare, ma forse è bene evitare edulcorate giustificazioni di questa apparente insensibilità civile di parecchi artisti di allora. Né serve evocare la presunta diversità antropologica del genio. E’ sufficiente constatare che ai soldati sta bene in mano un moschetto, agli artisti il pennello o una macchina da scrivere. Stop.

 

Ringrazio Gabriella Alù per le foto tratte dal suo sito: https://nonsoloproust.wordpress.com

 

Parigi secondo Cocteau

Parigi secondo Cocteau

 

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“Parigi inganna le anime che la conoscono male. La cosa grave è che non inganna con i sorrisi. Parigi non è affatto gentile. È una città, incredibilmente ingarbugliata, sovrapposta, fatta di ombre e di penombre – Solo Balzac, Hugo, Rocambole e Fantômas possono svelarci i retroscena e le sue trappole…  Parigi è una grande città fatta di piccole città e villaggi che persino il parigino ignora e che gli stranieri conoscono meglio di noi. Era uno straniero a guidarmi nella mia stessa città, ai tempi in cui giravo l’”Orfeo” e mi serviva inventare una città sconosciuta, avvicinando sulla scena quartieri diversi di Parigi, lontani nella realtà gli uni dagli altri. Mi è capitato spesso di affermare che non potevo vivere a Parigi, e ogni volta ci ritrovavo i miei vecchi amori. È così che si ama e si odia: con fuoco. “A cuore aperto” — è a cuore aperto che bisogna amare la propria città — accettare tutto ciò che questo comporta in battibecchi amorosi.

 

Parigi è un’agorà pericolosa, uno spazio pubblico in cui artisti di tutte le nazioni sperimentano insieme quel patriottismo internazionale dell’Arte che è permaloso e feroce quanto il patriottismo di nascita. Ci tenevo a dirlo e a sottoscriverlo con il sangue dei poeti, che si tramuta rapidamente in inchiostro. Come i poeti, Parigi è di tutte le città del mondo la più vistosa e la più invisibile. È da questo strano contrasto che nascono i peggiori malintesi.

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Cocteau autoritratto, china e lapis

Ci si può immaginare quale abisso si apra tra questa irritante visibilità del poeta e l’invisibilità profonda che egli porta con sé sotto un’andatura che attira lo sguardo. Si potrebbe paragonare il poeta a un acrobata che attraversa la morte su un filo, filo che sembrerebbe tracciato con il gesso sulla terraferma. Per il pubblico distratto e che non intuisce il vuoto sotto la corda, egli rimane semplicemente un pazzo che regge un ombrello e cammina nella maniera più affettata e meno spontanea. Quel procedere eccita il riso. La nostra città, incredibilmente elaborata, stratificata, ingarbugliata, sovrapposta, fatta di ombre e di penombre, deve apparire all’osservatore come uno spazio pubblico ciarliero e frivolo. Se non possiede le chiavi che aprono porte e botole, se la facoltà da diavolo zoppo di sollevare i tetti delle case resta per lui lettera morta, questo osservatore si tuffa nei libri degli esperti, vera e propria guida Michelin del nostro labirinto.

Balzac, Hugo, Eugène Sue, Rocambole e Fantômas ci raccontano i retroscena e i sottopalchi del teatro. Sembra proprio una di quelle piovre cangianti che strangolano o succhiano il sangue delle loro vittime, il che non impedisce loro, qualora le si guardi dietro il vetro di un acquario, di arrossire come fanciulle.

Per un giovane che, novello Rastignac, osservi Parigi dall’alto di Montmartre e si riproponga di soverchiare le sue mille insidie, la conoscenza di queste guide romanzesche è una necessità. Forse all’inizio sorriderà e penserà che la capitale moderna non offra più lo stesso caos di sordide meraviglie e trappole fiorite. Non appena crederà di aver raggiunto una meta, cadrà in preda ai miraggi. La meta si allontanerà, muterà forma; laddove la sua mano credeva di afferrare l’oggetto desiderato troverà il vuoto e, come nel gioco dell’oca, dovrà ripartire daccapo.

cocteau 1È così che il destino procede ed è così che la nostra singolare città vi collabora. È necessaria una lunga serie di insuccessi, per vincere lo scoraggiamento e comprendere che la fortuna è mossa da meccanismi complessi. Alle forze visibili, agli aiuti ufficiali, si sovrappongono delle forze occulte e quegli incalcolabili piccoli aiuti tenebrosi senza i quali anche un uomo che si creda in posizione sicura non poggerà in effetti che su dei fantasmi. Oso dire che la massoneria non era — persino in ciò che essa possiede di praticamente indistruttibile — che una branca piuttosto insignificante delle attività segrete a cui anche la minima sorte parigina è sottomessa.

Certo, può succedere che la purezza e l’ingenuità trionfino e procedano in linea retta attraverso i meandri. Mettiamolo sul conto di una distrazione del diavolo. Perché mai certe anime non dovrebbero beneficiare di quel prodigio capace di lasciare intatta una tenda di mussola sulla facciata di un edificio distrutto dal fuoco? Ma compiangiamo il vanesio che s’immagina che le cose siano più facili da ottenere di quanto si potrebbe credere inizialmente. Parigi inganna le anime che la conoscono male. La cosa grave è che non inganna con i sorrisi. Parigi non è affatto gentile. Parigi è aggressiva. Il primo impatto provoca un rilassamento. È allora che il vanesio reputa vinta la battaglia. Un’ombra di successo nasconde un interminabile periodo vuoto.

Coloro che vi sostenevano si dileguano e persino il vostro angelo custode vi passa accanto senza riconoscervi. Sventura a colui che insiste. Il successo parigino esige una pazienza incrollabile. Un bel giorno, il nodo si scioglie e, se stavate spiando la porta, la vostra fortuna svanita rientrerà dalla finestra.

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Olio su tela di Jean Cocteau, museo Cocteau, Mentone

E non crediate che sia solo il caso a dirigere le operazioni. Al contrario, la vostra prima mossa, la minima indiscrezione, la minima vanteria, le favole pericolose suscitate da una frase imprudente, siatene certi, metteranno in moto tutta una macchina tanto più nefasta quanto più distanti gli uni dagli altri ruotano gli ingranaggi che la compongono. Non vedrete mai la macchina che lavora per nuocervi. Vi mancherà sempre qualcuna delle trame che si svolgono nell’ombra. Una parola che avete detto o che vi viene attribuita basterà per innalzare l’edificio. Ecco perché è importante ammirare certe glorie, certi talenti sbalorditivi. Essi scaturiscono da una tale moltitudine di coincidenze fortunate, da una serie così innumerevole di giocate azzardose, da costruzioni così aeree che — quand’anche non apparissero come il frutto di una giustizia — bisognerebbe quanto meno salutare in loro degli autentici capolavori del destino.

Cocteau ritratto da Modigliani

Cocteau ritratto da Modigliani

Parigi possiede uno stomaco da struzzo. Digerisce tutto. Non assimila niente. È questo che le conferisce quell’aria di debolezza dietro cui si cela una capacità di resistenza senza limiti. Il suo rifiuto di obbedire alle regole — oserei dire la sua anarchia — le impedisce di disindividualizzarsi e di affidarsi a un capo. Ciascuno vi si crede capo, e di una direttiva non accetta che il simbolo. Non appena il parigino viene ostacolato nei suoi agi, eccolo imbrogliare e brigare di nascosto per non subire il disinganno del vicino. Questo dramma complesso esige un numero così grande di attori e comparse, di atti che si aggrovigliano e si sovrappongono l’uno con l’altro, di spettatori e macchine, di risate e lacrime, che nessun regista è in grado di reggerne i fili. L’elettricità senza pari, la fosforescenza della putrefazione che si sprigiona da tutto questo disordine e da tutti questi contrasti che affaticano l’immaginazione, altro non è che poesia.

© 2013, Éditions Grasset et Fasquelle / © 2016 — Edizioni Piemme Spa, Milano

Estratto del libro “Parigi” di Jean Cocteau pubblicato da “la Repubblica”

 

 

 

 

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