NICOLINA,VINCENZA E MARIA

NICOLINA,VINCENZA E MARIA

MAI FOTO E’ STATA PIU’ ELOQUENTE, DI COSI’ COMMOVENTE SEMPLICITA’. TRE ZIE ITALIANE, TRE BIMBI DI COLORE, UNA SOLIDARIETA’ CHE DIVIENE CURA MATERNA, SPONTANEA, SINCERA, PROFONDA COME SOLO PUO’ ESSERLO L’AMORE DI UNA MADRE.

FACCIAMOLA GIRARE, MANDIAMOLA AI NOSTRI POLITICI LOCALI E EUROPEI PERCHE’ PRENDANO ESEMPIO DA NICOLINA, VINCENZA E MARIA.

NON SERVE BLOCCARE I PORTI, MA ALLARGARE LE BRACCIA.

Foto trttta dalla pagina Facebbok di Filippo Rossi
FLAT TAX ? SI PUO’ FARE, SECONDO NICOLA ROSSI.

FLAT TAX ? SI PUO’ FARE, SECONDO NICOLA ROSSI.

«Fidatevi: la flat tax si può fare davvero, e senza costi. L’ importante è usare la testa». Nicola Rossi, docente di economia politica, ex senatore del Partito democratico, già presidente dell’ Istituto Bruno Leoni, è considerato l’ inventore italiano della flat tax. O meglio, è stato il primo a mettere nero su bianco un progetto organico per introdurre la «tassa piatta» nel sistema fiscale del nostro Paese.

Nicola Rossi

Noi della Verità ne approfittiamo per chiedergli una sorta di vademecum, in un momento in cui una proposta del genere, visti i chiari di luna, sembra poco più che un miraggio. Secondo Rossi la proposta di Matteo Salvini è accettabile, «purché non si faccia debito». La sinistra? Il professore sembra darla per persa: vede la flat tax come fumo negli occhi, ancora accecata da «pregiudizi ideologici».

È stata una campagna elettorale burrascosa. E adesso ci attendono mesi roventi sul piano economico. Come è stata trattata la questione fisco nelle ultime settimane?
«Non bene. Considero quella fiscale una delle riforme più urgenti per il Paese. Ma è un pessimo segnale il fatto che del fisco ci ricordiamo solo sotto elezioni. E dopo, ciò che si fa, è ben lontano dai nostri bisogni».

Lei insiste molto sulla necessità di «azzerare», più che di modificare, le norme fiscali. Quali sono i difetti peggiori del nostro sistema?
«Il nostro fisco ha 70 anni, e mostra tutti i limiti della sua età. L’ ultima riforma risale all’ inizio degli anni Settanta. Abbiamo fatto aggiunte qua e là, abbiamo messo qualche pezza, ma ormai il tessuto non tiene più. È un labirinto che andrebbe semplificato, se solo qualcuno trovasse il tempo e il coraggio di farlo. È inefficiente, iniquo, non produce gettito, ed è straordinariamente pesante.
Insopportabile».

E dunque, proprio per semplificare le cose, lei ci ha fatto conoscere la leggendaria flat tax. Nella sua formula quante aliquote ci sono: due, tre, quattro?
«Una sola per tutti».Una sola? Non avremmo più bisogno dei commercialisti.
«Aliquota singola al 25%. Contemporaneamente, prevedo una no tax area pari a 7.000 euro per il singolo. E questo significa che l’ aliquota effettiva, tenuto conto anche di eventuali detrazioni, sarebbe ancora più bassa».

Sembra bellissimo. L’ obiezione fondamentale: con una sola aliquota facciamo un regalo ai ricchi. Cosa risponde?
«Questo è uno dei tanti miti da sfatare. È esattamente il contrario. I regali ai ricchi li stiamo facendo adesso, con il sistema attuale».

Come sarebbe?
«È molto semplice: l’ imposta sull’ Irpef in Italia è l’ unica imposta veramente progressiva, e in realtà si applica solo ai lavoratori dipendenti e ai pensionati. Le persone davvero abbienti non hanno redditi da lavoro, ma da capitale, da attività finanziarie o da immobili, e pagano un’ aliquota molto simile a quella che ipotizzo io per la flat tax. Per farla semplice: oggi, per i ricchi, l’ Italia è il Bengodi».

E i vari bonus e detrazioni?
«Stesso discorso. Le considero conquiste con cui alcuni gruppi di pressione hanno ottenuto benefici per sé stessi. Sono niente più che trattamenti di favore. Lei pensa che nelle periferie povere si utilizzi il bonus palestra o il bonus giardini?».

Insomma, adesso mi vuole far credere che la flat tax è di sinistra?
«Certo. Il problema è che la sinistra italiana non se ne rende conto. È molto legata alle sue vecchie idee, e certe cose non riesce a comprenderle. Pensare di rendere più equo il sistema caricando i costi sull’ Irpef significa non avere gli occhi per vedere la situazione».

Il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, dice che la flat tax non farebbe che aumentare le disuguaglianze.
«È una favoletta. Se andiamo a vedere i numeri, l’ Italia ha un livello di disuguaglianza sociale simile a quello di 30 anni fa».

Da uomo di sinistra, come se la spiega questa resistenza dei democratici a una misura del genere?
«È un problema ideologico, un pregiudizio culturale. Sono luoghi comuni che impediscono di vedere quanto iniqua sia la situazione odierna. Ci siamo abituati a pensare che l’ equità si raggiunga aumentando le tasse e colpendo i redditi: bisogna invece agire sul lato della spesa e dei consumi.

Il vicepremier e ministro dell’Interno, Matteo Salvini, durante l’incontro con il vicepresidente statunitense Mike Pence alla Casa Bianca, Washington (Usa), 17 giugno 2019. Foto ANSA

Per esempio: oggi lo Stato aiuta le famiglie abbienti che mandano i figli all’ università. Per ogni figlio diamo un sussidio pari a due terzi del costo della retta. Non ha nessun senso. I servizi pubblici devono essere fatti pagare a chi ha le sostanze per farlo. Questa è la vera progressività».

Le faccio la domanda che avrei dovuto farle all’ inizio dell’ intervista: non ci sono i soldi per finanziare la flat tax, quindi di cosa discutiamo?
«La flat tax si finanzia con tagli di spesa, e spostando il carico fiscale dall’ imposizione diretta all’ imposizione indiretta. Meno Irpef e più Iva».

Ma come: stiamo cercando 23 miliardi per scongiurare l’ aumento dell’ Iva, e lei la vuole aumentare?
«Mi viene da ridere. Quando ho proposto di portare l’ Iva al 25% tutti erano preoccupatissimi, adesso invece potrebbe arrivare al 27».

Quelli che dovranno riempire il carrello della spesa rideranno un po’ meno.
«Togliamoci dalla testa che un aumento dell’ Iva farebbe crollare i consumi. Non è affatto detto. A una condizione, però: bisogna fare le due cose insieme. Da una parte aumentare le imposte sui consumi, dall’ altra abbattere l’ Irpef. Ogni provvedimento, ovviamente, deve essere credibile. E per essere credibile non dev’ essere fatto a debito».
La sua proposta è stata riformulata in tanti modi. La Lega di Salvini propone due aliquote distinte.
«Non mi straccio le vesti se anziché un’ aliquota ne lasciano due. Il problema è che Salvini vuole finanziarla in deficit, e su questo non sono d’ accordo. Anzi, mi stupisce che un partito di destra abbia convinzioni economiche degne della peggior sinistra veterocomunista. La destra vera per me è altro».

Cioè?
«È di destra chi persegue costantemente una riduzione della presenza dell’ operatore pubblico nell’ economia».

Rossi, lei è stato senatore democratico ma mi parla come Margaret Thatcher, quando diceva che i socialisti, pur di rendere i ricchi meno ricchi, rendono i poveri più poveri.
«Certo, è così. Non voglio difendere né la sinistra, né la destra. Il punto è che nessuno in questo Paese sottolinea che probabilmente una riduzione della presenza dello Stato nella vita economica sarebbe utile e opportuna».

Questo mi lascia pensare che non è un fan del reddito di cittadinanza del Movimento 5 stelle.
«Ci mancherebbe. È un provvedimento che non porterà benefici né a chi lo riceve né a chi se l’ è inventato. Oggi la gente comincia a irritarsi perché pensava di ottenere di più».

La flat tax secondo lei è una medicina che agirebbe subito sull’ economia?
«Immediatamente. Le persone avranno la sensazione che le tasse sono diminuite veramente. L’ anno scorso invece, nonostante un deficit al 2,4%, ci siamo ritrovati con una pressione fiscale aumentata. Certo, dev’ essere un progetto ben pensato».
Altrimenti?
«Altrimenti andiamo pure avanti con gli 80 euro di Matteo Renzi: una scelta mal pensata, mal disegnata e peggio realizzata».

Di Maio, Salvini, Conte

Ma all’ estero la flat tax funziona?
«Certo che funziona. Qualcuno si oppone dicendo che non è stata introdotta in nessun grande Paese occidentale, ma questo è risibile. È stata adottata per intero in una serie di Paesi che hanno avuto un cambio di regime, come i Paesi dell’ Est, i quali hanno dovuto riscrivere da capo le proprie regole fiscali.

Ma anche nelle grandi nazioni occidentali si assiste a una tendenza evidente. Negli ultimi 40 anni si sono andati regolarmente riducendo il numero e il livello delle aliquote. Insomma: chi da subito, chi per gradi, ma tutti stanno andando verso la flat tax».
Che fine ha fatto la promessa di ridurre il cuneo fiscale?
«La flat tax sicuramente contribuisce a ridurre il cuneo fiscale. Certo, bisognerebbe intervenire anche sui contributi sociali. Ma quelli potranno essere diminuiti solo con interventi in campo previdenziale che non comportano aumenti di spesa, come invece purtroppo abbiamo fatto».
Si riferisce a quota 100?
«Mi sembra abbastanza inutile. Per carità, la legge Fornero era tutt’ altro che perfetta. Ma bisognava intervenire chirurgicamente: abbassare l’ età pensionabile per tutti è un errore.
Viviamo di più, e quindi ci tocca lavorare di più. È sgradevole, ma è la realtà».

Intervista di Federico Novella per “la Verità” (https://www.laverita.info/)

MALEDETTI TOSCANI

MALEDETTI TOSCANI

GUARDARE LA TOSCANA PER SAPERE COSA SUCCEDERA’ AL PD E QUALE SARA’ IL FUTURO DI RENZI- COSI’ LA PENSA GEPPETTO.

 

I partiti italiani si stanno posizionando in vista delle elezioni politiche previste per la primavera del 2018.

Tutti guardano alla Sicilia, dove il 5 di novembre si terranno le elezioni regionali. Con le sue “anomalie” si tratta di un test viziato, se il suo significato venisse allargato a livello nazionale, e in ogni caso non è alla Trinacria che bisogna guardare, se vogliamo capire cosa succederà nel partito di Renzi.

Maria Teresa Boschi al Festival del cinema di Venezia, insieme al fratello

Bisogna guardare alla Toscana, perché la perdita in casa affonderebbe ogni volontà di rivincita del segretario fiorentino. Il quale, di suo ci mette i capricci di chi rifugge la realtà, volendola piegare a ipotesi perdenti in partenza. Da settimane circola sempre più insistentemente la voce della candidatura a governatrice di Maria Elena Boschi. Dopo i fatti dell’Etruria e il disastro referendario, la ragazza è uscita malconcia, non è più lei, sicché pare che insieme allo smalto abbia perso anche la bussola. Il governatore uscente Rossi durante i due mandati ha amministrato con basso profilo, scansando decisioni impopolari, evitando di toccare i nervi coperti di una nomenklatura che costituisce per lunga tradizione l’asse portante della sinistra, ben collocata nei posti di comando in ospedali, università, aziende pubbliche, banche.

Enrico Rossi, governatore della Toscana

Il peso specifico di Rossi in Toscana è tutt’altro che relativo. Essendosi egli schierato con Bersani e D’Alema, salvo poi ripensarci e non uscire dal partito, la sua sostituzione dà un’opportunità agli antirenziani, che se imbroccano la candidatura alternativa, nel segno rassicurante della continuità, potrebbero dare filo da torcere al PD. Non dimentichiamo che la fila dei comuni persi dal PD si allunga ad ogni elezione: Livorno, Arezzo, Grosseto, e da ultimo Carrara e Pistoia. Se capitola Firenze il PD toscano salta. Il congresso regionale previsto per fine ottobre sarà un passaggio difficile e cruciale per il futuro assetto della regione e per il destino di Renzi.  La sedia di Dario Parrini, il segretario uscente, è pericolante. Metaforicamente, viene alla mente la voragine che si inghiottì duecento metri di strada del Lungarno Torrigiani nel 2016.

Ma c’è un motivo fondamentale per considerare inopportuna e perdente l’idea di candidare la bella di Laterina: al di là dei pochi meriti e dei troppi demeriti quella della Boschi sarebbe una candidatura divisiva, in un partito già lacerato. Laddove invece ci vorrebbe un candidato in grado di mantenere il gruzzolo, tagliare le ali al MDP e allargare verso l’elettorato di centro, anche in funzione anti 5 Stelle.

Dario Nardella

Ebbene, questo candidato c’è: è Dario Nardella, attuale sindaco di Firenze. Renziano ortodosso, ma non fanatico, è uomo dal profilo politico rassicurante, ha il merito di appartenere all’avanguardia della rottamazione e come sindaco si è mosso con avvedutezza, anche perché, al contrario di Renzi, ascolta i consigli. Ancora alle prime armi sullo scenario nazionale (pochi mesi come deputato poi rientro a casa al posto di Renzi) è una carta di riserva nel mazzo renziano che è venuta l’ora di giuocare. E’ insomma uno che da governatore potrebbe garantire gli equilibri, non è un fulmine, ma nemmeno un inconcludente trafelato o sboccato barricadero. Dopo più di tre anni da sindaco, Nardella non ha dato ancora alla città una realizzazione simbolo della sua consiliatura, che scadrà a maggio 2019. L’uso dell’acqua per scacciare i turisti intenti a bivaccare sui sagrati delle chiese, oppure l’ordinanza contro la prostituzione, rientrano nella politica spettacolo, cui anche Nardella ogni tanto indulge. La mossa vincente potrebbe essere la chiusura dei cantieri per le due tranvie, il tempo c’è, in quanto si voterà per il rinnovo della Regione sempre nel 2019, ma i fiorentini, che ricordano le sue promesse, si aspettano una città in ordine ben prima di allora.

Controllo prostituzione a Firenze – ANSA/MAURIZIO DEGL’ INNOCENTI

Si dice che Nardella preferirebbe rimanere dov’è, piuttosto che avventurarsi in uno scenario ancora nebuloso e incerto.

Tempo fa su un quotidiano locale diceva: “Le scommesse per Firenze sono così avvincenti e difficili che richiedono un governo di dieci anni”. Se i fiorentini me lo chiederanno, io ci sarò – ha aggiunto -, perché amo questa città”.

Ma egli sa che a volte le dinamiche politiche, apparentemente capricciose e casuali, hanno viceversa una loro logica, cui non sempre è dato sottrarsi. Oggi nel PD in Toscana attorno alla sua figura si potrebbe verificare, se non una convergenza decente, almeno una non aperta belligeranza interna, all’insegna di un gentleman’s agreement.

 

 

SCONFITTO MA NON CADUTO

SCONFITTO MA NON CADUTO

 

COSI’ LA PENSA GEPPETTO. L’ANALISI DELLO PSICODRAMMA DEM SUL LETTINO DELLO PSICANALISTA- PERCHE’ LA MINORANZA NON CONVINCE E QUALI ERRORI HA FATTO- COSA SARA’ PER RENZI IL CONGRESSO DEL PD- RENZI VS GRILLO LA VERA PARTITA.

 

Ho sempre creduto che i processi cognitivi-comportamentali dei politici siano alquanto alterati, e del tutto difformi dalle comuni reazioni di fronte agli eventi, costituendo a volte disturbi da affrontare con adeguate terapie individuali o di gruppo. E’ la conferma di quanto si sa da tempo: chi fa professione di politico vive in un modo tutto suo, con regole arcane e azioni imperscrutabili dai cittadini elettori.

Matteo Renzi, nella foto che appare sul suo blog

Lo psicodramma che, dal referendum istituzionale a tutt’oggi, dilania il Partito Democratico lo conferma. La posizione dalla maggioranza renziana è chiara: abbiamo preso una sonora scoppola, andiamo al congresso, eleggiamo i nuovi vertici, pensiamo ad un nuovo programma in grado di battere il centro destra, ma più ancora di togliere terreno sotto i piedi di Grillo. Queste, almeno, le intenzioni, che poi ci riescano è tutto da vedere.

E’ la risposta della minoranza ad essere incomprensibile: pretendere che Renzi esca dalla corsa per il rinnovo della segreteria equivale a dire: lasciateci vincere il congresso che, a qual punto, diventerebbe del tutto inutile: eliminato il concorrente più temibile tanto varrebbe nemmeno farlo.

La melina secondo la quale bisogna avere più tempo per discutere sennò si va a sbattere, come dice Bersani, dimostra solo una cosa: la minoranza non è pronta perché non ha un candidato, non ha un programma, non ha idea di quale possa essere il perimetro delle alleanze, visto che, come i gamberi, siamo ricaduti nel proporzionale, croce e delizia della prima repubblica.

E col proporzionale, ecco che redivivi gruppi e gruppuscoli rialzano la testa, intenti alla conta dei voti e delle poltrone, anche al costo di una scissione.

Fin qui l’analisi è la solita analisi politica dei giornaloni a finanziamento pubblico, sbilanciata verso l’una o l’altra parte a seconda delle tendenze di chi scrive.

Ma l’analisi psicologica è assai più interessante e dice molte più cose.

SCONFITTO MA NON CADUTO

Renzi ha perso, e anche male, ma non è caduto. Chi cade nella polvere sconfitto, non pensa ad un secondo tempo, ma all’abbandono. Raccolte le residue aspettative, il caduto svolta pagina, cerca altre strade. E’ il primo ad essere contento di essere dimenticato, proprio perché la vita di prima gli ripropone amaramente la sconfitta. La storia ci fornisce innumerevoli esempi, da Cincinnato in poi. Ma più vicino a noi, l’idealtipo di questo modo di essere è stato Walter Veltroni, ex segretario “a vocazione maggioritaria”, tornato alla televisione e al cinema, le sue antiche passioni. Le idee avanzate e le speranze del Lingotto non gli potevano consentire di rimanere, e lui non è uomo da accontentarsi di uno strapuntino.

Ma torniamo a Renzi. Egli è sembrato riconoscere la sconfitta, ma i suoi comportamenti e le sue intime convinzioni non sono affatto mutate. Non lo può dire (l’elettore ha sempre ragione!), ma lui nel suo intimo non la pensa così, anzi! Se fosse caduto il conducator avrebbe fatto un botto notevole, avrebbe scompaginato il quadro, azzerato situazioni e programmi. Così non è successo perché, appunto, l’ex segretario del PD non è caduto e il governo Gentiloni è la naturale prosecuzione del suo: stessi ministri, stesso programma, stessi problemi. Di ciò sembra avere preso nota per primo e lucidamente Mattarella.

Michele Emiliano, Enrico Rossi, Roberto Speranza

PERCHE’ I TOPI NON SCAPPANO ?

Altro indizio c’è lo fornisce la psicologia dei gruppi. Essa prende in esame il comportamento abituale nei confronti del leader caduto: tutti lo abbandonano. Con una bella metafora si dice che quando la nave affonda i topi scappano. Così non è stato nel caso di Renzi. Nel PD i renziani sono ancora in maggioranza e non ci sono state defezioni di sorta, solo si è visto qualche riposizionamento tattico. Il capo cade e la maggioranza resta? Di questo controsenso la minoranza non sembra capacitarsi. La rivincita rinviata ? L’impolitica posizione di volersi sbarazzare di Renzi, come condizione sine qua non per fare la pace, parte da un presupposto psicologico che non c’è nella testa di Renzi, ignora la realtà dei fatti, andati in senso opposto a quanto desiderato, e sbarella in quanto a logica comune. Perciò la gente non capisce.  

UNA BUONA MINORANZA

La minoranza aveva sbagliato ancora prima, quando ha pensato di contrastare apertamente il referendum, quando avrebbe potuto seguirlo tiepidamente, con blande critiche o avvertenze per l‘uso (ad esempio sconsigliare di fare dei quesiti un minestrone). Perdere il referendum non poteva fare piacere a nessuno, questo è quanto la minoranza avrebbe dovuto dire. Se anche il timoniere è maldestro non per questo si dimostra attaccamento alla causa accanendosi affinchè la barca finisca sugli scogli.

In altre parole, se una minoranza vuole diventare maggioranza deve dimostrare, agli occhi dei militanti, di avere forte attaccamento alla casa comune, non definirla “ditta”. Il partito, viene innanzi tutto e su tutti, altro che personalismi! E rispetto delle regole, per tutti! A cominciare dalla prima: chi vince governa. Questo, almeno, avrebbe dovuto succedere nell’ultimo partito non aziendalistico e patronale rimastoci, erede degli antichi apparati novecenteschi.

Viceversa, il clamore della ostentata e irriducibile opposizione, come quella fatta da D’Alema e Bersani, spezza, ma non costruisce. Risultati? Agli occhi e nella testa dei simpatizzanti, Renzi la sconfitta la divide con la minoranza. Renzi rimane in piedi, quasi fosse un martire, morto per la giusta causa e per mano dei traditori.

 

COS’E’ IL CONGRESSO NELLA TESTA DI RENZI

Per i motivi esposti, ignorati purtroppo dalla minoranza, e psicologicamente parlando, il congresso per Renzi, non poteva essere un momento di ricucitura interna al partito, né sarà una vera e propria resa dei conti (dal momento che vincerebbe anche a mani legate). Anche perché gli oppositori, inermi e confusi come naufraghi, usciranno prima.

Per Renzi e il suo gruppo il congresso sarà una terapia riabilitante, il superamento delle paure e delle fobie accumulate con la sconfitta, un rito di iniziazione verso la maturità politica adulta, fuori delle impazienze e dai pressapochismi rottamatori. Poi per la sinistra ci saranno le elezioni, e lì sarà dura presentarsi a tavola numerosi come mosche e altrettanto fastidiosi.

Articolo di Geppetto per Ninconanco

Blog Matteo Renzi: http://www.matteorenzi.it

 

 

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