Il museo della Merda

Il museo della Merda

Museo-della-cacca

Museo-della-cacca

CAPOLAVORI DI MERDA! DALLO SCARABEO STERCORARIO A PLINIO: A PIACENZA NASCE IL PRIMO “MUSEO DELLA MERDA”: UNA GRANDE METAFORA DELL’UMANITA’ – IL PRECEDENTE DI “MERDA D’ARTISTA” BY PIERO MANZONI

A Castelbosco (Piacenza) nasce il primo Museo della merda: tutto merito di Gianantonio Locatelli, l’Andy Warhol del Grana Padano, un imprenditore agricolo col pallino per lo sterco e per l’arte – Gabinetto di curiosità contemporaneo, il museo trova il suo principio guida “nella scienza e nell’arte della trasformazione”… Siamo nella merda, ma non precipitiamo. C’è merda e merda, e da quella vera possiamo solo imparare: è la promessa del Museo della Merda inaugurato ieri in quel di Castelbosco, provincia di Piacenza. Le cose sono andate così: nell’azienda di Giangiacomo Locatelli ci sono 2500 bovini iperefficienti (bovini padani, mica extracomunitari, direbbe Salvini), che producono 300 quintali di latte e soprattutto 1000 quintali di sterco al giorno. Una produzione talmente massiccia da aver creato problemi strutturali al pregevole castelletto tardogotico confinante con le stalle. Ma come canta il poeta, se dai diamanti non nasce niente dal letame nascono i fiori, e non solo. Trasformando e riciclando quella cascata di nitrati Locatelli ha ricavato prima di tutto quei fertilizzanti naturali di cui oggi, con i terreni resi esausti dai concimi chimici, si risente una gran necessità; poi energia alternativa attraverso un innovativo sistema di digestori; infine, diversi materiali da costruzione.

Il mattone realizzato con il 90 per cento di sterco e il 10 per cento di argilla ha fatto furore tra i creativi, al recente Salone del mobile. Evoluzione della biomeccanica, ricerca agraria, antropologia: mancava solo il luogo adatto per raccontare l’incompresa natura della cacca, la sua propensione naturale a dare stimoli (e produrre metafore), la sua avventurosa capacità di rinascere nelle forme più insospettabili; da qui, la decisione di ristrutturare il castello tardogotico, ovviamente a partire dalla cloaca originaria, di riscaldarne le sale del piano terra – sempre grazie al letame – e di trasformarlo in museo. E siccome da sempre chi dice merda dice anche arte, altre sale ospitano una breve ma significativa storia delle creazioni umane in materia. Ci sono gli scarabei buongustai già venerati dagli antichi Egizi, una documentazione fotografica sulla Capanna villanoviana di sterco e paglia dei Giardini Margherita di Bologna, una serie di installazioni di artisti contemporanei; chi prende spunto dalle ricette farmaceutiche descritte da Plinio il Vecchio nelle Storie Naturali, chi dai batteri luminescenti che nutrendosi proprio di quello si irradiano di luce verde, fino alla celebre scena del Fantasma della libertà di Luis Buñuel in cui i convitati siedono e conversano amabilmente davanti a una tavola con le mutande calate, ognuno seduto sulla sua tazza, e se sono sorpresi dal bisogno di mangiare chiedono scusa, si alzano e vanno a chiudersi in uno sgabuzzino.

Mancano alcune celebrità assolute, come la Merda d’artista di Piero Manzoni e le Merde Portafortuna di Osvaldo Licini, ma non è detto che non arrivino in futuro. Il Museo della Merda, che inaugura da maggio le visite al pubblico (orari e informazioni sul sito museodellamerda.org ), è in evoluzione costante come la materia a cui è dedicato. Guai a sottovalutare il fattore M. Mai come di questi tempi quello che è presentato come oro si rivela merda; a Castelbosco vogliono dimostrare che è vero anche il contrario.

Nanni Delbecchi Il Fatto quotidiano 28.5.205. Tratto del sito Dagospia

Immagine in evidenza: Piero Manzoni: merda d’artista

I toscanelli di Pannella

I toscanelli di Pannella

Il-leader radicale Marco Pannella

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In una recente intervista Marco Pannella, ottuagenario esponente radicale, che con la sua azione politica ha attraversato da protagonista la seconda metà del secolo scorso, ha confessato di essere affetto da due tumori: uno ai polmoni, l’altro al fegato. Una vita – ricorda col noncurante compiacimento e il tono provocatorio che gli è proprio – passata  a fumare 60 sigarette o toscanelli al giorno, scandita da innumerevoli digiuni non violenti, spinti oltre ogni resistenza fisica. Pannella non si mostra pentito per le cattive abitudini, anzi è dell’idea che se è arrivato alla sua veneranda età è perché ha messo il suo organismo alla prova. In buona sostanza, Pannella attribuisce la sua passata salute ad una sorta di prevenzione rovesciata, in cui la prospettiva salutogenica si fa paradossale, infarcita com’è di cattive abitudine e di vizi che diventano “esemplari”. Insomma, nella prospettiva rovesciata pannelliana, salute e vita si manterrebbero allungandosi, grazie a pratiche “omeopatiche”, derivanti da  piccoli e ripetuti “oltraggi” all’organismo, per così dire a bassa tossicità, destinati nel tempo a irrobustirlo. Preso alla lettera il ragionamento del leader radicale è pericoloso, oltre che frutto di una sostanziale ignoranza di come in realtà funzioni il corpo umano. La salute non si mette alla prova né “si allena”, come per esempio un muscolo o la memoria. La salute si preserva, con premuroso interesse (come dice la parola cura); che non vuole dire che essa va conservata sotto una teca come una reliquia, ma cercando nell’arco dell’esistenza l’equilibrio che la determina fra corpo, psiche e ambiente.

Lo stile di vita che Pannella vuole personificare è quello da coraggiosi, da intrepidi, in continua sfida con se stessi per superarsi. Mentre, sappiamo che stili di vita inadatti, abitudini igienicamente discutibili, assunzioni  smodate, hanno sul corpo un effetto “accumulo”, che alla lunga danno esiti inesorabilmente nefasti. E non c’entrano la buona o la cattiva sorte o l’eroismo, né l’epica del superuomo ad uso delle masse.

In copertina un quadro di Giacomo Balla

 

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