LA RIVOLTA DELLE PERIFERIE

LA RIVOLTA DELLE PERIFERIE

L’ISOLAMENTO DELLE PERIFERIE  ESCLUSE DALLA GEOGRAFIA DEL POTERE E DELLA CULTURA AL CENTRO DEL COMPORTAMENTO POLITICO IN EUROPA- L’ANALISI DEL POLITOLOGO ILVO DIAMANTI SPIEGA ANCHE IL VOTO SULLA BREXIT

 

 

 

 

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Ilvo Diamanti

La frattura fra centro e periferia costituisce una delle più importanti spiegazioni del comportamento politico. Definita, con chiarezza, da Stein Rokkan, insieme a Seymour Lipset (fra gli anni Sessanta e Settanta). I quali, però, facevano riferimento, principalmente, alla dimensione territoriale. Alle tensioni delle periferie, nella ricerca di difendere la loro autonomia e la loro identità di fronte all’egemonia del centro.diamanti-1

Tuttavia, ai nostri giorni, il segno della periferia va oltre. Evoca la dimensione sociale, insieme a quella territoriale. D’ altronde, periferie sociali e territoriali, inevitabilmente, si incrociano e si influenzano reciprocamente. Ma con effetti diversi.

La periferia può delineare i luoghi lontani ed esclusi dalla geografia del potere e della cultura. Oppure, in alternativa, le sedi dove i cambiamenti avvengono senza strappi, in modo meno vistoso, le “province” dove si riesce a produrre, a lavorare, a crescere economicamente senza traumi, senza rinunciare a vivere bene. Restando nell’ombra. In periferia, appunto. Dov’è più semplice agire e reagire, limitando le interferenze esterne.

Tuttavia, ciò che sta succedendo in questi tempi non riflette dipendenza, né distacco ma, per certi versi, una rivolta delle periferie territoriali, economiche, sociali.

Le quali rinunciano alla strategia dell’ attesa per emergere in modo appariscente. Servendosi di media e attori ad alta visibilità. Leader, partiti, movimenti. Agitati e attivi. Si tratta di una tendenza globale che spiega alcuni dei fenomeni politici più rilevanti di questo periodo.

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Marie Le pen

Negli Stati Uniti, Donald Trump ha intercettato la paura delle classi agiate bianche contro la minaccia delle altre componenti dell’ universo multietnico americano. Inoltre alimenta la paura di nuove migrazioni, che spingano ancor più in basso, ancor più in periferia, la classe media.

Così, in Gran Bretagna, il motore della Brexit è certamente il sentimento di declino delle aree extraurbane inglesi, dei settori sociali colpiti dalla crisi, dei più anziani. Che imputano all’Europa – “centrata” sulla Germania – la propria crescente perifericità.

 E vorrebbero isolarsi di più. Se non possono più essere centro, meglio non diventare periferia. Europea. Scozia e Irlanda del Nord, invece, hanno votato no alla Brexit. Perché si sentono periferia di Londra.

 D’altronde, almeno in Europa, ormai da molto tempo classe operaia e ceti esclusi – dal mercato del lavoro – non votano più per la sinistra ma per i partiti di destra. E per le forze politiche definite populiste.

 In Francia per il Front National di Marine Le Pen, primo partito della classe operaia, tradizionalmente forte nelle aree periferiche – di confine – a sud e nel nord est. In Italia la classe operaia (ciò che ne resta) fino a ieri si era avvicinata alla Lega. Ma oggi vota, in misura crescente, per il Movimento Cinque Stelle.M5S

In Italia, d’altronde, la maggioranza della popolazione – il 53 per cento – si sente e si definisce di classe sociale bassa e medio-bassa. Fra gli elettori del M5S la percentuale sale al 60 per cento. Insomma la periferia della società preferisce le scelte antipolitiche e impolitiche.

Peraltro, se poniamo attenzione sulle recenti elezioni amministrative, la crescente centralità della periferia diventa evidente. A Torino la neo-sindaca, Chiara Appendino, si è imposta – soprattutto – nei quartieri periferici. Fra i giovani. Mentre Fassino resiste al centro e in collina. Fra i più anziani.

La frattura generazionale è, dunque, divenuta importante. Anche se con effetti diversi. Privati di futuro, i giovani se ne vanno. Oppure votano contro. Com’ è avvenuto in Spagna, dove si vota proprio oggi. Là, i più giovani si sono rivolti a Podemos (oggi alleato di Izquierda Unida). Perché, rispetto alle politiche dei partiti maggiori (Partito socialista e Partito Popolare), si sentono periferici.

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Virginia Raggi, neo sindaca di Roma

Per tornare in Italia, a Roma, nelle amministrative, Virginia Raggi ha dominato a Ostia e nei quartieri periferici più popolosi. Mentre Roberto Giachetti resiste solo nel centro storico e nei quartieri borghesi, Parioli e Nomentano. A Napoli, infine, Luigi De Magistris, portabandiera della periferia alla conquista dei centri, ha vinto in tutti i quartieri, a partire dal Vomero.

Spingendo i concorrenti, per prima la candidata del Partito democratico, Valeria Valente, non in periferia, ma fuori dalla città. Nel complesso, queste elezioni amministrative disegnano un’ Italia senza radici, come abbiamo scritto in sede di analisi del risultato. Un paese dove le specificità (politiche) territoriali si stanno scolorendo. D’altronde, il M5S, dichiarato vincitore, non ha radici.

Al di là delle due metropoli dove ha vinto, si è affermato in altre diciassette città maggiori distribuite in tutto il territorio. Mentre il Pd si è perduto. Non solo perché ha perduto in metà delle città maggiori dove prima governava: 45 su 90. Ma perché è arretrato soprattutto nel suo territorio.

Nelle regioni rosse del Centro. La Lega “nazionale” di Salvini, a sua volta, ha perduto a Varese. La sua patria. E non è riuscita a proseguire la propria marcia oltre il nord. Da parte loro, i Forza-leghisti non sono riusciti a riprendersi Milano. La loro capitale storica. E mitica.Appendino

 Così si delinea la mappa di un paese incerto e instabile. Senza colori. Che non ha più capitali. Oppure ne ha troppe. Perché la periferia si è allargata dovunque. Da nord a sud. Ovunque, in Italia, è periferia. Dovunque cresce la voglia di cambiare. Di diventare centro.

 Oppure, di ribellarsi al centro. Per sfuggire al declino. Il vento del cambiamento, in fondo, ha questo significato. Evoca il rifiuto di rassegnarsi: a scivolare verso la periferia. E a rimanere lì. Senza speranza.

Articolo di Ilvo Diamanti per “la Repubblica” 27/6/2016

 

 

 

 

LA DEMOCRAZIA SECONDO HENRY LEVY

LA DEMOCRAZIA SECONDO HENRY LEVY

 

ECCO PERCHE’ LA G.B. VOLTA LE SPALLE ALLA SUA GRANDEZZA SECONDO BERNARD HENRY LEVY – DAL GIARDINO DEI FINZI-CONTINI AI VILLINI PREFABBRICATI COI NANI IN GIARDINO- I LUMI E I SUOI ETERNI NEMICI CHE RITORNANO NELLE URNE – “È LA VITTORIA DEGLI ESTREMISTI VIOLENTI E DEI DEMENTI GAUCHISTI, DEI FASCISTI E DEGLI HOOLIGAN AVVINAZZATI, DEI RIBELLI ANALFABETI E DEI NEONAZIONALISTI…” (DIMENTICATO QUALCUNO? SI’, IL POPOLO)

 

 

Curiosa, ma non imprevedibile, la risposta della sinistra au caviar. Dalla rive gauche si alzano lamenti: se alle urne si perde non vale. Ma è un po’ tutta la sinistra europea che è frastornata e non riconosce più i sacri confini della democrazia dopo il voto che ha sancito l’uscita dell’Inghilterra dall’Europa. Ora, tenetevi forte di fronte a questo articolo di BERNARD HENRY LEVY. Il filosofo francese ci porta in un volo pindarico, zeppo di riferimenti, citazioni, allusioni, esortazioni, incitamenti, profezie, anatemi. Come il Grillo Parlante disneyliano saltella a destra e a manca, passando con disinvoltura da Farage a Podemos, da Fritz Lang a Auguste Renoir, da  Dante a Jean Monnet , da Michelangelo a Bassani. Alla fine pare che si ingarbugli nelle sue stesse parole. Troppe, troppe, anche per uno del suo calibro.  E, dopo tale diluvio, al solito, poche, pochissime e indefinite la cose da fare, secondo il filosofo francese: “parole forti e un’azione di grande rilievo”(?) Proposte zero/zero. Se non amate il funambolismo e se volete, potete tralasciare di leggere l’articolo, perché il succo sta tutto nella frase in premessa: “Brexit è la vittoria non del popolo, ma del populismo. Non della democrazia, ma della demagogia”. Con buona pace di chi si ostina a pensare che la sovranità appartenga al popolo e lo scorno di chi, come Gustavo Zagrebelski, pensa che abbiamo la “più bella costituzione al mondo” (come i francesi, suppongo).   

 

 

Bernard levy“Brexit è la vittoria non del popolo, ma del populismo. Non della democrazia, ma della demagogia. È la vittoria della destra dura sulla destra moderata, e della sinistra radicale sulla sinistra liberale.

È la vittoria, nei due campi, della xenofobia, del vecchio odio verso l’immigrato e dell’ ossessione di avere il nemico in casa.

È la rivincita, in tutto il Regno Unito, di coloro che non hanno mai sopportato che gli Obama, Hollande, Merkel e altri esprimessero la propria opinione su quello che essi si accingevano a decidere. È la vittoria, in altri termini, del «sovranismo» più stantio e del nazionalismo più stupido. È la vittoria dell’ Inghilterra ammuffita sull’ Inghilterra aperta al mondo e all’ ascolto del suo glorioso passato.

È la sconfitta dell’ Altro davanti al rigonfiamento dell’ Io, e del complesso davanti alla dittatura del semplice. È la vittoria dei sostenitori di Nigel Farage su una «classe politico-mediatica» e sulle «élite mondializzate» che essi ritengono siano «agli ordini di Bruxelles». È la vittoria, all’ estero, di Donald Trump (il primo, o uno dei primi, ad aver acclamato questo voto storico) e di Putin (il cui sogno e, probabilmente, uno dei progetti – non lo si ripeterà mai abbastanza – è la disgregazione dell’ Unione Europea).

 E’ la vittoria, in Francia, dei Le Pen e dei Mélenchon che sognano una variante francese di Brexit, mentre ignorano completamente l’ intelligenza, l’ eroismo, la radicalità e la razionalità francesi. È la vittoria, in Spagna, di Podemos e dei suoi Indignati di cartapesta. In Italia, del Movimento 5 Stelle e dei suoi clown. In Europa centrale, di chi, dopo aver percepito gli utili dall’ Europa, è pronto a liquidarla.Bernard Henry levy

È la vittoria, ovunque, di coloro che aspettavano solo che si presentasse l’ occasione per sottrarsi all’ impegno europeo; di conseguenza, siamo all’ inizio di un processo di smembramento che, oggi, nessuno sa come potrà essere arrestato.

È la vittoria della folla di Metropolis sulla «colazione dei canottieri» (riferimenti al film di Fritz Lang e al dipinto di Auguste Renoir, ndt ).

È la vittoria degli estremisti violenti e di dementi gauchisti, dei fascisti e degli hooligan avvinazzati e pieni di birra, dei ribelli analfabeti e dei neonazionalisti che fanno venire il sudore freddo.

È la vittoria di coloro che, come l’ inenarrabile Donald Trump che urla sventolando la parrucca gialla come un lazo: «We will make America great again!», pensano di interporre un muro, anche loro, fra «i musulmani» e se stessi.

Questo si potrà dire in anglico, nella lingua dei rital, in franglese. Sarà detto ringhiando, picchiando, cacciando via, rimandando in mare, vietando di entrare o proclamando a voce alta l’ irrisorio e fiero: «Sono inglese, io, signore» – o scozzese, o francese, o tedesco o altro ancora.brexit-la-regina-elisabetta-

 Sarà, sempre, la vittoria dell’ ignoranza sul sapere. Sarà, ogni volta, la vittoria del piccolo sul grande, e della cretineria sull’ ingegno.

Infatti, amici britannici, è evidente che «i grandi» non sono i «plutocrati» e i «burocrati»! E nemmeno i «privilegiati» di cui oggi si sogna ovunque, come da voi, di veder la testa infilzata su una picca! E quelli che Brexit ha silurato, cancellando l’ appartenenza all’ Europa non sono, ahimè, gli «oligarchi» denunciati dai vostri battistrada!

 I grandi sono gli amici e gli ispiratori della vera grandezza dei popoli. Sono gli inventori di quella splendida chimera, nutrita con il latte di Dante, Goethe, Husserl o Jean Monnet, che si è chiamata Europa. Sono questi grandi che voi state rimpicciolendo. Ed è l’ Europa come tale che si sta dissolvendo nel nulla del vostro risentimento.

Che l’ Europa abbia avuto un suo ruolo nel processo della propria messa a morte, è vero.

Che questa «strana sconfitta» sia anche quella di un corpo esangue, e che si disinteressava alla propria anima, alla propria storia, alla propria vocazione; che l’ Europa cui viene dato il colpo di grazia fosse moribonda da anni perché rappresentata da dirigenti scialbi e già fantomatici, il cui errore storico era di credere che la fine della Storia fosse avvenuta e ci si potesse addormentare in un sonno eterno purché venisse messo in funzione l’ annaffiatore automatico, è certo.

Insomma, che la responsabilità della catastrofe incomba anche su politici che hanno preferito – da fedeli ascoltatori dei loro spin doctor e dei loro maestri sociologi – accarezzare gli eventi nel senso del pelo che è quello della non-Storia, attenuare il rombo dei temuti temporali e rinchiudersi in un newspeak le cui parole sono sempre servite a tacere piuttosto che a dire, anche questo è un’ evidenza. Ma coloro che hanno ottenuto la maggioranza al referendum, e coloro che l’ applaudono, non vengano a raccontarci che volevano difendere, in segreto, chissà quale «Europa dei popoli».

 Infatti Brexit non è la vittoria di un’«altra» Europa, ma di una «assoluta mancanza di Europa». Non è l’ alba di una rifondazione, ma il possibile crepuscolo di un progetto di civiltà. Significherà, se non si ritorna in sé, la consacrazione della grigia Internazionale degli eterni nemici dei Lumi e di chi ha sempre avversato la democrazia e i diritti dell’ uomo.

 L’ Europa era, certo, indegna di se stessa. I suoi dirigenti erano pusillanimi e pigri. I suoi professori erano abitudinari e la loro arte di governare infiacchita. Ma quello che si prospetta al posto di questo giardino dei Finzi Contini è una zona di villini mondializzata dove si dimenticherà, poiché ci saranno ormai solo nani da giardino, l’ esistenza di Michelangelo.

O meglio, fra coloro che si rassegnassero a lasciar marcire questo mondo nelle pattumiere «trumpiane» della «grande America» dei fucili e stivali, o nella seduzione di un putinismo che reinventa le parole della dittatura o, adesso, nella desolazione di una Gran Bretagna che volta le spalle alla propria grandezza, fra questi dunque e i contemporanei di una fornace da cui uscirono i più spaventosi demoni dell’ Europa, non c’ è che lo spessore della vita di un uomo.

Renoir: La colazione dei canottieri (1890-91)

Renoir: La colazione dei canottieri (1890-91)

 La scelta è quindi chiara. O gli europei tornano in sé, o questo sarà il giorno di una Santa Alleanza dei militanti di una nuova Reazione la cui fonte battesimale si trova non più sul Giordano ma sulle rive del Tamigi.

O gli europei escono da questa crisi senza precedenti da settant’ anni con parole forti e con una azione di grande rilievo, oppure, nell’ ampio spettro coperto dai linguaggi pre-totalitari – dove la smorfia rivaleggia con l’ eruttazione, l’ incompetenza con la volgarità e l’ amore del vuoto con l’ odio per l’ altro – sarà il peggio a fare la sua apparizione.”

 

BERNARD HENRY LEVY  per il “Corriere della Sera” – (traduzione di Daniela Maggioni) 27/6/2016

 

 

 

 

 

CON LA BRETIX NON C’E’ NIENTE DA GUADAGNARE

CON LA BRETIX NON C’E’ NIENTE DA GUADAGNARE

 

 

UN SECONDO REFERENDUM? IMPOSSIBILE. E POI IL REGNO UNITO NON LASCERA’ l’UE. IL PIANO DI BORIS JOHNSON E’ UN ALTRO. FARAGE E’ UN CIALTRONE. GLI INGLESI SONO STATI INGANNATI.

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Alain De Botton

 

 

Alain De Botton, uno dei massimi filosofi contemporanei, è nato in Svizzera, ma vive in Inghilterra da quando era bambino. Ha studiato a Oxford e Cambridge, ora, a 46 anni, risiede a Londra. Per De Botton la Brexit è stata un’ atroce disfatta. Subito dopo l’ ufficialità dell’ addio all’ Europa, ha scritto su Twitter: «Questi sono i momenti in cui anche gli adulti piangono per la politica ».

 E lei, De Botton, ha pianto davvero per la Brexit?

«Quel tweet l’ ho pubblicato in balia delle emozioni. Abbiamo fatto un errore colossale. Questo è il lato triste dell’ Inghilterra. Ma non ce l’ ho con chi ha votato l’ uscita dall’ Europa».

 E con chi ce l’ ha?

«Con certi politici. Quello che hanno fatto Johnson, Farage e il ministro Gove è immorale. Sono dei bugiardi. Hanno bombardato di frottole i cittadini, soprattutto i più poveri. Li hanno imbrogliati con le loro promesse farlocche e insostenibili. E sono così disonesti che se le stanno già rimangiando. Ma purtroppo la democrazia dà diritto di parola anche a loro».

Non è che la democrazia ha bisogno di limiti per preservare se stessa?

«Impossibile. Non si può negare il diritto di espressione neanche a un cialtrone come Farage. Gli unici che possono fermare i demagoghi sono cittadini e media intelligenti. Rispondere colpo su colpo con i fatti, pazientemente».

 C’è chi dice che siamo entrati in una democrazia post-fattuale, in cui la solidità dei fatti, soprattutto online, si sgretola. Lei cosa ne pensa?

«E’ vero. Ma è un fenomeno di radici antiche. C’ è sempre stato nella storia chi ha sfruttato gli istinti e le passioni per sopraffare la ragione. Spero solo che questo referendum infonda una nuova serietà negli inglesi di fronte a certe scelte. Eppure sono sempre stati dei cittadini sensibili e misurati».

«Sono stati trascinati in un’utopia distorta. E ne sono rimasti stregati. Questo è un fatto inedito per noi. Lo stesso sta succedendo con Trump in America. La società contemporanea è entrata in una nuova forma di oblio, di decadenza».

 Cosa intende per decadenza?

«Una società che dimentica sempre più spesso quanto fragili siano in realtà ricchezza, pace e saggezza. E che poi reagisce dando calci a tutto quello che si trova davanti. Così prendono voti Trump e simili. Ma non si risolvono i problemi».

Problemi comunque innegabili. Johnson e Farage hanno conquistato i cuori delle persone soffocate da un disagio sociale ed economico. E questo problema è politico, non crede?

«Certo. È innegabile che in tanti soffrano la globalizzazione, l’immigrazione incontrollata, la povertà. Ma credo che il benessere economico collettivo sia un delicato equilibrio tra imprenditoria, mercato e cittadini, non le fandonie dei demagoghi che otterranno solo un risultato: recessione, uscita dal libero mercato, identici flussi migratori e isolazionismo. Con la Brexit non c’è niente da guadagnare. Ma alla fine il Regno Unito non lascerà l’Ue, nonostante il referendum».

Cioè?

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Edoardo Baraldi per Dagospia

«Johnson diventerà primo ministro e andrà a Bruxelles. Ma non attiverà mai la clausola 50 per uscire dall’Europa. Sa che il mercato unico è fondamentale. E quindi proverà a trattare per rimanere nell’ Ue, nonostante il disastro di cui è corresponsabile. Così placherebbe anche la furia indipendentista della Scozia».

 Lei ha dedicato molti libri alle relazioni amorose. Come descriverebbe la liaison tra Europa e Regno Unito?

«Molto complicata. Tanti britannici sono euroscettici, soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale contro ‘la demoniaca Europa’. Ma a volte in una relazione si possono trascurare i sentimenti e restare insieme per convenienza».

La Brexit sarà il colpo mortale per l’ Europa?

«No. Anzi, paradossalmente la accompagnerà sulla strada giusta. Non ho mai creduto agli Stati Uniti d’ Europa. Il futuro dell’ Europa sta nel mezzo: non un superstato opprimente, ma un club di buoni amici».

Intervista a cura di Antonello Guerrera per “la Repubblica” 27/6/2016

 

 

UN REGNO, UN’ISOLA

UN REGNO, UN’ISOLA

COSI’ LA PENSA GEPPETTO: UNA VOLTA ERA UN IMPERO, ORA SOLO UN’ISOLA – IN  U.K. VA IN SCENA L’ABBAGLIO DEMOCRATICO, FORMA INEDITA DI SUICIDIO COLLETTIVO – ORA, FATTA LA FRITTATA, CACCIAMO LA REGINA E LIQUIDIAMO IL REGNO? 

 

 

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GeppettoNon so voi, ma dopo avere ascoltato per radio della Brexit, ho sentito il bisogno di andare. Ho preso l’auto e sono salito in alto, verso il silenzio dei boschi, là dove lo sguardo potesse spaziare. Mentre affrontavo i tornanti mi chiedevo come in antico girava il mondo quando le notizie che lo cambiavano arrivano dopo mesi o anni, o non arrivavano proprio, se non per segni enigmatici, o flagelli senza nome, o al ritmo dal passo di stranieri dalle strane insegne. Magari allora era meglio piuttosto che l’orgia di parole, pronostici, indiscrezioni, interviste che mi lasciavo alle spalle. Forse non sapere giova all’uomo, chissà. Sempre meglio che presumere di sapere, se poi sapere ti getta in uno stato di smaniosa incredulità, nel frastuono di un accavallarsi di voci che è come un ronzio assordante che ti lascia alla fine senza più direzione, né discernimento. Elogio dell’ignoranza, non solo nel senso etimologico, va da sé, ma come stato esistenziale. Gli ignoranti sono felici!? Anche quando votano?

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David Cameron

Oramai l’abbiamo imparato: i pronostici sono sempre ad uso dei fini, chi gorgheggia nei sondaggi è sempre la voce dell’imperatore. Gli inglesi sono stati ingannati: pensavano di votare per la libertà, hanno finito per condannarsi a morire. Lenta uscita, dicono ora. Anche masochisti, dunque. Una volta era un impero, ora è un’isola. Sganciata dall’Europa perderà il treno della globalizzazione, non rimarranno che pascoli e pub dove annegare la noia. Uno sosteneva che al voto per uscire si sono presentati 17 milioni di britannici ubriachi. Ora nei commenti del giorno dopo questi votanti parlano come, se a votare, fossero stati dei sonnambuli. A cominciare dal Mago Merlino che sta al 10 di Downing Street, in attesa di sfratto: voleva fare la frittata senza rompere le uova. Ora saranno cazzi, con un paese spaccato a metà; città da una parte, la vecchia Inghilterra rurale dall’altra; i vecchi (vera variabile impazzita del voto) contro i giovani; Irlanda e Scozia che tifano Europa e pensano di uscire dal Regno. Magari guidati da quel tal Boris Johnson, inglese con passaporto statunitense, una specie di Calibano shakespiriano liberatore degli oppressi, così è se vi pare! Se avessero suggerito all’amletico laburista Corbyn di dire che l’Inghilterra col Brexit rischiava l’uscita della Coppa del mondo di calcio l’esito sarebbe stato ribaltato. L’unico che esulta è Farage, il Salvini locale.Farage

 

Oggi il cielo è sereno, ma dalla pianura sale la foschia della calura. Qui si respira bene, lungo i fossi e le spallette le fragole stanno maturando. Sotto, dopo una roggia, un contadino sta falciando l’erba, gesti antichi e lenti, l’aria è profumata. Chissà se sa quello che hanno combinato oltre Manica. Un’affilata alla falce e..via! Le teste british cadranno leggere come quest’erba? Chissà le borse. Sarà peggio di Lehman brothers? Chissenefrega, delle borse. Non si vive di solo spread. E gli emigrati? Questo spettro di cartone che si aggira sull’Europa? Certo un popolo può farsi male. Lo U.K. si è fatto male, pensando di fare male all’Europa. Ma forse per l’Europa sarà meglio. A patto di dimostrare che soli si sta peggio, altrimenti spunteranno gli imitatori, e si sa che la storia si presenta una prima volta come commedia la seconda come tragedia.

indipendenzaCi sono Stati maschi e Stati femmina. L’Inghilterra, si sa, era la perfida Albione, femmina dunque. Me la immagino un poco frivola e demodé, con la puzza sotto il naso, ma con molto stile. Femmina che si dà, ma mai fino in fondo. Paese impegnativo. Stare insieme, con il peso del ‘900 sulle spalle, era già difficile, ancora di più con questa che pretendeva di stare con un piede dentro e uno fuori. Come si può giocare in squadra la partita della globalizzazione con regole del gioco diverse? Diciamocelo, è stato un matrimonio di interessi. Non c’è mai stato amore. A pensarci bene l’Inghilterra non era Europa, Troppe differenze: la sterlina, il common lawe, un sistema di pesi e misure tutto suo, i bagni senza bidet, la guida a sinistra. Solo l’interesse ci teneva insieme, e con sempre più pretese e risentimenti, come succede nelle coppie male assortite. Ora siamo al divorzio. Amen. Succede alle persone, perché non anche agli Stati.

La democrazia va bene sempre, anche quando sbaglia. La gente vota, il numero vince, il popolo decide anche se non sa cosa. Basta con l’Europa delle banche, avanti l’Europa dei popoli. Ma non era così, non dicono questo i Trattati? Poi popolo e banche non possono stare insieme? Non amo la funzione pedagogica che le élite si autoattribuiscono. Ma la mano che trema va guidata: cosa non avrei dato per essere stato al momento del voto nella testa di un vecchio della periferia di Liverpool. Uno che magari abita a Mathew Street o a Penny Lane. Ci sarà ancora “la bella infermiera che vende papaveri su un vassoio”? come cantava Lennon. Che goduria. Ora qualcuno dice che cose così serie non si decidono più a maggioranza. Alt! Non vale più la regola che, quel voto in più, dico solo quel voto in più, magari di quel mentecatto che conosco, decida quanto un Churchill le sorte del Regno?! Dice: occorre la maggioranza “qualificata” e bisogna che si vada tutti a votare, esclusi i malati, i carcerati, quelli che non hanno sangue british e le suore, che tanto quelle sappiamo come votano.penny lane

Si sa, la colpa non è mai nostra. Di fronte a un problema che ci angoscia scatta la caccia al colpevole. Uno deve esserci per forza, come i parafulmini sui palazzi. L’Europa è il colpevole ideale, anche perché autolesionista, incapace di difendersi, addirittura menefreghista. Chi ha iniziata la caccia? Indovinato: proprio i parlamentari europei stessi, col bordone dei partiti nazionali. Ad ogni decisione che ci stava sulle palle giù in coro: è colpa dell’Europa! Poi con uno come Juncker, sottopancia della Merkel, non c’è stata proprio partita. Perché mai, in Italia, chi si spellava le mani per il brexit, oggi minimizza la portata del voto? Qualche triste presagio si aggira in Europa, oltre al summenzionato cartonato formato emigrante nero, sporco e cattivo?

I Regnati sono ammutoliti, il riservo pre-referendum doveroso si è tramutato in improvvisa afasia. Con chi se la piglieranno adesso, se perdono il regno? Che sia un modo nuovo per liberarsi della Betty e magari di Charles, il morto che cammina? La Thatcher si rivolterà nella tomba.

Che non valga anche per gli inglesi quanto valeva per la Sicilia del Gattopardo? Tanto rumore per nulla, per rimanere a Shakespeare, genio divinatorio? Il nodo da sciogliere è gordiano, una goduria per la burocrazia di Bruxelles: ottanta trattati da rinegoziare mentre la sterlina balla, i passaporti scadono, gli emigrati crescono come erba gramigna. I vecchi non avranno temo di ricredersi, moriranno inseguiti dalla loro paura. Non è che dopo aver chiamato il popolo a decidere si deciderà di non decidere?

Intanto che cammino il montanaro, gambe aperte, si raddrizza e asciuga il sudore, si dà una vigorosa grattata agli attributi e guarda nella mia direzione. Qualcosa non gli quadra perché sputa, ma non sulle mani, in aria e nella mia direzione, con una smorfia di disgusto. D’accordo non sono uno spettacolo, ma devo essere proprio un cesso questa mattina. Mi succede quando faccio l’alba davanti alla tv. La sogno la tv, perché dormo. Male. Questa notte ho sognato che gli inglesi rimanevano in Europa. Forse anche per via del whisky.

Gli isolani sono gente strana, combattuta. L’isola del whisky ha il mare tutto intorno, bello quanto può esserlo un mare senza sole. Anche quando non lo vedi lo senti il mare, ti senti protetto. L’isolamento non pesa, hai tutto, aerei che vengono e partono, frotte di turisti. Benvenuti. I clandestini non prendono l’aereo. Almeno! Ma se sei fuori dalle rotte, se il mercato si fa da un’altra parte, allora il rischio che la magnifica ammiraglia si trasformi in una bagnarola è reale.

I soliti anarchici l’hanno fatta corta la pipì e pure fuori dal vaso. Sotto il muro di casa hanno scritto: abolire gli stati, aboliti i confini. Non capiscono che sbarre e fili spinati, barriere doganali, li abbiamo dentro. Le barriere sono quelle d’animo. Vanno abbattute ogni santo giorno. Anche se lo passi in montagna. Infatti, vedi come mi guarda infastidito l’agreste, rimugina qualcosa fra una falciata e l’altra. Vedere estranei con gli va, gli stanno sulle palle. E dire che non ho la pelle nera, i vu cumprà stanno a Rimini ora, mica gironzolano per sentieri solitari. Forse sospetta che voglia mungergli la vacca o insidiargli la moglie, non so in che ordine di preferenza. I confini e le paure, sempre quelli. E non possiamo metterli a referendum, troppo facile. Dobbiamo per forza conviverci, con o senza inglesi.

 

 

 

LA MASCHERA DELL’ARTE

LA MASCHERA DELL’ARTE

IL LABIRINTO DI FORME E COLORI NELLE OPERE DI ANNALISA MAROTTA-MISURA ED EQUILIBRIO CEDONO DI FRONTE ALLE SUGGESTIONI FANTASIOSE DELLA MENTE- QUANDO L’ARTE SERVE PER DARE UN SENSO ALLO SCORRERE DEL TEMPO E ALL’EVANESCENZA DELLE COSE.

 

 

La storia è lunga parecchi anni, ed è difficile riassumere un percorso in cui le opere sono lasciate lì, a segnare il sentiero,  quasi fossero necessarie a raccapezzarsi nel labirinto quotidiano. Un filo di Arianna che, guardato a ritroso,  è forse la trama su cui si dipana una vocazione tradita. E’ il destino di chi non si fa travolgere dall’arte ma dalla vita, non distinguendo in fondo fra l’una è l’altra. E’ il destino di Annalisa Marotta, artista fine, sensibile e appartata, ma sempre accordata col mondo e le sue vicende. Dove per sue intendo sì quelle di tutti, ma in cui spiccano le vicende personali, che l’hanno distolta di un impegno più costante e proficuo, anche se la scarsità ha giovata alla qualità del lavoro.

Sono gli anni ’70 del secolo scorso, che qualcuno ha voluto definire magnifici. Certo, sono stati ricchi di stimoli e di novità; addirittura, per alcuni, anni febbrili di crescita e di esperienze. L’Italia, dopo avere arrancato per ricostruire le basi di un minimo di convivenza civile è in pieno boom economico, s’innamora dell’America, scopre il misticismo asiatico, i giovani di Erasmus sentono l’Europa come la nuova patria.

Sono gli anni di formazione per Annalisa Marotta, che guarda a mode e tendenze con un certo scetticismo, maggiormente attratta dalle idee e dalle opere di una serie di artisti e intellettuali, che formeranno il suo Pantheon personale e saranno fonte di ispirazione negli anni a venire. Singolare, ma non troppo: fra essi nessun italiano. Sono figure eclettiche, impegnate in diversi campi, personalità attive fra fine ‘800 e metà del ‘900: il filosofo Beltrand Russel, lo psicanalista C.G. Jung, i pittori Paul Klee, Juan Gris, Pablo Picasso, Marcel Duchamp e F. Hundertwasser , ma anche architetti come Mies van der Rohe, o le coreografe e danzatrici Madeleine Delbrel o Marta Graham.

E’ facile pensare che, se non avesse scelto l’insegnamento in storia dell’arte, facilmente Annalisa Marotta avrebbe fatto di mestiere l’architetta. Già Juan Gris aveva detto di considerare la pittura una architettura piatta e colorata. Spesso forme e colori nelle opere di Annalisa si modellano secondo schemi minimalisti attenti non alla descrizione della realtà, anche quando è interiore, ma a far prevalere il significato sulla forma. Forse tale prevalere ha consigliato ad Annalisa di non progettare, sulle orme di Mies van der Rohe, palazzi fatti di acciaio e vetro, ma di occuparsi di luci e ombre, sulla più leggera carta, friabile com’è friabile la vita.

Non a caso, le sue prime opere sono ispirate alle tavolette orfiche con le istruzioni per l’anima del morto sul modo di trovare la strada nell’altro mondo di cui parla Beltrand Russel nella sua Storia della filosofia occidentale.  Si tratta per lo più di lamine o placche d’osso, con incisi messaggi sotto forma di preghiera o esortazione e, più raramente, disegni schematici di oggetti o ambienti. La più vecchia è stata ritrovata nel sito dell’antica Hippónion (oggi Vibo Valentia, in Calabria), databile al 400 circa a.C. E’ tanto bella che vale la pena qui riportarla, nella traduzione di G. Pugliese Carratelli:

A MNEMOSYNE APPARTIENE QUESTO SEPOLCRO.

Appena sarai venuto a morte,/andrai alle case ben costruite di Ade. V’è sulla destra una fonte,/accanto ad essa s’erge un bianco cipresso:/lì discendono le anime dei morti e cercano refrigerio./A questa fonte non accostarti neppure;/ma più avanti troverai la fresca acqua che scorre/dal lago di Mnemosyne: vi stanno innanzi custodi,/i quali ti chiederanno, con sicuro discernimento,/che mai cerchi per la tenebra di Ade sonnolento (?)./Rispondi: Son figlio della Greve e del Cielo stellato,/di sete son riarso e mi sento morire, ma datemi presto/la fresca acqua che scorre dal lago di Mnemosyne./Ed essi saranno pietosi per volere del sovrano di sotterra,/e ti daranno da bere l’acqua del lago di Mnemosyne;/e poi che avrai bevuto procederai sulla sacra via su cui anche gli altri/mystai e bacchoi si allontanano gloriosi.

Le “tavolette” di Annalisa Marotta  sono acqueforti, acquetinte, xilografie che elaborano in chiave astratta l’argomento escatologico, interrogandosi sul significato della vita e della morte. Più che all’antecedente iconografico Annalisa è interessata ai contenuti esoterici e magici della prassi mortuaria, in voga negli ambienti orfici fra IV e V secolo a.c. Il rito di passaggio viene interpretato con moderna sensibilità, troviamo la linea spezzata, i segni graffiati su superfici prevalentemente monocrome; la prima “tavoletta” che vedete qui sotto è invece policroma, ma come racchiusa in un diffuso alone un poco stinto che rende le superfici estenuate e sfuggenti. Guardarla trasmette un senso di silenzioso equilibrio, la precarietà di qualcosa che sta sfumando sotto i nostri occhi, come l’arco che sembra librarsi nel vuoto. 

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Il terzo lavoro della serie sotto riportato è conturbante. Dietro due superfici apparentemente piatte, color grigio e prugna, si cela l’inganno e il travisamento. In due zone chiare prendono forma inconfondibilmente delle mani, non sai se in esortazione o pronte a ghermirti, o nell’atto di sorreggere qualcosa. Anche in alto, nella zona grigia, sembra apparire un volto che ti guarda. Il mascheramento è un elemento che appare più volte in queste opere introspettive.

Può apparire strano che una giovane donna si avventuri su un simile percorso, ma rielaborare quegli antichi segni mostra che l’artista intuisce che alla base di una vita serena sta la consapevolezza della fragilità umana.

 

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Annalisa mostra di conoscere queste parole, incise come epigrafe sulla tomba di Klee: “”Non posso essere capito appieno su questa terra. Abito bene con i morti come con i non nati. Sono in qualche modo più vicino al cuore della creazione. Eppure non abbastanza. Sono calore o gelo? Al di là di ogni fervore questo è inspiegabile. Quando mantengo la distanza sono il più devoto. Nell’al di qua talvolta sadicamente felice…”.

I lavori sono tutti su supporto cartaceo, ma laddove necessita dare corposità, precisare i contorni e definire i volumi, la grana scelta del foglio si fa spessa, rugosa quasi la pennellata si stendesse su una pelle. Sotto luce appropriata, ne risulta allo sguardo un piacevole effetto di diffuso, impercettibile chiaroscuro. Una delle tecniche preferite da Annalisa Marotta, imparata alla scuola del libro di Urbino, è quella dell’acquatinta, proprio  fra le più adatte a conferire all’opera l’effetto chiaroscurale voluto. 

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Melanos

L’aspetto introspettivo è costante nell’arco di tutta la produzione di Annalisa Marotta. Nell’opera sopra riprodotta, dal titolo Melanos, sembrano riecheggiare le parole di Victor Hugo: “la malinconia è la felicità d’essere tristi”, una tristezza dal sorriso mesto, senza strepiti, densa di riflessioni capaci di arricchire Sul nero color bile ecco emergere il colore, o meglio il formarsi del bianco in un movimento ascendete, lanuginoso, che sembra accarezzare lo sguardo, mentre al centro campeggia un labirintico affacciarsi di colori, un insieme di linee ricurve che attrae come un gorgo. Il motivo della spirale non è originale; nell’astrattismo cromatico di Hundertwasser esso ritorna insistito per rappresentare la ricerca di una impossibile continuità, nonché il desiderio di una esplorazione interiore. 

Dichiaratamente introspettiva, quasi una biografia nel suo formarsi, l’opera Resto nascosta, che vedete qui sotto, tra le più intense della sua produzione, fra le più vere. Siamo nel 2011.

In primo piano la linea è oramai spezzata. Il filo di Arianna non porta da nessuna parte e, prima di dissolversi, assume le sembianze di un filo spinato, che lascia una macchia rossa, sangue rappreso trasformato in un’orma. In alto, nella tripartizione della superficie pare emergere il ricordo di una vegetazione sbiadita e sotto una rete confusa di radici, quasi una radiografia del sottosuolo. Ciò che rende metafisico il lavoro è la figura posta al centro. All’inizio è un enigmatico oggetto scuro, sagomato, indecifrabile. Nelle sue macchie pare di poter indovinare i lineamenti di un viso, una maschera deformata dalla paura. Poi ti accorgi, sotto un insolito copricapo  tipo dark navy o yankee, che si tratta di un viso scorciato a metà, un occhio sgranato ti guarda, mentre l’altro è oscurato dalla lente degli occhiali sorretti dalle mani in primo piano. C’è tristezza, anzi saudade, ma anche spiazzante autoironia in questo quadro.

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Resto nascosta

 

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Guintry

Appena l’anno prima, nel 2010, la malinconia scava nel profondo, perde le residue luci e ogni vitalità. Ora le distese sono monocrome, piatte, il gesto è ridotto all’essenziale, il labirinto della mente non ha inizio né fine, l’esistenza sembra appesa ad uno dei suoi capi avvolta in un daimon che non si può più ostacolare,ma solo seguire, senza più capire o domandare. Guilty, uno dei più pessimistici quadri fatti da Annalisa è un omaggio bizzarro e amaramente triste alla moda dell’800 del self portrait. Ma questa volta da dietro il cavalletto, per ritrarsi ancora nascosta, scorciata, intenta a cancellare più che ad aggiungere tratti in un opera che non riconosce. Il titolo è più che allusivo: una colpa misteriosa, ma incombente, deve essere cancellata, ma l’arte ha questo potere? No!, ma può filtrare l’esperienza e farla diventare maschera, dietro la quale nascondere se stessa, apparire per non esserci, falsificare e confondere chi guarda.

 

Nei lavori di Annalisa Marotta periodicamente affiorano “suggestioni fantasiose”, come lei li chiama, ispirate da temi su architettura, musica e danza.Nelle sue ultime opere l’acquerello ha preso il sopravvento sulle altre tecniche, perché permette l‘immediata resa espressiva di trasparenze e forme, riducendo il gesto pittorico al minimo indispensabile, secondo quanto esortava Mies van der Rohe: Less is more.

Chi la fa l’aspetti

La serie dei portali, di cui sotto vedete due esempi, è esemplare per equilibrio dei volumi e raffinatezza tonale. Sono lavori, grazie anche alle piccole dimensioni, che hanno la freschezza di bozzetti preparatori di opere più impegnative. Con essi Annalisa Marotta sembra in grado di recuperare appieno la felice ispirazione e il tratto leggero già appartenuto al Klee migliore. Dopo il mascheramento, il gioco, il fantasioso e libero sovrapporsi di macchie e trasparenze, per suggerire architetture solide e precarie ad un tempo, sospese eppure corpose, attraversate da ombre incombenti che portano a altre scale o interni indefiniti.

 

Portale 1

Portale 1

Portale 2

L’ispirazione kleemtiana nei lavori di Annalisa Marotta è disseminata sapientemente qua e là, come nel sottostante Senza titolo, per commentare il quale ben si attaglia quanto scritto da Wedderkop sempre a proposito dell’opera di Klee: “Tanto più quest’arte è lontana dall’usuale, quanto più è vitale nel proprio mondo. Qui forme e colori si scompongono ininterrottamente a vicenda. Le immagini divengono tanto più vitali quanto più le usuali leggi dell’inerzia sono sospese. E tuttavia tutto si adatta. In realtà, non vi è un singolo punto che riposi in questi quadri, ma vi è invece un eterno andare e venire dei colori e delle forme. Klee ama la linea infinita, la sua continuazione eterna, il suo attorcigliamento, la sua ramificazione ed infine il suo ritorno, per chiudere il cerchio e tener a distanza ogni rapporto con i vivi.”

 

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Senza titolo

Nella serie Castelli, è più l’astrattismo di Hundertwasser a entrare in gioco. La tavolozza, pur conservando preziose sfumature e delicatezze ignote al pittore e architetto austriaco, si arricchisce di colori, con felice libertà espressiva. Siamo di fronte ad un gioco, ad uno sguardo finalmente ludico e sereno sul mondo, ma, com’è nel temperamento artistico di Annalisa Marotta, senza lasciare cadere misura ed equilibrio. Alla spirale, alla linea curva spezzata o interrotta da cromatismi diversi, ora si sostituiscono campiture di colori accostati come in una variopinta scacchiera, in bilico fra illustrazione favolistica e pedine di un puzzle didattico. Ancora una volta dobbiamo rifarci a Klee e rubare le parole ad uno dei primi critici dell’artista tedesco, Leopold Zahn: ” La saggezza mistica guida l’artista all’astrazione. La fantasia infantile compone, in una lingua astratta, affascinanti e mai udite favole, ancor più fantastiche perché trascendenti, di ogni sherazad orientale. Questo libro del cosmo illustrato potrebbe essere anche chiamato un libro mistico di favole.“

 

 

 

 

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Castello rosa

 

Castello blu

Castello blu

 

Ogni tanto l’artista si lascia andare a rivisitazioni in chiave visionario-nostalgico di alcuni angoli della sua città. Ancora una volta un pretesto per stendere le arcate di un ponte del tempo che fu sulla memoria di un inquieto verde-blu di inesistenti fiumi; sommergere di fulgore la facciata della vecchia chiesa di San Rocco, scomposta in una miriade iridescente di tasselli che si rincorrono sotto il sole; oppure cogliere, inondata da un sole perlaceo, la Piazza Grande, con la verticale della torre dell’orologio e, sullo sfondo, il simbolo della Serenissima repubblica, il leone alato. Lavoro questo fra i più naturalistici, privo di ogni dimensione sociale, essendo ancora tutto un gioco di memoria, un rievocare senza tempo che, evitando i rischi del soliloquio, riesce a dare un senso allo scorrere del tempo e all’evanescenza delle cose.

 

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Ponte di sale

 

 

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Chiesa di San Rocco

 

 

Piazza Grande

 

Grande freschezza e vitalità, uniti ad un dinamismo sconosciuto nelle precedenti opere, caratterizzano i lavori che concludono questa presentazione. Si tratta di soggetti attorno al tema della danza, una passione giovanile di Annalisa Marotta. In quanto alla musica pare quasi di sentirla, in particolare nelle due prime Danze Macabre, che rimandano, presumo, a Saint-Saëns. Ma non si vedono morti che risuscitano o sudari volteggianti. Anzi, all’opposto, tutto è brillante, deflagrante, ondeggiante, mosso da un ritmo che appare essere più quello di un sabba di streghe sotto l’occhio della luna piena. La resa è molto sapientemente costruita, le linee ricercate, l’equilibrio fra eleganza formale e dinamismo è molto raro e difficile da realizzare, eppure in questa serie di opere ad Annalisa Marotta il gioco riesce. Sicché si perde quel calligrafismo che a volte si intravvede pedante, facendo apparire fredde decalcomanie decorative alcuni dei suoi lavori.

L’invenzione di più fulminante sintesi di un’idea di movimento e musica (forse qualche lontana reminiscenza degasiana è stata utile) è lo strepitoso monocromo Étoile ( il proscenio rosso serve solo per allontanate la figura, senza farne parte). Opera molto recente, mostra la oramai consolidata capacità di Annalisa Marotta di lavorare con esisti assai convincenti con il minimo dei mezzi, una parsimonia che nulla toglie alla potenza dell’immagine, anzi la isola in una sintesi simbolicamente definitiva.   

 

Danza macabra 1

Danza macabra 1

Danza macabra 2

Danza macabra 2

 

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Dance 1

Dance 2

Dance 2

 

Etoile

Étoile

 

 

 

 

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