VIA AURELIA

VIA AURELIA

AGOSTO, RIVIVE LA VOGLIA DI LIBERTA’ E AVVENTURA- VIA AURELIA, LA FUGA VERSO IL MARE NEL SORPASSO DI PIETRO GERMI, FILM CHE ISPIRO’ EASY-RIDER- RIPERCORRERLA OGGI E NON RICONOSCERLA PIU’- MA FORSE SIAMO CAMBIATI SOLO NOI.

JEAN-LOUIS TRINTIGNANT – VITTORIO GASSMAN IN UNA SCENA DE IL SORPASSO DI PIETRO GERMI

La via Aurelia è un invito all’evasione. Chiunque ne percorra anche solo un tratto resta inebriato dallo scivoloso richiamo allo svago, al viaggiare, ai miraggi della villeggiatura. Quando ad agosto Roma è un deserto, aumenta il rischio di cedere alla seduzione dell’Aurelia: non è sempre possibile reprimere il desiderio di mettersi sulle tracce del film Il sorpasso di Dino Risi, e di indirizzare l’auto verso nord.

Il film del 1962 – prodotto da Mario Cecchi Gori e sceneggiato da Dino Risi, Ettore Scola, Ruggero Maccari – resta il migliore elogio di sempre della fuga estiva e del mettersi al volante senza una meta precisa tra gli infiniti pini italiani. Divenne subito una pellicola di culto, anche all’estero, tanto che ispirò in parte Easy rider di Dennis Hopper, del 1969. Vittorio Gassman ricevette due premi come miglior attore protagonista, il Nastro d’argento e il David di Donatello.

Fuga da Roma

Protagonisti del film sono Bruno Cortona (Vittorio Gassman) e Roberto Mariani (Jean-Louis Trintignant). La mattina di ferragosto Gassman gira per Roma con la spider alla ricerca di un telefono. Incontrerà per caso il giovane studente rimasto in città per preparare un esame e lo convincerà a partire con lui. Nelle prime scene del film Gassman trova tutti chiusi i bar del quartiere Balduina, sarà Trintignant a farlo salire a casa per fare la telefonata.

Il giorno di Ferragosto, Roma è totalmente sgombra, per Gassman è un ‘cimitero’

Oggi quel bar tavola calda di piazza Morosini è aperto. “Era questo il bar del Sospasso?”. “Sì, questa è la saracinesca che si abbassa quando Gassman cerca un telefono”, conferma l’uomo al bancone. Fuori, tra l’edicola e le bancarelle di vestitini a sei euro, il caldo già forte assilla la mattina, trafitta dai lavori in corso dei marciapiedi. Nell’altro angolo esatto della piazza, è semiaperto anche “Specialità alimentari”. Un fotogramma del film in bianco e nero è incorniciato tra gli scaffali e il commento è lo stesso ricevuto nell’altro esercizio di fronte: “La scena è stata girata qui”. “Qua fuori?”. “Sì. Mi dispiace che vedete il negozio così. Ma oggi chiudiamo”.

Il giorno di Ferragosto, Roma è totalmente sgombra, per Gassman è un “cimitero”. Attraversa piazza di Spagna senza nessuno in giro, a piazza del Popolo non è parcheggiata neanche un’automobile, incrociano solo un uomo che porta a spasso i cani. La città sembra abbandonata, si aggirano pochi spettri. Il viaggio narrato nel Sorpasso è proprio il percorso che porta da quel cimitero metaforico urbano fino alla morte reale di Trintignant sulla scogliera a picco, centinaia di chilometri a nord, in Toscana, dove dovrebbe palpitare la massima vitalità.

Ci vuole molta insistenza perché Gassman strappi Jean-Louis Trintignant dai suoi libri universitari e lo convinca, all’inizio, solo a pranzare in una trattoria vicino san Pietro. “Il padrone è dei nostri, si mangia bene”, garantisce. È l’attuale ristorante Cuccurucù a via Capoprati 10. Per i due avventori l’accoglienza non è delle migliori.

“Ma che fate avete chiuso?”, chiede Gassman alla proprietaria che si affaccia alla porta. “Pure noi c’abbiamo diritto a fa vacanza un giorno, che ve credete?”, risponde lei. E Gassman, irritato: “Ma quale diritto!”. Lei lo liquida, rientrando: “Il diritto de li mortacci tua”.

L’atmosfera, lì, oggi è decisamente più raffinata: una splendente erbetta sintetica conduce nella sala interna, vasta e illuminata dal sole che si riflette sul Tevere e si riversa dolcemente tra i tavoli, già apparecchiati per il pranzo. Sull’acqua qualcuno fa canottaggio. Ai tempi, avvertiva Gassman, il ristorante era “un po’ caro ma si mangia veramente bene”. Nel menu odierno gli gnocchetti alle vongole costano diciassette euro, ma si può ordinare anche “Bruschetta con burrata, pomodori confit e alici del cantabrico” a otto euro, o “Fettuccine al burro di Normandia e parmigiano 60 mesi” per quattordici euro.

La strada verso il mare

La prima sosta del road-movie è in un’area di servizio Agip, appena imboccata l’Aurelia per uscire da Roma. “Due Cynar, grazie”, chiediamo, per fedeltà alla sceneggiatura.

“Cynar? Che cos’è?”.

Trovata chiusa la trattoria Gassman, convince ancora il giovane studente esitante a proseguire lungo l’Aurelia. Deve quindi “abbeverare i cavalli” della celebre Lancia Aurelia B24 decappottabile (che quest’anno compie sessant’anni). Riempito il serbatoio, entra nel bar e cerca di comprare sigarette a un distributore automatico. Trintignant rimane chiuso in bagno; timido e impacciato, non osa chiedere aiuto quando resta con la maniglia rotta in mano.

L’area di sosta è facilmente rintracciabile ancora oggi, è all’altezza di via della Stazione Aurelia. È gestita in parte da McDonald’s – “Veniteci a trovare siamo aperti tutta la notte” – e in parte da Eni. Impossibile però mandare giù i “due Cynar lisci” che ordiniamo, la ragazza alla cassa non conosce l’amaro. In più, la porta del bagno dove Trintignant resta prigioniero non ha maniglie. La colonna sonora non è Quando, quando, quando di Tony Renis, la radio diffonde All about that bass di Meghan Trainor.

All’epoca il distributore automatico di sigarette era ancora una tecnologia d’avanguardia e Gassman l’ha soprannominato “la fregatrice”, dato che non gli restituisce i soldi inseriti. Al suo posto, due luminosi pannelli touch attendono i clienti del McDonald’s nel fresco dell’aria condizionata. Con un solo tocco e carta di credito si può ordinare un McLobster: il nuovo panino con l’astice canadese.


L’Italia che incontrano sulla strada Gassman e Trintignant, suonando il clacson tutto il tempo, è lanciata verso il successo. Le “belle famiglie” strette sui sidecar sfrecciavano verso il sogno del benessere, sfilando tra cartelloni pubblicitari Motta e quelli delle pompe di benzina.

I due ascoltano Vecchio frac, superano le Fiat 600, zigzagano, mostrano le corna, insultano tutti, inseguono le “tedeschine” per corteggiarle, e soprattutto si attaccano al clacson (si può ancora acquistare la trombetta online per quaranta euro). Uno spavaldo e l’altro esitante, uno sbruffone e cialtrone e l’altro riflessivo e prudente, i due si completano e incarnano insieme il mito della spinta economica che promette di rendere presto il paese un paradiso di spensieratezza. Tale era l’autostima dell’Italia nei primi anni sessanta che quelle auto sembrano correre più degli attuali suv metallizzati che puntano verso il mare con le mountain bike al seguito.

La ghiacciaia sul mare

Dopo chilometri di erba scottata dal sole ai lati della strada, cartellonistica abusiva e monovolume targate Svizzera, finalmente soffia dai finestrini l’odore resinoso dei pini, rimasti gli stessi capolavori di allora. Di colpo il mare brilla azzurro sulla sinistra, e a rigarlo si affrettano motoscafi e pedalò in rotta verso il largo. L’Aurelia spacca in due Santa Marinella e procede per chilometri, con palme da una parte e oleandri dall’altra.

Annunciata dal forte odore di salsedine e dagli ipermercati, un’altra tappa obbligatoria, per chi volesse ripercorrere i luoghi del Sorpasso, è Civitavecchia. La sosta serve a mangiare la zuppa di pesce nel porto, a via Calata della Rocca. È rimasta però solo l’insegna del ristorante dove i due si fanno notare per l’intemperanza.

“È questo il ristorante dove è stato girato il film?”.

“Sì, ma ora è chiuso, ci sono i lavori”, rispondono due operai seduti sulla soglia, in riposo.

In attesa che riapra quello storico, si può mangiare la zuppa di pesce nel ristorante a pochi metri di distanza, La ghiacciaia, alto sul mare. Nella zona all’aperto, rinfrescata dal vento salato, alla parete accolgono i clienti alcune mandibole di squali sfoggiate come cimeli di cacce leggendarie. Il nome del ristorante riprende l’attività del nonno dell’attuale gestore: “Vendeva il ghiaccio. I pescatori andavano a vela, non come oggi, avevano bisogno di portarsi blocchi di ghiaccio”.

Avanzano alla ricerca dell’immagine di un’infanzia estiva abbellita dal tempo trascorso

Oltre la merlatura delle antiche mura – dove due gabbiani si pavoneggiano della loro stazza – mastodontiche navi turistiche chiudono il paesaggio. Il colore di gamberoni e cozze è talmente vivido che i vicini di posto si alzano e ci chiedono se possono scattare una foto.

“Ecco i documenti, la fattura con cui nel 1931 mio nonno aveva aperto la fabbrica del ghiaccio. Io ora ho riaperto l’attività e tra poco rivenderò ghiaccio. Sono stato pescatore, ho avuto un negozio di pesca, e ho insegnato a pescare agli altri. La ristorazione va bene, ma voglio affiancare anche l’attività con cui ha cominciato mio nonno. Sono stato fortunato a nascere qui”.

Il viaggio di Gassman e Trintignant è pieno di piccoli ostacoli dosati da una sceneggiatura esemplare. Fanno i conti con i passanti che chiedono un passaggio, con i loro scheletri seppelliti nel passato, e avanzano tra ricordi insabbiati, la casa in campagna dei parenti di Trintignant, la visita all’ex moglie di Gassman e alla figlia (Catherine Spaak), alla ricerca dell’immagine di un’infanzia estiva abbellita dal tempo trascorso e di un presente idilliaco e amaro degli anni del boom economico.

La spiaggia del sogno italiano

Da Civitavecchia a Castiglioncello, dove sono diretti i protagonisti del film, sono circa due ore e mezzo di strada. Gli oleandri che rigurgitano dai lati della strada, rossi o bianchi, invadono le carreggiate. La meta è uno dei luoghi di maggior peso della pellicola. Sulla spiaggia dell’attuale stabilimento Ausonia si addormentano Gassman e Trintignant e si risvegliano la mattina sulle sedie a sdraio.


Su quella spiaggia si ballava, si prendeva il sole, Catherine Spaak in bikini saliva a bordo di un motoscafo e si immergeva nelle acque del mare. Si svolgeva qui la famosa partita a ping-pong. Era tutto girato all’ombra del ristorante La lucciola, a sud di Livorno. È già metà pomeriggio inoltrato a Castiglioncello e il caldo è ancora minaccioso. Il tempo di ordinare da bere e troviamo qualcuno che ci racconta lo spirito del luogo.

“Sono cambiate tante cose. Ma le comparse continuano a venire. Vedete? Qui è dove era la spiaggia. Poi, nel 1965 è stata costruita la prima barriera di scogli in mare che ha mangiato la spiaggia. La sabbia si è spostata altrove”.

Scalza, in bikini, con gli occhi che le si riempiono di orgoglio mentre racconta il suo regno, Ilaria Piancastelli è qui dal 1979. I genitori hanno parte della società del bagno Ausonia.

“È qui che Gassman telefona. Qui invece c’era un piazzale dove si ballava. Si mangiava il gelato dalle coppe di vetro lavorate, con gli ombrellini, ve le ricordate?”. Mi ricordo la coppa Denmark. “Ora siamo alla quarta generazione. Questi bagni ci sono dal 1897”.

“Qui è sempre stato frequentato da attori?”.

“Prima venivano i pittori, il primo nucleo dei macchiaioli è nato qui. C’era una nobiltà decadente. Il primo albergo era quello: il Miramare, fondato nel 1907. Attorno al Miramare è nato il primo nucleo turistico”.

Effettivamente, passava le vacanze a Castiglioncello già Luigi Pirandello. Il 4 agosto 1932 scrive una lettera all’attrice Marta Abba: “Qua il posto è veramente delizioso: un paradiso. Un silenzio! Una quiete! Bellezze naturali incantevoli; molto superiori a quelle di Viareggio e di Camaiore e di Lecco; Ti dico, un vero paradiso. Io sto tutto il giorno a lavorare, al cospetto del mare. La sera vedo qualcuno, D’Amico, il pittore Corcos, il pittore Bartoletti e Pasquarosa sua moglie, Pavolini e qualche altro. Domani arriverà Bontempelli”. Marta Abba trascorreva l’estate vicino a Viareggio, a Lido di Camaiore.

Negli anni sessanta venivano in vacanza alcune famiglie storiche, tra cui i Monti; arrivavano Alberto Sordi e Gassman. Non lontano dalla spiaggia, nel circolo del tennis il Fazzoletto, si può vedere un affresco di Enzo Trapani. Si organizzavano anche tornei di tennis con Lea Pericoli e Nicola Pietrangeli.

Tutto intorno alla piccola baia di cemento con lettini e ombrelloni l’acqua è trasparente

“L’acqua qui è bellissima da sempre. Ci sono i ricci, non resisterebbero se fosse inquinata. Alcuni miei clienti al largo hanno trovato cavallucci marini”.

“Perché girarono Il sorpasso qui?”.

“C’era Suso Cecchi D’Amico, fu lei a convincerli”.

Ci porta dalla bagnina storica. Facciamo slalom tra una elegante clientela in costume da bagno, bambini abbrustoliti dal sole che si tuffano in mare.

Eccoci da Edda Lami, 86 anni, bagnina poliglotta, tuttora in occhiali da sole. È la “memoria storica” della spiaggia. Una volta chiuse a chiave involontariamente Alberto Sordi dentro la direzione. Invece di cambiarsi il costume nella cabine, per risparmiare, lui se lo cambiava negli uffici.

“Io _Il s__orpasso_ l’ho visto girare. Non era Gassman a fare la verticale sulla spiaggia, ma Giorgio Lami, la controfigura, mio cugino”.

“Com’era qui ai tempi?”.

“C’erano persone danarose, famiglie che avevano le case e stavano tre mesi al mare. Erano eleganti, facoltosi. Gassman veniva perché la sorella andava dai Fiorentini. Ho conosciuto Anna Ferrero e le mogli di Gassman, Nora Ricci, Shelley Winters, tranne l’ultima, perché qui non l’ha mai portata”.

Ci aggiriamo ancora un po’ su e giù lungo la caletta che ha mantenuto integro il fascino. Passano le generazioni e il sogno di estati interminabili rimane invariato. Il sole è ancora alto, nei cartelli è indicato il noleggio di gommoni e di sup.

Il destino tragico dell’Aurelia

Nello stesso anno in cui viene girato Il sorpasso, nel 1962, esce il romanzo di Giorgio Bassani Il giardino dei Finzi-Contini. La via Aurelia è ancora fonte di ispirazione. Nella prima pagina del libro si legge: “In un gruppo di amici, distribuiti su due automobili, ci eravamo avviati lungo l’Aurelia subito dopo pranzo, senza una meta precisa”. Questa volta il viaggio prosegue finché non spunta sulla sinistra un castello “a qualche chilometro da Santa Marinella”. Scendono tutti dalle auto, vengono investiti dal vento, la sabbia entra negli occhi. Il fragore della risacca è assordante. Risalgono in auto per tornare a Roma e invece alla fine svoltano al bivio per Cerveteri.

Per Gassman, Roma è un cimitero. Bassani invece scrive: “Tutto quel tratto del territorio del Lazio a nord di Roma, il quale non è altro, dunque che un immenso, quasi ininterrotto cimitero”. Si riferisce alle necropoli etrusche. La visita delle tombe è l’impulso per scrivere la storia dei Finzi-Contini. Al ritorno verso Roma “l’Aurelia cominciò a ingolfarsi di macchine provenienti da Ladispoli e da Fregene” ed ecco che la strada si fa Musa: “Io riandavo con la memoria agli anni della mia prima giovinezza, e a Ferrara, e al cimitero ebraico posto in fondo a via Montebello”. L’Aurelia non è solo sinonimo di evasione e villeggiatura, è anche legata a un destino tragico. La gita sull’Aurelia spinge Bassani a ripensare alla famiglia deportata in Germania, a farlo interrogare sulla sepoltura dei Finzi-Contini.

Il finale del Sospasso è drammatico e altrettanto noto. Lasciata Castiglioncello per cercare il luogo dell’incidente si riprende ancora l’Aurelia, sempre verso nord, fino a Calafuria. Dopo tanto suonare il clacson, la spider sbanda per troppa avventatezza. Appena annunciato di aver trascorso “i due giorni più belli della mia vita”, il giovane biondino Trintignant muore. Gassman lo ha svezzato, cresciuto, corrotto, e ucciso. Il film è una storia di formazione che dura meno di quarantotto ore. Un’educazione sentimentale fulminante. Un’iniziazione che finisce in disgrazia.

Quando precipita con l’auto, Gassman si salva e ammette agli agenti di polizia di non conoscere neanche il cognome della persona che ha avuto accanto da Roma fino all’alta Toscana. Non è facile ritrovare l’esatto luogo dove è stato girato l’incidente. Il paesaggio è aspro. La strada corre alta sulla scogliera che scende rapidamente verso le onde che la battono. Sulla sinistra una fila di auto parcheggiate si snoda lungo il guard rail. Si prepara il tramonto.

È quasi sera. Qualche corpo prende ancora il sole italiano sui massi spruzzati dagli schizzi. Il cielo si rabbuia. Ogni Ferragosto l’Italia rivive il suo spericolato desiderio di avventure e di libertà.

Articolo di Francesco Longo per Internazionale (qui)

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