BELLA LA TERRA, SCOMPARSO L’UOMO ?

BELLA LA TERRA, SCOMPARSO L’UOMO ?

Come potrebbe tornare a essere bella, scomparso l’uomo, la terra.

I vantaggi della globalizzazione, il poter avere qualunque cosa a qualunque ora, il periodo di tranquillità che stiamo vive

DI ANDREA CARPI
I vantaggi della globalizzazione, il poter avere qualunque cosa a qualunque ora, il periodo di tranquillità che stiamo vivendo nel nostro paese in questi anni comporta un prezzo: un prezzo che spesso viene addebitato a nazioni in via di sviluppo dove portiamo la guerra per fare gli interessi delle multinazionali, dove scarichiamo i nostri rifiuti dimenticandoci che la terra è la nostra casa ed è una sola. Se continueremo a non essere responsabili del nostro pianeta, inquinando e sprecando, presto dovremo fronteggiare problemi ben più grandi del rincaro del prezzo della benzina o della vittoria del campionato da parte della nostra squadra calcistica.

 

Immagini da 

Ecco perché bisogna avere rispetto per l’ambiente e per gli altri esseri viventi. Condividi queste immagini

DI PANECIRCO.COM

20 milioni, le persone che si sono mobilitate il 22 aprile del 1970; 30 anni dopo quel numero è salito a 200 milioni di cittadini sulla Terra. Qual’è stata la causa che ha accomunato tutte queste persone?

Non uccidete il mare,

la libellula, il vento.

Non soffocate il lamento

(il canto!) del lamantino.

Il galagone, il pino:

anche di questo è fatto

l’uomo. E chi per profitto vile

fulmina un pesce, un fiume,

non fatelo cavaliere

del lavoro. L’amore

finisce dove finisce l’erba

e l’acqua muore. Dove

sparendo la foresta

e l’aria verde, chi resta

sospira nel sempre più vasto

paese guasto: Come

potrebbe tornare a essere bella,

scomparso l’uomo, la terra.

(1972, dalla raccolta Res Amissa)

UNA LETTERA COSI’

UNA LETTERA COSI’

 

Chi ha scritto questa lettera d’amore? Ma soprattutto: qualcuno l’ha letta?
E’ lì che aspetta in cima a una montagna dove non vedi nessuno a perdita d’occhio. Ma non sai se l’autore l’abbia lasciata sperando che alla fine qualcuno arrivasse. O se lui l’abbia smarrita, l’abbia abbandonata avendo perso ormai la speranza. Chissà.
Magari è stata proprio lei a lasciarla perché andasse persa. E addio.

Santo Stefano di Sessanio

Non sai nemmeno tu come ci sei arrivato lassù in cima. Hai lasciato L’Aquila e hai preso a salire senza una direzione; che fosse la strada a portarti tra crinali, improvvisi pianori, case isolate e alberi fioriti. Poi dopo l’ultima curva ecco i vicoli di pietra di Santo Stefano di Sessanio. All’improvviso quel miraggio: un pinnacolo di roccia e in cima un castello. Così perfetto da sognare, che ti pareva impossibile esistesse davvero e ci si potesse arrivare.

Invece eccoti qui, alla Rocca di Calascio. La strada che finisce, il sentiero di pietra che sale in mezzo ai ciliegi, alle case che qualcuno deve pure aver costruito. Non c’è anima viva, non un rumore, una voce. Nient’altro di umano. Ma continui a salire, non potresti fare diversamente anche se non sai perché. Non hai la minima idea di quello che ti aspetta.

Alla fine ecco… la rocca, il prato, la chiesa di Santa Maria della Pietà. Ti chiedi se li abbiano costruiti davvero per presidiare qualcosa, per celebrare una fede. O proprio per quello che provi tu: meraviglia. Davanti a te la vetta del Gran Sasso e poi crinali che si distendono verso l’orizzonte. Ti chiedi cosa puoi fare in mezzo a tutto questo, ma alla fine non riesci a fare altro che guardare. Esserci e basta.

Santo Stefano di Sessanio

Poi noti qualcosa: un pezzo di carta appoggiato sullo stipite della finestra della chiesa. Qualcuno ci ha messo sopra un sasso, il primo che gli è capitato tra le mani, giusto perché non volasse via. Non è un semplice foglio. E’ una lettera. E non puoi fare a meno di leggerla, forse per via di quella calligrafia sghemba, contratta. Sì, è una lettera d’amore. Senza nemmeno un nome, una firma. Come di chi scrive pensando che ci siano soltanto “io” e “tu”. Con la sicurezza che il messaggio se deve arrivare non si perderà… e altrimenti era destino.

Non si intuisce niente di loro due. Non l’età, nemmeno la provenienza. Nulla della loro storia: chi debba perdonare e chi essere perdonato. Forse manca un pezzo. Sai solo che chi scrive è un uomo… diresti un ragazzo. Devi affidarti soltanto alla calligrafia, non c’è altro appiglio.

Rocca di Calascio

La leggi e la rimetti a posto. In fondo tu non c’entri niente. E, però, la riprendi, la leggi ancora. Vorresti sapere chi l’ha scritta, se qualcuno l’ha letta. O forse… sì, ti viene il dubbio che in fondo fossi anche tu il destinatario, perché è troppo tempo che non scrivi una lettera così. Chissà dove sono finiti quei due, forse si sono ritrovati, forse no, mai però avrebbero pensato che un tizio arrivato per caso da mille chilometri di distanza avrebbe preso le loro parole e se la sarebbe portate via.

Ma a lasciare che si perdano così non ci riesci.

Santa Maria della Pietà

Anche se a volte non ci comprendiamo, la parte più bella di noi è ritrovarci dopo aver litigato.
Forse la parte più difficile dell’amore è proprio saper perdonare quando si è feriti nell’anima.
Saper andare oltre l’orgoglio, oltre il proprio dolore è ciò che permette e ci ha permesso di crescere da quando ti conosco. Quello che amo di te è il fatto di aver creduto in me, sempre, anche quando neanche io ci credevo. Quello che voglio dirti è che ti amo con tutto me stesso, ti considero parte di me nel modo più puro che esista. Ed è per questo che da quando ti conosco sono pronto per affrontare con te qualsiasi difficoltà, mano nella mano, come abbiamo sempre fatto.
Sono pronto per te ad andare oltre il mio orgoglio e le mie paure pur di starti vicino. Sono pronto a tenerti la mano per sempre e non lasciartela più. Per sempre.
Ti amo da morire.

Dal blog di Ferruccio Samsa sul Fatto Quotidiano (qui)

DATA ROOM:LEZIONE DI ECONOMIA CIRCOLARE

DATA ROOM:LEZIONE DI ECONOMIA CIRCOLARE

I DATI RACCOLTI DA MILENA PARLANO CHIARO: 9 MILIARDI FRA 30 ANNI SARANNO TROPPI, GIA’ ADESSO UN SOLO PIANETA NON CI BASTA- BISOGNA VIVERE E CRESCERE CON ALTRI MODELLI, PRODURRE E CONSUMARE CON I MODI ALTERNATIVI DELL’ECONOMIA CIRCOLARE.

 

 

gabanelli economia circolare 4

Ogni anno l’ economia mondiale consuma quasi 93 miliardi di tonnellate di materie prime tra minerali, combustibili fossili, metalli e biomassa. Di queste, solo il 9% sono riutilizzate. Il consumo di risorse è triplicato dal 1970 e potrebbe raddoppiare entro il 2050. Secondo il Global Footprint Network, per mantenere l’ attuale stile di produzione e di vita, un solo Pianeta non ci basta, ne servirebbe 1,7, ovvero un’ altra Terra.

Nel 2018, il giorno in cui abbiamo consumato tutte le risorse naturali che il Pianeta è in grado di rigenerare in un anno, è caduto il primo agosto: mai così presto. È come finire lo stipendio al 20 del mese, ma nessuno ti fa credito per gli altri 10 giorni. E i mutamenti climatici sono legati anche all’ utilizzo di materie prime.

raccolta differenziata

Un modo per fare la raccolta differenziata

Il 62% delle emissioni di gas serra (escluse quelle provocate dal consumo del suolo) avviene durante il processo di estrazione e lavorazione delle materie prime, mentre solo il 38% in fase di consegna o utilizzo dei prodotti.

Che succederà fra 30 anni, quando saremo 9 miliardi di persone e il riscaldamento globale più su di un altro grado e mezzo? Onu, Ocse e governi sono d’ accordo: l’ unica alternativa per salvare il pianeta è l’ economia circolare. A Davos, a gennaio, ne è stato stimato il valore potenziale: 3.000 miliardi di dollari nel mondo; 88 miliardi solo in Italia, con un bacino di 575 mila occupati, secondo l’ ultimo bilancio del Conai, il consorzio nazionale degli imballaggi.

gabanelli economia circolare 5

Vuol dire che si può crescere cambiando modello di sviluppo. L’ economia circolare in concreto «chiude il cerchio» del ciclo di vita dei prodotti, incrementando il loro riutilizzo, favorendo i risparmi energetici, e diminuendo gli sprechi in ogni settore.

DIFFERENZIATA CON CHIP

Qualche esempio: oggi in Europa un’ auto rimane parcheggiata in media per il 92% della sua «esistenza»; il 31% del cibo viene sprecato lungo la catena del valore, gli uffici in una giornata sono mediamente utilizzati per il 35%-40%, mentre la durata dei manufatti delle nostre industrie non supera i 9 anni.

Uno dei più autorevoli studi del settore, il rapporto «Growth Within» stilato da McKinsey e Fondazione MacArthur, ha calcolato quanto costa al Vecchio Continente la somma di questi sprechi: 7,2 trilioni di euro. Quanto potenziale ci sia nell’ economia circolare lo dimostra il mondo sempre più numeroso delle startup e delle aziende che innovano sui prodotti esistenti e sulla loro modalità di produzione.

arte del ricicloSolo rimanendo in Italia, c’ è per esempio il filo in nylon riciclato prodotto da Aquafil e usato anche da Adidas per i suoi costumi. Le traverse ferroviarie realizzate con pneumatici dismessi e plastica da rifiuto urbano di GreenRail. Il lanificio Bellucci di Prato utilizza lana 100% rigenerata, e proprio a Prato, dove si lavorano stoffe da oltre mille anni, già nel secolo scorso era stato lanciato il primo (e inconsapevole) modello di produzione sostenibile con la lana rigenerata: materia prima che scarseggiava e che quindi veniva «stracciata» per poi essere recuperata nella produzione di nuovi abiti.

L’ azienda bergamasca Grifal produce il cartone ondulato, totalmente riciclabile e così resistente da poter sostituire il polistirolo o altri materiali chimici da imballaggio. Lo scorso giugno l’ azienda si è quotata all’ Aim, e dopo un solo mese il valore delle sue azioni ha registrato un più 160%. C’ è la Novamont, l’ azienda italiana che ha creato la plastica biodegradabile, utilizzata sia per le buste della spesa che in agricoltura: i teli per la pacciamatura si «compostano» nel terreno senza lasciare residui nocivi.

gli asini che fanno la differenziata a riace

Riace, un asino adibito alla raccolta differenziata

Contro l’ obsolescenza programmata, un’ azienda olandese ha progettato lo smartphone Fairphone, costruito per essere riparato: è modulare e ogni pezzo può essere sostituito facilmente. Costa 399 euro e le materie prime non provengono da zone di conflitto. È chiaro che per invertire direzione, l’ industria globale dovrebbe riconvertirsi. Ma quanto costa? Gli studi non lo dicono. Alcuni Stati hanno provato a calcolarlo: il Regno Unito stima un costo pari al 3% del suo Pil.

gabanelli economia circolare 7Eppure i cittadini apprezzano e sostengono le produzioni sostenibili. Secondo l’ analisi realizzata da PwC con Centromarca e Ibc, nel 2019 i consumatori di tutto il mondo cercheranno sempre più alternative salutari e naturali e i valori etici influenzeranno le decisioni d’ acquisto. I numeri: il 37% del campione vuole prodotti con packaging eco-friendly, il 41% dichiara di evitare il più possibile l’ uso di contenitori di plastica, più di due terzi dei consumatori è disponibile a pagare un prezzo più alto per prodotti a km zero; il 42% pagherebbe di più per prodotti ecosostenibili; il 44% è attento all’ origine e vuole sapere se il bene è stato prodotto eticamente.

l'arte del riciclo 11E allora perché, oggi, solo il 9% della produzione è «circolare?» Cosa resta, a conti fatti, degli studi e delle proiezioni economiche? Ci sono le certificazioni e i premi per i prodotti più «virtuosi» come quella Cradle to Cradle , «dalla culla alla culla» per prodotti progettati in alternativa al modello «dalla culla alla tomba», che identifica prodotti ad alto spreco e zero riutilizzo. C’ è una direttiva europea, la 2014/95/UE, in Italia recepita a fine 2016, che ha introdotto per gli enti di interesse pubblico (società quotate, banche, assicurazioni e altri intermediari finanziari) con più di 500 dipendenti l’ obbligo di rendere note le loro politiche di sostenibilità ambientale, sociale, catena di fornitura, gestione delle diversità e dei rischi. Il tutto secondo il principio del Comply or explain : chi non fa nulla deve spiegare il perché. Esistono poi dei programmi come il CE100 della Ellen MacArthur Foundation, che riuniscono le aziende più impegnate sul fronte degli obiettivi ambientali e le promuovono. Ma alla fine una normativa di sistema non c’ è, e la maggior parte dei prodotti sono progettati per durare il meno possibile.

Nel campo delle energie rinnovabili il motore trainante è l’ Europa, la nostra Enel è leader nel mondo, e nel mercato sono entrati i pannelli riutilizzabili, ma oggi pesano solo per un quinto della produzione globale di energia. Un esempio su tutti racconta come continua a girare il mondo: l’ Arabia Saudita aveva annunciato il più grande impianto di energia solare del pianeta. L’ obiettivo del programma da 109 miliardi di dollari era quello di generare – da solare – un terzo del fabbisogno energetico del Paese entro il 2032. Erano sei anni fa, nulla è stato fatto.

gabanelli economia circolare 6Perché? Quando nel 2016 il barile era sceso a 27 dollari, per il regno saudita la transizione alle rinnovabili sembrava ormai imprescindibile, ma appena il prezzo del petrolio è salito, l’ urgenza è svanita. L’ unica vera pressione, oggi, arriva dalla consapevolezza degli adolescenti di tutto il mondo, che chiedono di avere un futuro abitabile… mentre i loro padri glielo stanno cucinando a fuoco lento.

Milena Gabanelli e Francesca Gambarini per il “Corriere della Sera – Dataroom”

 

ILUSTRE DESCONCIDO

ILUSTRE DESCONCIDO


IL NIETZSCHE COLOMBIANO: ll popolo non elegge chi lo cura, ma chi lo droga.
Civiltà è ciò che è miracolosamente scampato allo zelo dei governanti.
La società del futuro: una schiavitù senza padroni.
Da sempre, in politica, patrocinare la causa del povero è stato il mezzo più sicuro per arricchirsi.

Nicolàs Gomez Dàvila

Egli stesso scrive, con meravigliosa sintesi: “ tra poche parole è difficile nascondersi come fra pochi alberi”.

Forse per questo ha scritto Escolios, migliaia di epigrammi sugli argomenti più disparati; oppure da lì nasce la mania di seppellirsi letteralmente nella sua smisurata biblioteca di oltre 30 mila volumi; oppure ancora di annegare la sua parola in una strepitosa babele di lingue, che maneggiava disinvoltamente: oltre allo spagnolo e al latino e greco, il portoghese, l’italiano, l’inglese, il francese, il tedesco, il russo, e da ultimo anche il danese, per leggere Kierkegaard in originale. Parlo di Nicolàs Gòmez Dàvila, (Colacho in famiglia) filosofo colombiano, (meglio sarebbe dire che è stato un europeo cattolico che scriveva dal Sudamerica), di cui La Nave di Teseo pubblica in questi giorni De Iure, uscito per la prima volta nel 1988 sulla rivista dell’università Nostra signora del Rosario in Bogotà. Un testo in cui la critica alla modernità è feroce e, particolarmente attuale, quella alla democrazia. In Italia i suoi scritti sono apparsi solo dall’inizio di questo secolo (scovati dal solito Adelphi), grazie a Franco Volpi, filosofo vicentino morto giovane, giusto 10 anni fa.

Scriveva Volpi: “Ci sono scrittori che spuntano inattesi, senza essere annunciati da nulla e da nessuno. Solitari che sopraggiungono all’improvviso, intempestivi e irregolari, e per questo inconfondibili e inimitabili. Per ciò che scrive e per come scrive, il colombiano Gómez Dávila appartiene di diritto al loro novero.”

Circa lo stile nitido, conciso, sul modo aforistico di scrivere di Dàvila, Volpi annota: “ aveva la maledetta ambizione di mettere sempre un libro intero in una pagina, una pagina intera in una frase e una frase in una parola”. De buon aforisma diceva: “deve avere la durezza della pietra e il tremolio delle foglie”.

Ricco, eccentrico, con un talento innato di difficile classificazione, ma questo è un problema nostro di esegeti, non suo come uomo di pensiero. E che pensiero: francamente reazionario, ma acuto come una lama. E’ Dàvila stesso a definirsi “Católico, reaccionario y retardatario”.

La vita appartata e silenziosa che Dàvila condusse finì per risucchiare nell’ombra anche la sua opera, che solo di recente è entrata nei circuiti letterari. D’altronde, non che gli interessasse molto che la sua opera fosse diffusa.

Leggiamo questi 3 aforismi per averne la prova lampante:

 “Vivere con lucidità una vita semplice, silenziosa, discreta, tra libri intelligenti, amando poche persone”

“Ammettere di buon grado che le nostre idee non hanno motivo di interessare chicchessia è il primo passo verso la saggezza.”

“Avere ragione è una ragione in più per non avere alcun successo”

La sua è la visione di un appartato aristocratico che disprezza la sua epoca, in cui sono i peggiori ad avere il potere, ammantati di populismo e demagogia.  

De iure è stato concepito dall’autore nel 1970, negli anni della guerriglia delle FARC in Columbia, anni in cui la autorità cercarono invano di trascinarlo nell’impegno politico.

Nel libro, il primo della nuova collana Krisis della Nave di Teseo, affidata al filosofo Massimo Cacciari e al giurista Natalino Irti, Dàvila affronta i concetti di diritto, la nozione di giustizia, le figure dello Stato.

Alcuni hanno rimproverato a Dàvila le tinte fosche e i toni catastrofisti, accusandolo di idiosincrasia antimoderna, che determinerebbe così la sua reazione verso il mondo passato della tradizione, segnatamente quella cattolica. Reazionario contro la democrazia, cattolico contro il relativismo della verità.

Un cattolicesimo radicale, tradizionale, addirittura preconciliare, secondo il quale, come pure egli ha scritto “argomentare e dedurre, quando si tratta di Dio, costituisce errore, se non addirittura peccato”.

Opportunamente, e sempre Volpi a farlo notare, i sui scritti principali e gli aforismi, in particolare, non vanno interpretati come punti isolati di un mosaico, ma giudicati solo nel loro insieme.

Le tesi di Dàvila sono discutibili, a volte paradossali, quasi provocatorie, ma toccano i nervi scoperti, le fondamenta stesse della nostra concezione sociale e delle sue regole, come la seguente: “ Con il vocabolo “democrazia” designiamo meno un fatto politico che una perversione metafisica. Essenzialmente la democrazia è relativismo assiologico.

Una riflessione potente, incastonata in una lingua limpida e raffinata. Questo testo affronta i temi che da sempre attraggono e tormentano i giuristi. Come rappresentare e spiegare il concetto di diritto, la nozione della giustizia e l’istituzione dello Stato? Lo sguardo critico e lucido di Nicolás Gómez Dávila conduce il lettore all’interno di un percorso storico e speculativo, fino a tracciare una nuova mappa del giuridico, quanto mai ricca di fascino.
“Diritto, Giustizia e Stato vengono ridefiniti da questo poderoso ed eclettico pensatore del Novecento, che non ne perde mai di vista il collegamento con l’etica, la politica, la tradizione, la storia, i giuristi.”
Luigi Garofalo

Oppure: “Le decisioni dispotiche dello Stato moderno le prende infine un burocrate anonimo, subalterno, pusillanime, e probabilmente cornuto.”

O ancora: “ La democrazia ignora la differenza tra verità ed errori; distingue solo tra opinioni popolari ed opinioni impopolari.”

Scomodo, dunque, ma col quale vanno fatti i conti, più che mai oggi in cui, nel grandioso edificio innalzato in due millenni da Cristianesimo e Occidente, appaiono sinistre crepe, senza che da esse traspaia, come cantava Leonard Cohen, un raggio di luce….

Per chi volesse approfondire il pensiero di Nicolàs Gomez Dàvila, consiglio la tesi di laurea di Gabriele Zuppa:

http://eprints-phd.biblio.unitn.it/1142/1/La_teoresi_in_Nicol%C3%A1s_G%C3%B3mez_D%C3%A1vila._Prolegomeni_allo_studio_di_un_classico.pdf
25 SUICIDI ESEMPLARI

25 SUICIDI ESEMPLARI

25 SUICIDI ESEMPLARI NEL LIBRO DI ANTONIO CASTRONUOVO: CULMINANTE RIBELLIONE AL DESTINO O ATTO DI DEBOLEZZA ?- CONSIDERATO UN DELITTO, PUR SENZA ESSERLO, PREZZOLINI LO ESALTAVA DEFINENDOLO COME L’ASSOLUTA LIBERTA’ CHE NULLA LASCIA DI IRRISOLTO. 

 

 

Attilio Formiggini

Ci sono molti motivi per uccidersi, e molti modi e naturalmente molte età: il suicidio attrae i giovani come i vecchi, ma non disdegna gli uomini o le donne nell’età della maturità, trent’anni, quaranta, cinquanta…

Pierre Drieu La Rochelle

Nel suo Suicidi d’autore (Stampa alternativa, pagg. 190, euro 14), riedizione ampliata di un libro uscito una quindicina d’anni fa, Antonio Castronuovo ne allinea venticinque «esemplari», nel senso di compiuti in quanto dietro di essi c’è un artista, un poeta, un grande pessimista… Nella loro storia vissuta all’insegna dell’arte, il suicidio è a volte suggello della loro esistenza, scrive l’autore nel dar conto della tragicità di Sylvia Plath, Antonia Pozzi, Sarah Kane, Irme Seidler, lì dove l’essere da subito ai ferri corti con la vita rende la morte di propria mano una liberazione. Oppure può essere un «culminante pensiero di ribellione», come nel volo dalla Torre della Garisenda di Attilio Formiggini (1878-1938), l’editore che aveva fatto del ridere il suo marchio di fabbrica e che si sfracellò al suolo per protesta contro le leggi razziali e contro un regime che infamandolo in realtà infamava se stesso.

benjamin

Walter Benjamin

Nella categoria del suicidio Castronuovo inserisce anche dei casi di autodistruzione programmata: Alfred Jarry (1873-1907) che annega la sua esistenza nell’assenzio, Raymond Roussel (1877-1933) che si consuma nella droga. Più pertinenti sono però i gesti di deliberata volontà di sottrarsi a ciò che la storia, ovvero il destino, potrebbe avere in serbo per chi li mette in atto. Nicolas de Condorcet (1743-1794), uno dei teorici e filosofi della Rivoluzione francese, si avvelena nel carcere dove il Terrore giacobino lo ha rinchiuso in attesa che la ghigliottina trovi la sua testa; Walter Benjamin (1892-1940) si avvelena nell’alberghetto spagnolo di Port Bou per evitare il campo di concentramento che probabilmente lo aspetta in Francia; Drieu La Rochelle (1893-1945) si avvelena fra le quattro mura della casa che lo ospita per sottrarsi a «un processo imbecille» e al giudizio dei vincitori…

castronuovo coverSecondo Castronuovo, «il suicidio è generalmente considerato l’esito di una sofferenza, di una incapacità, di una delusione: un atto debole e negativo». Non ha torto, ma vale la pena di vedere le cose anche da un altro punto di vista, sulla scorta delle riflessioni di Henry de Montherlant (1896-1972) anche lui facente parte della «pattuglia dei venticinque» selezionata in questo volumetto. Scriveva dunque Montherlant che «la prima ragione per amare il suicidio, è che è calunniato. Il suicidio condivide, con un certo numero di azioni proprie alle minoranze, il terribile onore d’essere considerato un delitto, pur senza esserlo».

E ancora: «Che il suicida sia o non sia uno sconfitto, ha poca importanza, se col suo suicidio ha testimoniato due cose: il suo coraggio e il suo dominio». Un’eco di queste considerazioni lo si avverte nell’apocalittico Ceronetti quando nel Silenzio del corpo osserva che «motivi ideali per uscire da questa morta vita sono un sollievo e un riparo, una specie di capitale in una banca sicura: si sa che basta uno scarabocchio per riaverli tutti in un colpo. Li vado, per ora, accumulando e ogni tanto passo allo sportello, che non è blindato». Un’eco di queste considerazioni lo si avverte nel laico e disincantato Prezzolini dei Diari: «Il suicidio è l’atto più puro del pensiero. È un assoluto che non lascia nulla da risolvere. È la più sicura affermazione di libertà».

Henrt de Montherlant

Montherlant si uccise che aveva superato i settant’anni. Stava diventando cieco, aveva un tumore, sapeva che da tempo ormai il corpo non rispondeva più ai comandi, temeva il buio, l’immobilità, il dipendere dagli altri. Aveva avuto una vita vissuta nel godimento dell’istante, mai obbligarsi a fare cose sgradite, non nutrire ambizioni: «Una dopo l’altra ho visto sparire le mie ragioni di agitarmi, sommerse, ciascuna a suo turno, dalla marea montante dell’indifferenza. La religione, poi il fascino delle anime, poi la fraternità (che ho avvertito solo durante la guerra), poi la curiosità e il gusto che avevo di me stesso. È rimasta soltanto la volontà di costruire un’opera letteraria».

Era una maschera, Montherlant, costruita ad arte per meglio imprigionare i volti che non dovevano apparire. La maschera del seduttore impenitente, dietro cui c’era un pedofilo inguaribile; la maschera dell’eroe di guerra, dietro cui c’era stata la spasmodica ricerca della ferita da esibire; la maschera del coraggio, dietro cui si nascondeva l’uso accorto del rischio e delle vie di fuga… Eppure era anche la maschera che più gli assomigliava, il modello ideale a cui attenersi, un’idea di grandezza a cui aspirare. Come osserverà Cioran: «Suicidio di Montherlant. Si è riscattato ai miei occhi. Fine di ogni atteggiamento, di ogni posa. O piuttosto: atteggiamento supremo, posa suprema». E aveva ragione Paul Morand: «Non era fatto per vivere un’epoca vile. Era fatto per un’epoca di tornei e non di rapine. Muore all’inizio dell’autunno, come un eroe solare».

junger

Ernst Jünger

Si uccise, Montherlant, ingerendo del cianuro e poi sparandosi un colpo di rivoltella nel suo appartamento parigino il 21 settembre 1972, ultimo giorno d’estate, scelta non casuale. Via via che l’età avanzava, aveva lavorato nel segno della perfezione: voleva che di sé sopravvivesse il solo campo dello stile che aveva arato e dissodato. Quando un quarantenne Bruce Chatwin andò a intervistare l’ottantenne Ernst Jünger questi, annoiato dalla sua invadenza, gli mostrò una lettera di Montherlant che citava una frase di Tolstoj: «Fare visita a un grande scrittore non ha senso, perché egli si incarna nella sua opera». Sempre un po’ petulante, Chatwin allora spostò il suo interesse su quest’ultimo e così Jünger per tutta riposta tirò fuori una xerocopia piena di macchie sulla quale era scritto a penna: «Il suicidio fa parte del capitale dell’umanità». La citazione era di Jünger, la scrittura di Montherlant. Le macchie erano fotocopie del sangue di quest’ultimo. Serviva altro?

Articolo di Stenio Solinas per il Giornale

 

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