FONTANA ALLA GALLERIA BORGHESE

FONTANA ALLA GALLERIA BORGHESE

galleria borghese lucio fontana

Andare alla Galleria Borghese un sabato mattina di maggio, quando la Roma storica ti circuisce con una stramba primavera che si fa desiderare come diva capricciosa. Tornare, per l’ennesima e mai identica volta, nella più totale delle opere totali, una (ex) dimora privata che dal 1902 è installazione di pubblico respiro, anatomia muscolare che si esprime su pavimenti, pareti, soffitti, porte e mobilio, praticamente un’opera unica senza zone indecise, senza bianco legittimo. E poi, dulcis non certo in fundo, vagare davanti ad una quadreria spaventosamente qualitativa, parente legittima del complesso scultoreo che carezza la pelle del Paradiso quando a parlare sono Bernini e Canova, i divini chirurghi plastici del marmo bianco, i maestosi artefici del battito cardiaco dentro la pietra scolpita.

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Entrare alla Galleria Borghese con mia moglie Elena, zigzagando tipo doppia elica del DNA, io e lei come flussi andamentali di quattro occhi che montano la propria sequenza ideale, scelgono dettagli, aggregano emozioni. Avvicinarsi a distanza di close-up e captare il sostenibile fascino del frammento: il piede berniniano che calza un sandalo già moderno, le pieghe gommose del materassino sotto le natiche della Paolina, le foglie attorno alla Dafne berniniana, gli spunti da fantascienza di due piccoli Canaletto, il quid anatomico di un ermafrodito dormiente… dettagli su dettagli che ti attendono, silenti e borgesiani (da Borges scrittore e non Borghese), per essere captati da occhi investigativi tra il Simenon urbano e il Proust olfattivo, allarme e vigilanza permettendo.

Vagare, come mercurio sul vetro, tra i due piani di un percorso museale perfetto, un rapimento dei sensi che definisce le atmosfere di questo teatro olistico delle arti antiche. L’architettura che si fa scultura, la pittura che si fa scultura del paesaggio, la scultura che si fa carne viva… a dirigere l’orchestra, senza bacchetta ma con spiccata empatia, c’è Anna Coliva dei miracoli professionali, madame strategica e amorevole che ha portato sentori di perfezione in uno dei patrimoni del Pianeta.

Scovare, tra le quadrerie esistenti, gli inserti temporanei di un Lucio Fontana nelle tinte dell’oro. Ci sono tagli e buchi del maestro italoargentino (1899-1968) che nel Dopoguerra capì la cosa più importante di tutte, ovvero, la quarta dimensione del quadro: quella oltre la tela, oltre la superficie delle apparenze, dimensione simbolica in cui il cosmo apriva l’occhio alle risposte senza domande, ai misteri oltre le risposte, alla trascendenza dentro ogni domanda.

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Cresce da tempo la combinazione tra edifici antichi e arte contemporanea, un modello curatoriale portato avanti da musei come Castello di Rivoli o Palazzo delle Papesse, nonché dal sottoscritto nel Piano Nobile di Palazzo Collicola Arti Visive, il museo spoletino (che ho diretto dal 2009 al 2019) in cui ho collegato le sale aristocratiche alle spirito installativo del presente. Qui alla Galleria Borghese il caro Fontana non è il primo e non sarà certo l’ultimo incontro tra gli esiti di un passato megalitico e l’eccellenza di un Novecento d’avanguardia. Signore e Signori, a Voi cinque tagli, taglio singolo, tagli e buchi, tagli su telaio tondo, buchi come voragini, tagli su formati tipici e atipici, tipologie variabili con le gamme d’oro come corollario metaforico dell’ultraterreno.  

Oro: la lega più amata dalle aristocrazie e dai potenti, il colore tematico del Barocco, la cromia degli arredi sacri, tinta che connette le figurazioni secolari all’intuizione milanese di Fontana. Oro oltre l’ora: perché nulla varca il tempo e lo spazio come la lega delle leghe, l’unica che in lingua inglese (gold) contiene la parola Dio (God). Oro e Galleria Borghese: un matrimonio finché apocalisse non li separi, racconto dei racconti che ci fa giocare con il tempo mentre inventiamo i nostri spazi dentro la geometria euclidea del luogo.

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Assieme ai quadri in oro anche diversi crocifissi in ceramica, pensati come solo Fontana e Leoncillo sapevano fare negli anni Cinquanta e Sessanta. Il tema iconico produce drammaturgia espressiva: Cristo si fonde con la croce, la materia unisce corpo e simbolo, un flusso atomico che somiglia ai video di Chris Cunningham (realizzati per Aphex Twin) in cui si deformano i corpi sotto l’effetto di velocità lisergiche. Fontana ha oltrepassato le barriere della figurazione, sfibrando la forma d’origine, superando le soglie della percezione. Oro e ceramica si baciano alla Galleria Borghese: per un breve periodo assumono la natura policroma del posto, disponendosi con mimesi e generosità, in modo elegante e sinuoso, senza innervosire uomini e dei che qui vivono con fissa dimora.   

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Scipione Borghese, se avesse posseduto una macchina del tempo, si sarebbe innamorato del contrappunto pittorico in esclusivo oro. Mi immagino una scena del genere: il Cardinale che subito storce la bocca, indeciso se far internare l’artista o studiarlo come fenomeno alieno; poi Fontana che spiega l’andamento delle arti nell’Ottocento, l’arrivo dei futuristi e di Duchamp ad inizio Novecento, l’invenzione di Metafisica e Surrealismo, la diffusione delle astrazioni e della cultura informale, per arrivare agli esiti di un quadro tagliato, in proiezione verso luoghi utopici che si connettono ai culti esoterici tanto amati dalle aristocrazie.

Quadri che non raccontano generi, che non ritraggono nobili o figure sacre, che alle nature morte preferiscono le nature del mondo interiore. Opere di metafisica vertigine e universale energia alchemica, quasi a ricongiungersi con l’uovo di Piero della Francesca, con le aureole minimaliste di Caravaggio, coi pavimenti geometrici del Perugino, con le architetture alchemiche di Raffaello…

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Seguire Scipione mentre si lascia convincere da Fontana ad allestire diversi concetti spaziali nella sua villa delle meraviglie. Uscire dalla Galleria Borghese assieme ai due, camminando dietro di loro, spiando le loro (im)possibili elucubrazioni… seguirli fino alla Casa del Cinema, ascoltando Fontana che parla prima di fotografie e poi di film su pellicola, al punto da far tremare il passo del Cardinale, ormai sgomento davanti alla previsione di un futuro già nostro. Voglio immaginare Scipione rapito dal progresso, talmente ubriaco di novità da chiamare a corte Federico Fellini, Michelangelo Antonioni, Ettore Scola, Mario Monicelli, Luigi Comencini, Dino Risi, Marco Ferreri…  

Tornare verso casa, io ed Elena, uguali a prima ma un pochino diversi, appena migliori di qualche ora fa. Perché la Bellezza è semplicemente così: non te ne accorgi ma ti lavora dall’interno, circola tra sensi ed emozioni, rilasciando frammenti di luce e scie di colore. Scusate ma ora devo proprio andare, vedo che Elena sta parlando con Fontana e non voglio perdermi cosa ci dirà su Scipione Borghese…

Articolo di Gianluca Marziani per Dagospia

Per informazioni, notizie biografiche su Lucio Fontana, per vedere le sue opere (https://www.fondazioneluciofontana.it/index.php)

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