LAVORO VS ASSISTENZA

LAVORO VS ASSISTENZA

Il reddito di cittadinanza cambia, le sue storture restano.“Ambiguo e impraticabile. Oltre al sussidio, poco o niente”. La sociologa del lavoro Chiara Saraceno analizza la bozza fatta circolare dal governo

Il reddito di cittadinanza cambia, le sue storture restano

Foto Imagoeconomica

Centro per impiego a Palermo

Alla fine, l’unica cosa certa rimarrà l’erogazione del sussidio. “Il che non è di per sé un male, io ho non ho nulla contro l’assistenza ai più deboli. Il problema, però, è che se oltre al versamento mensile non c’è nulla, dall’assistenza si passa all’assistenzialismo, e questo non va più bene”. Sociologa del lavoro, studiosa ormai da mezzo secolo dei problemi connessi alla povertà, Chiara Saraceno mostra una certa delusione, nel leggere la bozza del decreto sul reddito di cittadinanza che in settimana, stando ai proclami di Luigi Di Maio, dovrebbe essere approvato dal consiglio dei ministri. E pure l’ironia che mostra si corrompe subito in amarezza: “Gli unici che avranno davvero la certezza di trovare un posto di lavoro sicuro, grazie a questo ambiguo provvedimento, saranno i quattromila navigator, queste strane figure professionali per le quali si è adottato un nome che solo un pazzo o un ignorante poteva scegliere”.

A suggerirlo al leader del M5s è stato in effetti dal prof. Mimmo Parisi, che non è né pazzo né ignorante ma ha importato questa e altre novità dal Mississippi, e che anche così si è guadagnato la presidenza dell’Anpal, l’agenzia nazionale per le politiche attive. “Ma si può sapere quali competenze devono avere, questi navigator?”. Andrà stabilito, visto che nella bozza non c’è alcuna indicazione, al riguardo. E poi andranno ripartite le risorse tra le varie regioni, ché da loro dipendono i centri per l’impiego. “E poi si dovrà preparare un bando, e attendere i tempi tecnici, e svolgere un concorso, e formalizzare le assunzioni”. Sempre che nel frattempo venga definita la deroga per le regioni; sempre che poi i centri per l’impiego trovino spazio fisico e dotazioni per questo nuovo esercito di navigator. “Un iter lungo e complicatissimo”.

Ma ad aprile, costi quel che costi, si deve partire. “E’ evidente che l’unica cosa tangibile sarà il sussidio”. E il resto? “Il resto, da quello che si legge, è un percorso farraginoso e iperburocraticizzato. Impraticabile. Il rischio è quello di nutrire l’ennesima illusione, e tutto ciò perché si è scelto di tenere insieme due problemi che andavano invece affrontati in modo distinto”. Si è scelto, cioè, di promuovere da un lato un “Patto per il lavoro”, per i soggetti per i quali è ipotizzabile un reinserimento nel mondo del lavoro, e dall’altro un “Patto per l’inclusione sociale”, per tutte quelle persone che non sono occupabili e hanno invece bisogno di una assistenza più specifica: “Ma le politiche attive e il contrasto alla povertà – spiega la Saraceno – non sono la stessa cosa. Si è scritta una bozza che investe entrambi i fronti, e che è su entrambi alquanto velleitaria”. Di idee nuove, di progetti innovativi, la Saraceno non ne rintraccia, tra le righe del decreto. Il patto per l’inclusione sociale, ad esempio, non è altro che la prosecuzione del ReI sotto altra “denominazione”, come esplicitamente si ammette al comma 13 dell’articolo 4. “Si allarga la platea dei beneficiari, ma non si aumentano le risorse agli enti locali: ben venga l’aiuto ai disagiati, ma non c’è alcuna misura per affrancare queste persone dal loro disagio”.

E le politiche attive? “Ai beneficiari vengono richiesti degli oneri puramente formali, come quello di sostenere ‘colloqui psicoattitudinali’, corsi di ‘auto-imprenditorialità’, o come quello di ‘consultare quotidianamente l’apposita piattaforma digitale’ per la ricerca del lavoro”. Fuffa? “Fuffa, certo. Non mi pare si trovi così, un lavoro. E del resto, se mai funzionerà, questo reddito, funzionerà non certo per ‘gli ultimi’, di cui pure tanto si riempiono la bocca nel governo, ma soltanto per quelli con un piede già dentro il mercato del lavoro”. E non a caso i centri per l’impiego sono obbligati, si legge, a trattare con priorità i casi di persone disoccupate “da non più di due anni”, di “età inferiore a 26 anni”, di essere beneficiari già inseriti in percorsi di ammortizzazione sociale o di reinserimento nel mercato del lavoro. “E anche gli sgravi alle imprese che assumono sono più consistenti per coloro che sono immediatamente occupabili”, osserva la Saraceno. Quanto alle offerte di lavoro, “ci sarebbe da indignarsi per il fatto che impongono formalmente una mobilità su tutto il territorio nazionale, loro che hanno urlato contro le presunte ‘deportazioni’ della Buona Scuola, che pure riguardavano persone a cui si garantiva un posto fisso e duraturo”. Se non fosse che l’obbligo di spostarsi – alla terza ipotetica offerta di lavoro, dopo oltre 18 mesi di sussidio – si può aggirare facilmente, specie per chi ha in famiglia un minore o un disabile, e cioè per oltre il 60 per cento dei beneficiari. “E se non fosse, soprattutto, che di offerta di lavoro ce n’è pochissima, specie in alcune zone del paese, e questo provvedimento non fa nulla per rilanciarla”.

Articolo a cura di di Valerio Valentini per il Foglio.it

 

RIPRENDERSI LA VITA

RIPRENDERSI LA VITA

RIPRENDERSI LA PROPRIA VITA DA VECCHI, APPLICANDO IL TEOREMA SCALFARI: FOTTENDOSENE. RECENSIONE SENZA INIBIZIONI DI VITTORIO FELTRI AL LIBRO DI ANTONIO POLITO PROVE TECNICHE DI RESURREZIONE.  

Tutto si può dire di Antonio Polito, uno dei migliori giornalisti su piazza, vicedirettore del Corriere della Sera, ma non che abbia l’ attitudine ad emozionare il prossimo.

La sua prosa è leggera, razionale, nessun ricciolo sentimentale. Non usa i colpi bassi della malinconia. Eppure è riuscito a commuovere il sottoscritto per l’ ingenuità con cui ha affrontato un’ impresa disperata. Con anima candida, affiorata in lui come il burro dopo essere stata centrifugata dalla vita, si è cimentato in un esercizio da pazzi e senza rete: esaltare la vecchiaia.

Essa gli è tutta davanti, è una parete in cui non ha ancora piantato un chiodo. Ma quale un Cristoforo Colombo che non ha sciolto le vele della Santa Maria, cerca di mostrare a se stesso, ai coetanei, e al mondo intero, che le Indie dei tesori infiniti sono appena oltre l’ orizzonte, così Polito fa con la canizie, sostenendo che è il massimo, ed è una divinità barbuta che versa cornucopie di bellezza, grazie e ricchezze non solo sui vecchi, anche sui giovani dai quali perciò si aspetta onori, gratitudine e forse pure baci da seriche ragazze in fiore. Figuriamoci.

polito cover

Vorrei dirgli: giovane, che ne sai? Tu hai 63 anni, ti tieni in forma facendo ginnastica che non so per quale motivo adesso si chiama Pilates, sei un principiante della senilità, essendo giunto appena nel suo vestibolo, ti stai sistemando le mutande senza pannolone nello spogliatoio, però non hai cominciato a giocare, e già discetti del modo di vincere una partita impossibile. Ho detto della commozione.

Perché? Perché Polito ha ragione: non serve aver ragione contro la protervia del destino. S’ intende: il libro (Prove tecniche di resurrezione. Come riprendersi la propria vita, Marsilio, pp.

polito155, ? 17) è bellissimo. Scritto da dio. Documentato. Ha persino perle di poesia e trasmette buon umore. Tuttavia ha un torto (o un merito?) inesorabile: è perfetta utopia. Polito si veste da Peter Pan e crea un’ isola che non c’ è.

Purtroppo, come dice una pellicola dei fratelli Coen: questo non è un mondo per vecchi.

NEO-REALISTICO Il racconto è da film neo-realistico. Un giorno, improvvisamente, quella faccia davanti allo specchio, non è più la tua. Era una vita che ci convivevi, bella o brutta, ti ci ritrovavi. Ma ecco sei un altro, inizia un altro te stesso, non solo una nuova età, ma sei tu ad essere una nuova, anzi vecchia bestia.

Come provare ad essere felici, o almeno a cavarsela, mentre le forze si smorzano, e intorno scorgi sguardi che suggeriscono: «fatti più in là, tocca a noi»? Le cose sono peggiorate ai nostri dì a causa del diffondersi del linguaggio eufemistico: per non dire che hai oltrepassato l’ invisibile soglia, e sei vecchio, anziano, hanno addirittura introdotto la formula «grande adulto», poveri noi, che falsità, che trucchi ridicoli.

A tale avvenimento piuttosto importante nella vita di ciascuno – dopo il quale ce n’ è solo uno piuttosto seccante, dotato di falce -, e a come viverlo bene, è dedicato questo saggio romanzesco, che merita di essere letto d’ un fiato e poi meditato, attingendone lo spirito battagliero e i consigli pratici. Dico ciò a prescindere dal fatto, già annunciato, che io non ci credo. Credo nei particolari raccontati da Polito, adoro i suoi consigli. Tuttavia la prospettiva finale, e cioè che la vecchiaia possa essere un Eden, sia pure moderato, senza guizzi a causa del mal di schiena, somiglia a quei proverbi consolatori, tipo «sfortunato al gioco, fortunato in amore», con cui il popolo sistema gli sfigati.

gennaro sangiuliano antonio polito vittorio feltri aldo cazzullo

GENNARO SANGIULIANO, ANTONIO POLITO, VITTORIO FELTRI, ALDO CAZZULLO

Certo, ci sono soddisfazioni ineguagliabili che ci si può prendere passata una certa età, ed è la possibilità di dire la verità, fottendosene. È quella che è stata chiamata la «mozione Scalfari». Il fondatore di Repubblica se ne uscì con codesta frase: «Se uno attraversa il decennio novanta-cento, e io sono a novantaquattro, allora quello è uno che… scusate… è uno che se ne fotte». Polito propone di non aspettare quell’ età, di cominciare subito a sessantacinque anni. Personalmente, l’ ho fatto. È la libertà che è il dono più prezioso che regalano gli dèi agli anni che passano. Si è prigionieri di un fisico ammosciato, ciononostante ci si è disfatti di altre catene: il conformismo, che non è affatto prerogativa della senescenza ma degli imberbi. Me ne rido della reazione scandalizzata dei giovani, o di quelli che si fingono tali per piacere, che pretenderebbero il servilismo dei vecchi alle idee correnti.

antonio politoESERCIZIO TERAPEUTICO In realtà questa è l’ epoca caratterizzata non dall’ islamofobia o dall’ omofobia, infatti musulmani e froci non sono mai stati così coccolati e vincenti, bensì dalla emarginazione e dalla crudeltà contro i vecchi. Per usare un termine coniato in rima con i precedenti siffatta attitudine persecutoria è definita «ageofobia», caratterizzata dall’ «ageismo». Sarebbe il razzismo contro chi è “in età”. Se non avete mai sentito questi termini sociologici, scovati da Polito, ciò dimostra che il risvolto aggressivo della società contemporanea contro la non più «venerata canizie» esiste eccome, al punto che in vigore c’ è il pregiudizio contrario, vale a dire il dominio della gerontocrazia. Vecchio è ormai un aggettivo spregiativo. Così si legge spesso «vecchio porco», invece giovane porco non esiste. Si guarda con un certo schifo un signore anziano che è rallegrato da una bella ragazza, o una donna matura che si accompagna a un giovanotto, quasi che le rughe siano viziose in sé. Si ritiene, non tanto sotterraneamente, che qualunque cosa faccia un anziano (lavorare, governare, amare, insomma vivere) sia un usurpare ciò che di diritto spetterebbe alla generazione successiva. E perché?

antonio polito vittorio feltri franca leosini

ANTONIO POLITO, VITTORIO FELTRI, FRANCA LEOSINI

Perché sì.

Per levare assurdi complessi di colpa a chi si sta avviando o ha scavalcato i sessantacinque anni di età (in Italia siamo tredici milioni e mezzo) la lettura di Polito è un esercizio terapeutico perfetto.

Fa crescere l’ autostima. Il problema è che Antonio, neofita della vecchiaia, mette l’ asticella troppo in alto. Parlando di felicità esagera. Cala Trinchetto. Del resto è egli stesso a citare Solone che dice al ricchissimo Creso: «Nessuno dei viventi è felice». Provarci va bene, contare di riuscirci è illusione. Quanto a tentare la resurrezione, il mio responso è che se ci si prova, a risorgere, ci si schianta. Prometeo è finito incatenato alla rupe con un’ aquila a mangiargli il fegato. I cristiani – al cui concetto di resurrezione Polito si riferisce – non pensano di farcela da soli, chiedono soccorso, però per ora non è risorto nessuno tranne il Numero 1. Tuttavia, se si esclude il traguardo inarrivabile, le pagine pullulano di consigli salutari, che mi sento anch’ io di sottoscrivere. Due tra i tanti.

Coltivare la pazienza e l’ umorismo. Vero è che a essere trattati come rottami, fa venire il nervoso. Si può resistere. Consoliamoci pensando che i giovani, i quali guardano male noi anziani, quasi fossimo scrocconi che gli occupano il posto auto, soffriranno quando noi avremo finito di patire. Così imparano.

Articolo di Vittorio Feltri per Libero Quotidiano

VOLTERRA CHIAMA ALEPPO

VOLTERRA CHIAMA ALEPPO

 

IL MEYER DI FIRENZE, LA FONDAZIONE GIOVANNI PAOLO II E L’ARCI TOSCANA INSIEME LA’ DOVE I BAMBINI MUOIONO O SOFFRONO, ANCHE GRAZIE ALLA SOLIDARIETA’ DEI CARCERATI DI VOLTERRA-UN PONTE IDEALE UNISCE VOLTERRA CON ALEPPO CONTRO L’INUTILITA’  DELLE GUERRE, PER LA CULTURA DELLA PACE    

 

I detenuti attori festeggiano i 30 anni della Compagnia della Fortezza

Una scena dello spettacolo Beatitudo nel carcere di Volterra (regia a drammaturgia di Armando Punzo)

Giampaolo Donzelli, autore dell’articolo e presidente della Fondazione Meyer

Forse i detenuti del carcere di Volterra quando hanno pensato di organizzare un pranzo di beneficenza in favore dei bimbi mutilati di Aleppo, in cuor loro devono averli sentiti singolarmente vicini. Forse hanno intravisto, leggendo le notizie di quella guerra lontana, il segno embrionale e confuso di un comune destino: quello di vivere entrambi prigionieri di barriere insuperabili. A Volterra la mura del carcere, ad Aleppo le orrende menomazioni della guerra, che sprofondano nella terra quello che resta di quei corpi mutilati. Segni e memorie di un unico sottosuolo dell’anima, nella quale, secondo Fedor Dostoevskij, non penetra nessuna luce e che non riusciamo a capire, prima ancora che governare. Ma questi uomini che fanno gli “onori di casa” in questa fortezza un po’ tetra tutto sono fuorché inattivi o rassegnati. Sembrano avere fatto pace con se stessi e con la società, di cui si sentono, nonostante tutto, parte ancora attiva. Il valore rieducativo della pena con loro sembra una realtà e non una utopia. Come forse i lettori sanno, già nel 2017 la Fondazione Meyer ha avviato un importante intervento umanitario ad Aleppo, assicurando assistenza medica e cure. Quest’anno, grazie alla collaborazione con la Fondazione Giovanni Paolo II e Arci Toscana il progetto si consolida, intensificando l’aiuto per quei bambini che, a causa del conflitto e, in particolare, delle mine disseminate per colpire indistintamente militari e popolazione civile, hanno perso l’uso di gambe o braccia. Ventiquattro mila bambini in sei anni di guerra hanno perso la vita, le liste dei mutilati si allungano ogni giorno. In questi giorni di Festa che si vorrebbero sereni il pensiero corre verso chi già non aveva niente e oggi non ha nemmeno la vita. Vedetevi allora il video che trovate in fondo all’articolo. Il cuore si scioglie. Come a Volterra un’altra fortezza ha resistito alla distruzione: è la antica cittadella fortificata. Per il resto Aleppo è solo polvere e pietre, cumuli di macerie avvolte da un innaturale silenzio. Eppure, una madre che ha visto il figlio morire per mano di un cecchino, trova parole di dolorosa serenità: “se ci fosse stata pace nell’animo delle persone questa guerra non sarebbe mai scoppiata” Questa madre non vuole finire nel sottosuolo, vuole ostinatamente coltivare ancora la speranza. Così come è incredibilmente forte e ammirevole una giovane, sepolta una sera al rientro dal lavoro sotto le macerie di casa: “sono piena di sogni e mi aspetto molto dalla vita”. Sembrerebbe un errore di traduzione, se ci si limitasse a guardare il suo viso devastato, i denti persi, le cicatrici che rendono il suo sorriso penoso. Ecco un’altra che non vuole finire nel sottosuolo, nell’accidia e nella commiserazione. Forse non ha letto Dostoevskij, ma ne sa per esperienza più dello scrittore russo: la sofferenza è sempre irrazionale, è sempre meglio vagheggiare la felicità, anche se appare irraggiungibile. Sentire queste storie, vedere quei volti continuare a sorridere in mezzo alle macerie e alla morte, dà la misura della grandezza dell’animo umano, e della sua vocazione indomabile per la felicità e la bellezza. Non è un caso che i frati francescani, che sono voluti rimanere ad Aleppo, soccorrono i corpi ma non dimenticano di allietare l’anima con spettacoli, arte e cultura, un po’ come fanno i detenuti di Volterra con la loro Compagnia della Fortezza.    

Articolo di Gianpaolo Donzelli, La Repubblica Firenze

 

SALVINI, IL TIFOSO SULLA STRADA DI GANDI

SALVINI, IL TIFOSO SULLA STRADA DI GANDI

 

 

 LA SVOLTA GANDIANA DI SALVINI CHE SCOPRE IL DIALOGO– QUANTE STORIE PER QUALCHE BUU ALLO STADIO, UN NEGHER RIMANE UN NEGHER, MA E’ UN PO’ COME LA MAMMA.

Dalla tolleranza zero al dialogo

Ai tempi della scuola non esisteva frase più ricorrente. Era una sorta di mantra che accompagnava le tue giornate. Dall’autobus in cui viaggiavi stipato come sardine prima di essere vomitato fuori come un missile sputato dalla rampa di lancio. All’attesa della campanella fuori scuola, quando arrivavi prima. Il nostro “e spegni quella sigaretta” era “nun mettere ‘e mamme mmiezo”. Alla cosiddetta ricreazione, o comunque a un incontro nei corridoio o nei bagni. Succedeva che talvolta il suggerimento non veniva recepito e allora erano mani che partivano, braccia che si aggrovigliavano, volti che si arrossavano. Insomma le mazzate. Perché ‘a mamma è semp’a mamma. Come ha ricordato il ministro dell’Interno Matteo Salvini in una lettera alla Gazzetta dello Sport. Lettera che va immediatamente consegnata al Moma, o a un qualsiasi Guggenheim. Ma guai a sottovalutarne gli effetti.

Oggi – ma questo è un inciso – l’adolescente di casa mi informa che le nonne sono più utilizzate delle mamme nelle schermaglie verbali. Non lo diciamo troppo in giro sennò schiere di sociologi vorranno spiegarci il perché.

Torniamo a Salvini e alla mamma. Se digitate su google Salvini e tolleranza zero vi esce di tutto. Tolleranza zero contro gli spacciatori. Tolleranza per chi minaccia Ilaria Cucchi. Tolleranza zero per chi ha colpe: sì, proprio così, per chi ha colpe. Tolleranza zero per le discoteche. Tolleranza zero per i carabinieri aggrediti. Tolleranza zero per gli sgomberi. Tolleranza zero per le scuole sicure. Tolleranza zero contro i nomadi. E così via, divertitevi da soli.

A quest’elenco si è aggiunta un’altra voce: i violenti da stadio. “Tolleranza zero contro i delinquenti – così ha scritto alla Gazzetta – ma no a chiusure degli stadi né di settori, sono contrario al divieto delle trasferte. La responsabilità è sempre personale”. Che è un principio anche condivisibile, se solo si mettessero in piedi strumenti per individuare i responsabili.

E ancora: no a sospendere le partite per insulti razzisti. Perché intendiamo difendere i giocatori beccati per il colore della pelle, ma non quelli a cui si insultano le madri? Qual è il confine tra l’insulto razzista e l’insulto e basta?”. E addirittura lo sdoganamento del dialogo: «I problemi non si risolvono solo con la forza, quando è possibile. È meglio dialogare e inchiodare tutti alle proprie responsabilità». Una svolta gandhiana. Un giorno all’improvviso – per rimanere in clima stadio – Salvini scopre il dialogo.

Se tutti i razzisti votassero Salvini, avrebbe la maggioranza bulgara

Ci sono molte chiavi di lettura per interpretare Matteo Salvini. Ma non fermatevi a quella razzista. Che c’è, ovviamente. Salvini sta tutelando il suo bacino elettorale. Ma non solo. Va oltre, vuole ampliare quel bacino. Non solo tutela i cori razzisti, non solo vuole convocare i “tifosi” organizzati al Viminale. Mette la mamma al centro del villaggio. E ora la mamma sarebbe meno importante di un negro? La mamma è sempre la mamma, così come un negher è sempre un negher. Sono le basi. E in fondo quante storie per qualche buu. Salvini mostra di conoscere l’Italia e gli italiani che non sono soltanto quelli che votano per lui. Perché non è affatto vero che tutti i razzisti votino per Salvini. Altrimenti avrebbe una maggioranza bulgara.

Salvini è probabilmente il primo ministro dell’Interno che realmente conosce le dinamiche da stadio. Va detto. Ce ne siamo accorti con Luca Lucci, aggiungerete voi. Anche, ma non solo. È il primo ministro dell’Interno che parla degli stadi non per sentito dire. Le sue tesi sono sposate da tante persone che si definiscono di sinistra e che frequentano gli impianti di calcio. E che da sempre hanno considerato i buu e i cori di discriminazione territoriale alla stregua di cori da stadio. Ora dovrebbero fare un passo avanti, alzare la mano e dire: “sì, ha ragione Salvini, siamo con lui. Lo stadio è una zona franca e lasciatecelo frequentare in santa pace. Anche perché, a ben vedere, dando uno sguardo ai numeri, non accade quasi nulla. Non siamo mica l’Argentina, quello è un paese violento”.

C’è tanta Italia fuori dall’Europa calcistica

Non avranno il coraggio di dire “ha ragione Salvini” ma lo pensano e fino a ieri hanno dette le stesse cose. Hanno da sempre ironizzato sul modello Thatcher. Si sono dati di gomito ricordando quando accompagnavano i duelli Bagni-Junior con i loro buu-buu-buu (più cadenzati, modello scimmia). Salvini, in fondo, li ha smascherati. O, forse, ha offerto un loro un riferimento politico. Del resto se in Italia fosse esistita una reale indignazione sociale per il razzismo, non saremmo mica arrivati agli ululati di San Siro contro Koulibaly. Il fenomeno sarebbe stato arginato molto prima. Manca la comprensione culturale del fenomeno.

Come scritto l’altro giorno, dopo il comunicato della Uefa che ha condannato la mancata sospensione di Inter-Napoli, l’Italia si è messa fuori dall’Europa. Né il presidente della Figc Gravina né il rappresentante degli arbitri Nicchi hanno criticato la direzione di Mazzoleni. E oggi Salvini accorre in loro difesa: “Inter-Napoli non andava sospesa”. E sulla sua linea c’è anche Andrea Agnelli. Senza dimenticare che tutti, tutti i presidenti di Serie A votarono per l’annacquamento delle pene per la discriminazione territoriale. C’è tanta Italia che è fuori dall’Europa calcistica. Salvini, evidentemente, lo sa.

Salvini ha colto nel segno. Ha ricordato Berlusconi quando aprì al condono edilizio. I ma e i però nei salotti buoni della sinistra si sprecavano. “Faremmo finalmente la cameretta per Roberta”. E ora vogliamo paragonare la mamma a un negro?

Articolo di  Massimiliano Gallo per ilnapolista.it
DA JUNG AI TAROCCHI

DA JUNG AI TAROCCHI

PER ILLUMINARE L’INCERTO CAMMINO DEL 2019 LASCIAMO JUNG E I SUOI MANDALA E AFFIDIAMOCI AI TAROCCHI-  VISTA LA PENURIA DI GUIDE SPIRITUALI, FORSE LE 22 CARTE  DISVELANO ANCORA  LE MERAVIGLIE DEL  MONDO INVISIBILE, MENTRE A QUELLO VISIBILE RINUNCIAMO VOLENTIERI.  

 

«Secondo Carl Gustav Jung, per interpretare i simboli dei tarocchi occorre far riferimento al significato che l’ umanità ha attribuito loro nei secoli». Andrea Vitali, presidente dell’ associazione Le Tarot, medievalista, studia le discipline ermetiche e simboliche da quarant’ anni. Per lui i tarocchi sono amici fedeli e intimi a cui affidare pensieri e sentimenti. Loro rispondono.

«Sono dei buoni consiglieri», dice. E avverte: «Esprimono la loro opinione, ma spetta sempre all’ uomo la decisione finale». Nell’ immaginario collettivo, i tarocchi sono considerati uno strumento per predire il futuro, ma non è sempre stato così. Da dove si origina questo loro presunto e potentissimo potere? Come dobbiamo comportarci di fronte a queste carte dai tanti significati spesso ritenuti oscuri? Una stesa è sufficiente per comprendere il proprio destino?

tarocchi 8Ventuno carte più il matto (definito anche il folle, al quale vengono attribuiti vari significati tra cui istinto e insuccesso), questi sono i tarocchi. Messi lì, uno accanto all’ altro, danno vita agli arcani maggiori (o trionfi).

Hanno un ordine d’ apparizione e il primo della lista è il bagatto, o giocoliere. Non è lì per caso. «Rappresenta l’ uomo peccatore», dice Vitali. E proprio quell’ uomo sarebbe stato al centro di questo «gioco di carte e di memoria apparso nelle corti italiane nella prima metà del 1400.

I tarocchi racchiudevano le meraviglie del mondo visibile e invisibile e fornivano ai giocatori istruzioni di ordine fisico, morale e mistico per far comprendere le vie per avvicinarsi al divino», spiega Vitali, considerato per le sue scoperte iconografiche tra i maggiori esperti italiani. Con le sue vesti importanti, la papessa è la seconda carta degli arcani, seguita dall’ imperatore, l’ imperatrice e il papa.

«Formano la serie delle condizioni umane e rammentano la gerarchia alla quale è soggetto l’ uomo. Se l’ imperatore e l’ imperatrice rappresentano le guide temporali, la papessa e il papa rappresentano la fede e fungono da guide spirituali».

Con o senza corona, con o senza scettro, sono figure riconoscibili. «Le stesse riscontrabili negli affreschi delle cattedrali, dei palazzi pubblici e nei trattati enciclopedici e astrologici del tempo. Gli arcani parlano una lingua non fatta di parole, ma di immagini», dice Vitali.

Desiderio di amore e tentazione, la sesta carta è quella degli amanti, seguita dal carro che indica la brama di successo, un arcano da interpretare non sempre in senso negativo, poiché può simboleggiare anche la spinta motivazionale che porta gli uomini ad agire.

Se forza, giustizia e temperanza formano la serie delle virtù e ricordano i precetti etici più importanti, la ruota insegna che ogni successo è effimero e anche i potenti sono destinati a sottostare al tempo e a diventare polvere. Come l’ eremita, l’ uomo deve meditare sul valore reale dell’ esistenza. E può cadere in tentazione come l’ appeso. «È simbolo di tradimento – riprende Vitali – ma anche di sofferenza e di sacrifico, dato che si trova legato a testa in giù».

Stelle, luna e sole sono le forze celesti che assoggettano gli uomini chiamati al giudizio finale, rappresentato dall’ angelo, la ventesima carta. Ultimo degli arcani è il mondo, un simbolo tendenzialmente positivo che «può simboleggiare la conclusione di un progetto o di un’ azione».

Prima di essere stese e lette, le carte devono essere ben mischiate. Un passaggio importantissimo, è in questa fase che gli arcani ricevono l’ energia che arriva dal pensiero del consultante e se ne impregnano.

«In alcuni casi il simbolo è in grado di percepire il percorso di vita che, secondo la dottrina platonica, la nostra anima avrebbe scelto prima di entrare nel corpo, oppure secondo Jung ciò che il nostro inconscio ha già preparato per il futuro», dice Vitali. Un momento misterioso, in cui le carte entrano in collisione, si legano per dare forma a storie di vita crocevia di amori, fortune, malattie e dolore. Diavolo, temperanza e mondo: la domanda è stata formulata.

tarocchi 2L’ uomo con cui vivo ora mi vorrà sposare? Mio marito mi tradisce? Cambierò presto lavoro? Le prime tre carte sono sul tavolo. «Ogni arcano è stato informato nel tempo – dice Vitali : Significa che gli sono stati attribuiti dei significati. Tra il simbolo e il pensiero si è creata una intimissima connessione.

Prendiamo la carta del sole. È legata alla luce, al giorno e al calore. La morte invece al cambiamento. E l’ energia simbolica che ogni carta ha ricevuto nel tempo è magia. Ed è in questa funzione che ai tarocchi possiamo rivolgerci con qualsiasi domanda anche per questioni complesse della sfera della spiritualità e della psicologia».

Imperatrice, giustizia, torre e imperatore. Altre quattro carte sul tavolo. Vitali cita ancora Jung. «Lo psicologo sostiene, in Ricordi, sogni e riflessioni , che il futuro è preparato nell’ inconscio già molto tempo prima e perciò può essere indovinato dai chiaroveggenti.

Le carte sono il tramite per decifrare il futuro, ma si esprimono con degli enigmi, che vanno sciolti. Utile dunque, effettuare più stese, per ottenere delle conferme e sciogliere l’ enigma».

tarocchi 12Nuova stesa: riappare l’ imperatrice. «Non rappresenta solo il potere temporale, ma anche il successo». Matto e imperatore. «Il primo implica uno stato di sofferenza. Il secondo è portatore di un atteggiamento deciso, tipico di chi dà ordini e viene obbedito».

Ancora, si tagliano le carte. Entrano di nuovo in collisione. Giustizia, morte, appeso, ruota, matto. «Dicono che ci sarà un cambiamento». Temperanza, forza, diavolo. «E un ostacolo sarà rimosso». Amanti, stelle, mondo. «Verranno fatte delle scelte in base al proprio interesse. Il mondo rappresenta ciò che ci sta più a cuore».

tarocchi 11Sono pericolosi i tarocchi? «È pericoloso farseli fare dalla persona sbagliata. Occorre dunque fare un distinguo tra coloro che leggono i tarocchi per fini lucrativi e coloro che hanno rispetto per il prossimo.

Il simbolo va letto nel suo reale significato, scegliendo fra i molteplici quello aderente alla vicenda legata al consultante. Le carte danno consigli, esprimono pareri e possono influenzare chi ascolta, chi chiede e cerca soluzioni o ha sete di sapere».

Come riconoscere il bravo lettore di tarocchi? «In base alla domanda posta, dovrà attribuire a ciascuna carta il giusto significato e fermarsi quando avrà ottenuto la risposta. A volte occorrerà stendere tutti gli arcani maggiori per averla. Inoltre, deve possedere un buon vocabolario e una buona dialettica.

Le carte sono simboli, ma per formulare una tesi, servono frasi compiute, servono le giuste parole». Il consiglio dei tarocchi va sempre seguito? «Starà al consultante decidere se mettere in pratica quanto il simbolo avrà rilevato oppure distaccarsene. Oggi purtroppo osserviamo persone che della cartomanzia, sia essa svolta con i tarocchi o con le carte popolari, sono divenute schiave. Occorrere avere buon senso».

Se durante una stesa una carta appare rovesciata, ha un significato diverso? Negativo?

«La lettura delle carte diritte o rovesciate corrisponde a una moda che si riferiva ai giochi cartomantici fatti in società, giochi da salotto, oppure a visioni dell’ esoterismo che nulla hanno a che vedere con l’ atteggiamento junghiano dell’ energia simbolica.

Se visitando un museo ci accorgessimo che un quadro è capovolto di certo avviseremo i custodi, ma non daremo a quel dipinto un significato diverso dall’ originale». Necessario pagare chi legge le carte? «Sarebbe meglio dire che occorre lavorare per costruire una professionalità, prima di parlare di compensi. I professionisti sì, andranno poi pagati».

Lorenza Cerbini per “Liberi Tutti – Corriere della Sera”

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