TEMPO DI GUERRA

TEMPO DI GUERRA

Mai, negli ultimi decenni, la nostra quotidianità è stata così bruscamente violata dall’ esterno e i nostri gesti più intimi e privati scaraventati nello spazio pubblico, fino a diventare oggetto di specifiche disposizioni normative da parte del governo.

Ma proprio l’ esperienza di questi giorni ci aiuta a capire meglio quello che abbiamo studiato sui libri di storia, avvicinandoci alla comprensione più profonda della nostra esistenza collettiva negli anni tra il 1940 e il 1945 e mettendoci in contatto con una dimensione attraversata dalla paura ma anche da una irrefrenabile spinta vitale.

Il fatto è che, per quanto voluta e gestita dall’ uomo, la guerra, soprattutto la Seconda guerra mondiale nel suo aspetto totalizzante, ha un impatto che somiglia molto a quello della grandi catastrofi naturali (terremoti, alluvioni, epidemie appunto). In questo senso, esattamente come le catastrofi, quella guerra fu in grado di far affiorare i tratti più profondi della nostra identità collettiva, quasi azzerando di colpo le sovrastrutture culturali stratificatesi nel tempo.

italia che balla e si diverte durante la II guerra mondiale-macario

Da noi quel periodo fu vissuto nel solco di abitudini che rimbalzavano con straordinaria uniformità dai diversi contesti («sotto» gli Alleati come «sotto» i tedeschi, nel «Regno del Sud» come nella «Repubblica di Salò»), lasciando trapelare una comunanza di sensazioni così forte da suggerire la possibilità di aggregare sul piano dei sentimenti e dei comportamenti – un po’ come sta avvenendo in questi giorni con i tricolori sui balconi- quanto fino ad allora era sempre stato frammentato geograficamente, economicamente, socialmente.

Per tutti fu «tempo di guerra», un tempo definito dalla ciclica ripetizione di comportamenti coatti, segnati dall’ oscuramento che cancellava la luce naturale, dal coprifuoco che negava le uscite serali e la convivialità, dall’ annullamento della individualità dei singoli giorni in un’ ossessiva ripetitività, al cui interno tutti i giorni erano uguali e tutti erano ugualmente appiattiti su un presente carico di angoscia; un tempo che nella sua indeterminatezza – nessuno sa dirci quando l’ emergenza virus potrà definirsi conclusa – somiglia molto a quello che stiamo vivendo.

italia che balla e si diverte durante la II guerra mondiale- macario

Nell’ Italia in guerra riapparve anche la fame, un male antico che pure sembrava essere stato espulso per sempre dagli scenari urbani della rivoluzione industriale. Ci fu, ovviamente, anche una diffusa paura di morire e fu essenzialmente legata ai bombardamenti. Ma quello che appare oggi particolarmente confortante è che non tutto fu disperazione e paura, e anche negli incubi di una condizione sempre più tragica fece capolino una umanissima voglia di vivere. Ancora a distanza di anni, nei ricordi dei testimoni si avverte la gioia profonda di essere riusciti a strappare anche un solo attimo alla sequenza di eventi distruttivi in cui si era precipitati.

L’ incontro con il cibo, ad esempio: dimenticati il razionamento e il pane con la tessera, nel ricordo ci si riscopre golosi come bambini e il momento di un’ unica mangiata pantagruelica viene rivissuto con la stessa intensità che assumono le descrizioni delle privazioni in cui ci si dibatteva. Durante la guerra si ballava, anche. In famiglia, tra amici, e in quei locali che restavano ancora aperti, lasciando presagire un fenomeno che nell’ immediato dopoguerra si sarebbe manifestato in un vero tripudio di corpi scatenati al ritmo del boogie woogie.

La radio trasmetteva canzoni allegre-demenziali (Maramao perché sei morto? fu un classico) o di un sentimentalismo esasperato («Vieni, c’ è una strada nel bosco…»). Al cinema si rideva con Macario (Imputato, alzatevi!) e un po’ ovunque furono allestiti spettacoli comici, di varietà, di musica leggera. Mentre sette compagnie di prosa portavano dappertutto nella penisola il loro repertorio – erano De Filippo, Donadio, Govi, Baseggio, Anselmi-Abruzzo, Durante e Ciabattini -, significativi successi ottennero anche le compagnie di avanspettacolo, senza dimenticare, nel teatro leggero, l’ operetta, la commedia musicale, la pochade; i consensi più clamorosi andarono alla rivista, che proprio in quegli anni superò per la prima volta – e largamente – gli incassi del teatro drammatico.

Wanda Osiris

Autori come Michele Galdieri e Mario Mangini, artisti come De Sica, Marisa Merlini, Dina Galli, la stessa Paola Borboni (che accettò di calcare le scene del teatro leggero per poter finanziare la sua compagnia pirandelliana) contribuirono a dare dignità e prestigio a questo genere «minore». Un umorismo anche grossolano fu lo strumento per esorcizzare i disagi della guerra: l’ oscuramento serviva agli innamorati per scambiarsi carezze, le restrizioni alimentari favorivano la dieta…

De Sica con Totò

Poi, nel 1943, anche la rivista fu ufficialmente proibita, perché non si confaceva alla tragicità degli avvenimenti che il paese stava vivendo. Erano però consentiti i lavori patriottici. E grazie a questo escamotage tutto continuò come prima. Fu così che le riviste di Vanda Osiri (come si chiamava allora Wanda Osiris), di Totò, di Macario e perfino le sceneggiate napoletane, con la semplice aggiunta di un finalino patriottico-propagandistico, proseguirono nelle loro tournée in tutti i teatri italiani senza risentire delle nuove restrizioni. Anzi, con il proseguire della guerra, il richiamo esplicito al sesso e all’ erotismo si fece più insistito, i puntini delle ballerine più esigui.

Non era solo un problema di temi vietati dalla censura, anche se, indubbiamente, la satira di costume era diventata oggettivamente più difficile; affiorava una dirompente voglia di trasgressione cresciuta solidamente intrecciata alla dimensione sempre più tragica assunta dalla guerra. Così, di fatto, le riviste più «spinte» furono quelle messe in scena proprio nella lunga notte della Repubblica di Salò.

Non scomparve, ovviamente, un’ altra grande passione degli italiani, quella per il gioco del calcio. È vero, a partire dal 1943 anche il campionato di calcio fu sospeso. Ma le partite continuarono. I giocatori del Grande Torino, ad esempio, calcavano i campi di provincia per ingaggi a suon di farina, uova, burro.

Grande Torino

Il calcio aveva una sua spontaneità che non si lasciava imbrigliare nella cupa realtà istituzionale della guerra. A questa spontanea vitalità appartiene anche una curiosa partita giocata in Val di Susa, nella primavera del 1945, tra i partigiani e i tedeschi. Più che un esempio di fraternizzazione si trattò di un sospirato presagio di pace: la guerra sarebbe finita e il mondo avrebbe finalmente ritrovato il tempo e lo spazio in cui collocare le sue speranze per il futuro.
Articolo di Giovanni De Luna per la Stampa

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