A NAPOLI, COMUNQUE, SI RIDE

A NAPOLI, COMUNQUE, SI RIDE

 È bella, è bionda, e dice: «De Magistris dovrebbe passare bendato in mezzo ai cavalli di piazza Plebiscito». È un gioco che fanno cittadini e turisti. Ma pare che percorrere i 170 metri che passano tra la porta d’ingresso del Palazzo Reale e le statue equestri e passarci in mezzo non sia riuscito a nessuno, e forse è colpa di una maledizione che risale alla Regina Margherita. Chissà De Magistris, che qui molti chiamano «Màgistris», proparossitono e senza ”de”. Lei, Ludovica è tornata a Napoli dopo sei anni di Barcellona. Ha 26 anni, è del Vomero, fa l’odontotecnica, e dice: «Pensavo di non voler tornare, e invece sto benissimo».

Piazzetta Nilo

Anch’io mi trovo benissimo. Avevo lasciato Napoli, anni fa, come una città difficile, c’era il rischio che a Piazzetta Nilo ti prendessero il cellulare, c’era da tenere un livello di attenzione alto, dal Vomero ai Quartieri. Ricordo una sparatoria dietro Piazza Dante: ci dovemmo sdraiare in mezzo alle macchine parcheggiate. La stazione. Appena sceso dal treno, sul marciapiede accanto al binario, c’era una pozza di sangue. Diametro, circa, un metro.

E ora si sorride un po’ tutti come scemi, tra Santa Chiara e Spaccanapoli. È sabato e davanti alla pizzeria Sorbillo (si parlava di una cessione ai giapponesi per una cifra enorme, ma la notizia è stata smentita) in via dei Tribunali non si cammina: si sta come sargassi, trascinati dalla corrente impercettibile. Compressi tra padri affannati, bimbi smovicoli, mamme assai tridimensionali con phard, schatoush, scialline leopardate, cellulari puntati (ma verso che?).

Spaccanapoli da via Croce a via Giudecca Vecchia. (by Tomaso Lizzul)

Meglio svoltare verso San Gregorio Armeno, che si preannuncia ancora peggio, ma poi no. Si finisce a comprare statuine del Presepe da Capuano. La crew familiare sta pranzando, gran piatti di maccheroncini al sugo in teglie d’alluminio leggere. Si esce con quattro statuine: Sacra Famiglia e Benino (il pastore addormentato che sogna il presepe, messa in scena della messa in scena) e in mano un pezzo di pane caldo cafone, con un filo d’olio gentile, omaggio della ditta.

Palazzo Reale e piazza Plebiscito

La metro è una discesa nell’Ade. Scale mobili su scale mobili, si scendono mille piani e il cellulare non prende più, e ogni stazione è diversa. Il grigio di Garibaldi, il beige di Municipio, Pistoletto, Gae Aulenti, Giulio Paolini, ecc. Tempi di attesa per i convogli: lunghi. Nessuno si lamenta, qualcuno fa conversazione, qualcuno gioca coi bimbi in culla. All’uscita Vanvitelli (Vomero) arrivano i poliziotti col metal detector. Bloccano un gruppo di adolescenti urlanti e cantanti, lasciano andare il sottoscritto che non vede l’ora di essere perquisito, e che ha un coltello nello zaino, ma se ne ricorda dopo. Sarà l’età, la triade giacca/cappotto/cappello. Non c’è giustizia al mondo. A Napoli, comunque, si ride.

Pizzeria Sorbillo

Al momento, nel carosello campanilista tra Milano l’attraente, Roma la decadente, Venezia sommersa e graffiata dalle navi, emerge l’atmosfera napoletana. Ma soprattutto il dinamismo. I numeri parlano chiaro: nello sfacelo economico, specialmente dell’agricoltura, del Sud, e con crescita zero in Campania, Napoli è un’isola felice. Secondo la Camera di commercio tra il 2017 e il 2018 il turismo è salito del 3, 2 per cento, i servizi alle imprese del 3, 7 per cento. Ma parlando di turismo colpiscono soprattutto i dati dei musei e dei siti archeologici: dal 2011 al 2017 Pompei ha fatto un milione di visitatori in più (siamo a quasi quattro milioni), il Museo archeologico è passato da 288 mila a più di 500 mila.

Complessivamente, dal 2010 al 2018 i visitatori sono aumentati del 108 per cento secondo Confesercenti. Fantasmagorico. Mettiamoci anche i voli diretti da Capodichino a New York, che uniscono le due città che hanno lo stesso nome. Per molti la faccenda si spiega con il declino di altre tradizionali mete turistiche del Mediterraneo, travolte da instabilità politica, dalla Turchia all’Egitto, fatto sta che spesso si tratta di turismo di lusso, attirato da un’offerta culturale altissima. Ma resta l’impressione che, anche qui, De Magistris, dovrebbe passare il mezzo alla piazza bendato, e forse ce la farebbe, tale la botta di fortuna che ha avuto.

Tra l’altro gli è capitato un assessore alla cultura e turismo coi controfiocchi: Nino Daniele, da poche settimane fatto fuori, dopo sei anni, a causa dell’ennesimo rimpasto della giunta. Siamo a 33 assessori cambiati. Daniele, vecchia scuola Pci, ma apprezzato a destra e a sinistra, ha inventato lui il festival Spinacorona, ha portato PIano City a Napoli, ha promosso teatro e cinema e ha fatto rinascere Napoli città libro.

Mostra Liù Rowang in piazza Municipio

Lo incontro in piazza Municipio, in mezzo all’Installazione da lui fortemente voluta di Liu Rowang. Lupi di ferro da duecento chili che si affollano minacciosi davanti a un samurai. L’inaugurazione è coincisa con il licenziamento di Daniele, che, nell’amarezza innegabile conserva l’appiombo e ordina un caffè in un bar in piazza. «Pensi che Napoli, al momento, è il set cinematografico più importante d’Italia – racconta – in cinque anni sono stati girati più di mille audiovisivi» da l’Amica Geniale, a Martin Eden, a I bastardi di Pizzofalcone all’ultimo documentario di Asif Kapadia sulla vita di Maradona, e poi spot, televisivi. Viene in mente anche quel capolavoro che è L’arte della felicità di Alessandro Rak, che se non è stato girato in città – trattandosi di un cartoon – ma è ambientato in una Napoli fradicia di pioggia e rimpianti. Per quanto riguarda Suburra, che dire se non che è la copia (venuta peggio) di Gomorra? E resta la sottile sensazione che, al momento, tutto quello che viene da Roma sia una Napoli un po’ cheap.

Quartiere Pennino

Alcuni vedono Daniele come candidato Dem in Campania alle prossime Regionali. Altri come prossimo candidato sindaco. Le elezioni comunali ci saranno nel 2021, e si nota eccome il presenzialismo napoletano di Roberto Fico, che ad ogni questione cittadina si scorda della presidenza della Camera e mette bocca sulla “sua” città. Bambini saltano sui leoni di ferro, ci vanno a cavalcioni. Daniele, politico navigato e colto, ottocentesco col baffo e col trench, non si scompone. Resta sulla cultura e fa notare semmai la «fortissima resistenza di Napoli a farsi colonizzare da altri immaginari». E siamo alla Napoli-Tribù di cui Parlava Pasolini, la “sacca storica” della città che resta “irripetibile, irriducibile, incorruttibile”.

Aggiungiamo al cinema la letteratura: oggi se in tutto il mondo si pensa a un libro italiano si pensa a Elena Ferrante. Misteriosa, o almeno venduta come misteriosa secondo La vita bugiarda degli adulti (o alla prassi bugiarda del marketing, fate voi). Ma napoletana. O a Roberto Saviano. Napoletano. O magari al vincitore dello Strega Antonio Scurati. Napoletano. E siamo sul piano del mainstream, tenendo fuori per pura contingenza Erri De Luca, altro campione di vendite. Ma si può uscire dal mainstream e entrare nell’avanguardia. E c’erano tutti al Madre, qualche giorno fa, a celebrare la mostra di Marcello Rumma, uno degli inventori dell’arte povera.

Ma sulla vivacità perenne, in grado di rileggere il popolare e le avanguardie storiche nella ripresa posthegeliana della “morte dell’arte” (Totò con le lenti asettico/trascendentali di Achille Bonito Oliva, ad esempio) è stato detto tutto.

Piazza Plebiscito

Come su Andy Warhol che, nel post terremoto, si presentò in città con un peperoncino rosso, scacciasfiga, attaccato alla montatura degli occhiali. Qui, senza andare indietro fino a Matilde Serao, è appena il caso di ricordare con un bacio sulla chioma candida il bel Luciano De Crescenzo da poco scomparso, e di precisare che la sua rilettura della filosofia greca e tutta dovuta a uno scrittore quasi dimenticato Giuseppe Marotta, ai suoi libri come Gli alunni del Sole. Di Marotta l’editore esclusivo De Piante, sta per pubblicare un racconto inedito. E tornando a oggi: se De Magistris sembra perfettamente estraneo alla deflagrazione culturale napoletana, Daniele ne sembra l’attento organizzatore, quasi l’eminenza grigia, almeno fino alla defenestrazione.

Mentre tutto attorno gli animal spirits del fare rappresentazione sono sempre all’opera. Dovremmo aver superato il pregiudizio “oleografico” per cui la tradizione diventava la noia di pizza-mandolino-mamma, e si mettevano in evidenza i geni “razionalisti” di Napoli, che pure ci sono, tanto è vero che Daniele ha organizzato una manifestazione sul concetto di felicità in Gaetano Filangieri, quasi una prefigurazione, duecento anni prima, delle più avanzate teorie della happiness economics. E aver superato anche l’idea di una Nuova Napoli, anni ’70, imbullonata di ideologia e cazzimma. Possiamo dire in tutta tranquillità che la metafora barocca è sempre attiva qui: il tribalismo napoletano passa attraverso una continua, totale, pervasiva, brulicante, cultura della rappresentazione. Vedi il caso dei Neomelodici. Anche quelli implicati con la Camorra? Certo, in una qualche misura.

Ma non troverete argomento della vita che non sia stato preso, messo in metrica, cantato e suonato da un neomelodico. E che non abbia il suo pubblico, e il suo mercato. La sorella dell’amico che provoca, l’amica della mamma che si mostra. Le tasse, i parcheggi. L’amor sacro del fratello per la sorella, della sorella per il fratello, del figlio per la mamma. L’obesità. Mi è capitato di sentire un brano in cui esplodeva un ritornello: “e finalmente si nesciut’ancinta/l’ha confermato pure l’ecografia”. Il carcere. E i messaggi più o meno subliminali con le dediche ai detenuti. Che differenza c’è tra un lamento di goduria di uno che si gratta la schiena su uno spigolo del quartiere Pendino, un canto a Fronna e’ limone, e un messaggio cifrato declamato su un beat infame? Qui siamo alla disperazione semantica di magistrati che vorrebbero abolire i messaggi “negativi” nelle rappresentazioni artistiche. L’argomento è lungo, ma, si rassegnino Gratteri e chi per lui: togliere il negativo dall’arte vuol dire togliere l’arte.

Napoli com’era

Qui, statene certi, è tutto impossibile da regolamentare: Napoli è un perenne esondare di rappresentazioni. Fin troppo facile notare, sempre a San Gregorio Armeno, le statue del presepe con Beppe Grillo giustamente imbolsito e “Higuain El Traditor”. Nulla si sottrae alla rimessa in forma. Anche tra i musicisti “in”. Funkster inarrivabili, jazzman maniacali. Tecnicamente mostruosi. Chiusi con il fuori e rissosi tra di loro. Stefano Simonetta, in arte Mujura, impeccabile bassista di Eugenio Bennato nonché cantautore in proprio ( in caso di botta di spleen ricordarsi la sua Efesto) riferisce di più di una jam session finita in rissa. Alle tre di notte, di fronte al Barcollando, al Vomero, un pianista al quinto gin tonic mi rimproverava: consideravo le tredicesime in maniera troppo enarmonica. Non si replica sull’enarmonia a un pianista rasato che ha fatto, pure, dieci anni di pugilato. Unico punto su cui tutti tengono il segreto: Liberato. Su di lui niente si può dire. Anche che abita in Francia nessuno lo dice (tranne quest’articolo). Per il resto impazzano i Nu Guinea. Sound anni 70 su parole vuote, per chi scrive insopportabili, il peggio della retromania di provincia (meglio i neomelodici senz’altro, per non parlare di Speranza). Ma è interessante l’iniziativa che ci sta sotto: il progetto Napoli Segreta, compilation rilasciata dalla Early Sounds e NG Records che raccoglie perle nascoste della discografia napoletana funk e disco. È in arrivo il secondo vinile, proprio in questi giorni. Lavoro di raccolta -saccheggio di mercatini e negozi di dischi- immenso, filologia rigorosa, risultati meravigliosi. Il corrispettivo più funk e quartaumentata dell’editore Riccardo Ricciardi di decenni fa.

Del resto questa è una città che dibatte sul fatto che Via Roma si possa o si debba chiamare via Toledo. Immaginiamo una discussione di pura toponomastica e filologia a Roma («aho ma stica»), o a Milano («Il Comune ha voluto così, eh»). E intanto, in via Sant’Eligio ho visto l’ultima sfregiata, e che sia l’ultima voglio presumerlo. Una signora alta quasi un metro e ottanta. Più di settanta anni, casco di capelli lunghi, bianchi, sciolti, che si indovinavano una volta neri come gli occhi, e un segno che partiva dal mento un po’ prominente, e chiudeva appena davanti all’orecchio, seguendo docile il profilo della mandibola. Uno sfregio che l’ha fermata, costretta al matrimonio, mi raccontavano altri vecchi, che cavalcavano seggiole di plastica. L’incrocio di sguardi è durato l’attimo che mi è servito per scappare, via, verso piazza Mercato.

Anche la situazione dal punto di vista della sicurezza sembra migliorata. Napoli è la 17 sima città in Italia per numero di reati (dati del Ministero dell’Interno) dove la prima è Milano. Resta prima per furti con strappo (subito seguita da Milano) ma con un calo significativo dei crimini in generale: negli anni 2017/2018 quattro per cento in meno di reati, e 14, 85 per cento in meno di rapine.

Complesso di san Gregorio

Restano i bassi, che si salvano dalla gentrificazione, le vaiasse, che si salvano dal bon ton: sento un litigio dall’una all’altra finestra “Tu c’he pile e cazz’ ti si fatt nu materazz’”, mi raccontano di un femminiello che, preso da parte un assessore gli ha sputato sul muso la frase: «Ie c’he bucchine m’aggio fatto ddoi casarielle. E tu manco l’addore. E s’e o voi, hai e pava’» («io coi bocchini mi sono fatta due casette, e tu nemmeno l’odore. E se lo vuoi [il cazzo n.d.r.] devi pagare».

Pura dolcezza borbonica è la vita mondana. Le feste, i salotti, i circoli. Montediddio e Pizzofalcone. I fratelli Roberto e Generoso Di Meo hanno inventato la formula del ballo itinerante: Roma, Parigi, New York, Marrakesh, Vienna. Qualche settimana fa, per gli amici napoletani il Ri-ballo a Palazzo Serra di Cassano. Al palazzo di fronte abita (ma esce spesso) donna Januaria Piromallo Capece Piscicelli di Montebello dei duchi di Capracotta.

Il suo palazzo si affaccia su una bellissima serra interna. Dalla stanza da letto vedo la Certosa Di San Martino e i suoi chiostri di luce. Un salotto “super bien“ è quello di Celeste Condorelli, con il design dell’architetto Cherubino Gambardella. Sorrentino si è ispirato a Cherubino per il protagonista de La grande bellezza. Martedì scorso gli auguri di Natale gourmet da Antonella Tuccillo: la madre, Germana Militerni Nardone, è esperta di ricette antiche rivisitate, e la specialità è lo spaghetto col tarallo. E qualche giorno prima, alla galleria PIetro Renna, il vernissage di Elena Von Essen con quattro principesse in una stanza: la stessa Elena, la sorella Mafalda, la madre Tatiana, discendente diretta della regina Vittoria. E Beatrice di Borbone. Si finì con Elena che ballava sui tavoli del ristorante “l’Europeo”, che tutti chiamano familiarmente “Mattozzi” e fa la più buona genovese (che è napoletana) del mondo. Puro cazzeggio astratto slegato dalle logiche arrampicatorie sono i circoli.

Chiesa di Sant’Egidio Maggiore

Slegato nel senso che i borghesi pagano quote alte per essere ammessi, e i nobili incassano placidi, e alcuni ci campano. Il circolo Italia a borgo Marinari, con il veliero donato da Gianni Agnelli, il Circolo La Staffa, il circolo dell’Unione attaccato al San Carlo. Vestirsi: oltre ai soliti ed eccelsi Marinella, e Amina Rubinacci (più specializzata nella maglieria), c’è Isaia, fondato nel 1920, con atelier anche a Capri, e il suo smoking bicolore: nero con il bavero in raso e in velluto: blu, verde bottiglia, bordeaux. E prima della prima del San Carlo c’era stato un concerto a porte chiuse di Claudio Baglioni (il San Carlo aveva detto “no” a Madonna), invitato dalla fondazione Scudieri, per beneficenza, con l’assessore alle politiche giovanili e alla creatività Alessandra Clemente in un vestito scuro di seta antica di San Leucio. E una scultura sul derrière. Napoli gode.

«Qualche giorno fa c’è stata una sparatoria nella Pignasecca», racconta Gennaro Ascione, scienziato sociale, che ha insegnato qui all’Orientale, a Dehli, e in Inghilterra, e si occupa in particolare di de-colonizzazione. Ha anche pubblicato un romanzo distopico: Vendi Napoli e poi muori (Magmata, 2018). «Siamo in una fase più complicata di quello che sembra. C’è una porzione piccola della città che sta facendo i soldi, e il resto, vale a dire la maggior parte della popolazione, sta peggiorando, per servizi e qualità della vita. L’azienda dei trasporti, l’Anm, è a rischio fallimento. E anche i rifiuti sono un problema.

Fino a qualche settimana fa c’era una discarica illegittima: all’ex Icm, in via delle Brecce, zona Orientale, al posto dei rifiuti inerti si sversavano gli umidi. È dovuto intervenire il ministro Costa per fermare tutto». Solo qualche giorno fa, a fronte dell’intasamento di spazzatura, il comune si è giustificato dicendo che le luminarie natalizie ingombravano. L’onda di turisti, in una città che ha 15mila posti letto, ha portato da una parte all’esplosione di B&B, di lavoro nero e grigio, e a una strana ma fisiologica gentrificazione.

I prezzi degli affitti si sono alzati del 30/40 per cento», sottolinea chirurgico Ascione dal tavolino di un bar di PIazza Dante. Anche secondo lui De Magistris dovrebbe farsi quella passeggiata bendato: «Ma con la bandana arancione. Nel 2016 si è presentato come un rivoluzionario, di popolo. C’erano i manifesti con il quarto stato. Napoli era l‘avamposto di tutti i Sud del mondo. Nel suo bacino elettorale c’erano tutti, anche i neoborbonici» e tutt’ora, in un comune che è passato da innumerevoli rimpasti, rimangono dagli esponenti dei centri sociali Insurgencia (che hanno aiutato, insieme a Nino Daniele, a recuperare molti fabbricati occupati, e a riportarli a canoni legali) ad esponenti di Forza Italia.

Ma forse è proprio il caso di dire che l’azione politica di De Magistris, per quanto fortunata, anche grazie al fratello Claudio, uomo di marketing e di relazioni, che purtroppo è finito indagato per il concerto post nozze del neomelodico Tony Colombo) sta mostrando tutti i suoi limiti. Alla notte bianca di sabato scorso, presenti tra gli altri De Magistris e la nuova assessora alla cultura Eleonora De Majo, la manifestazione è stata fermata dai vigili: il comune non aveva chiesto il permesso a sé stesso. Come notava Nino Daniele: «I partiti personali risentono della crisi della politica. La disintermediazione non può fare storia né progetto, e De Magistris non è riuscito a dare sbocco più ampio alla sue esperienza».

E intanto, secondo la metafora degli animal spirits, si muove altro. Il digitale per esempio. Pensiamo al Polo di San Giovanni Teduccio. Nel 2016, grazie a Matteo Renzi che voleva la Apple restituisse qualcosa all’Italia dopo tante controversie fiscali, è arrivata la Apple Academy, con studenti di tutto il mondo, diretta da Giorgio Ventre. Luogo di ricerca e sperimentazione in vari campi, l’Academy ha contribuito alla rinascita digitale di Napoli. A ottobre c’erano in città più di 400 startup, e 859 in Campania, che risulta terza in Italia, dopo Veneto e Emilia-Romagna, per numero di realtà innovative.

E, grazie alla Federico II e al suo rettore “visionario” Gaetano Manfredi è in costruzione il raddoppio del polo, con un finanziamento di 70 milioni. Nell’insieme si tratta di una rete di sette atenei, 40 enti pubblici di ricerca avanzata, 21 laboratori che lavorano con le filiere produttive regionali. Si va dal 3D applicato al calcestruzzo, al riutilizzo di scarti edilizi, al software, alle applicazioni spaziali. Diverse multinazionali hanno scelto il polo campano, per esempio Cisco. E Leonardo, solo in Campania, ha 4500 addetti, vedi Aerotech campus di Pomigliano d’Arco. In breve, anche dal punto di vista dell’innovazione Napoli si muove e come. Su cosa c’entri l’attuale amministrazione cittadina permangono un bel po’ di dubbi. Fino ad ora sulla politica sembrano prevalere gli animal spirits. E comunque, forse è proprio il caso che, prima di fine mandato, Màgistris, faccia davvero la passeggiatina in piazza Plebiscito. Si capirebbero molte cose.

Bruno Giurato per www.linkiesta.it

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