DIALOGO CON FRATELLO VIRUS

DIALOGO CON FRATELLO VIRUS

ASPETTANDO IL VACCINO SENTIAMO LA VOCE DEL POVERELLO CHE DIALOCA CON FRATELLO LUPO; PER QUESTE FESTE RILEGGIAMO PAPA FRANCESCO IN VERSIONE ECOLOGISTA E CONVINCIAMOCI CHE POSSIAMO ESSERE VERAMENTE FRATELLI TUTTI.

In una recente intervista su Radio 3 è stato chiesto a Chiara Frugoni, esperta medievalista e storica della Chiesa, in particolare della figura di San Francesco, se, vivendo il Santo nei nostri giorni, egli avrebbe chiamato fratello il virus Covid.

La storica ha esitato nella risposta, poi ha detto incerta che no, forse San Francesco non avrebbe considerato fratello il virus, volendolo personificare.

Lo spunto veniva dal racconto del fratello lupo di Gubbio, che il Santo avrebbe ammansito e riconciliato con gli abitanti di quella città. Ma c’è qualche similitudine fra il Covid e il lupo di quel fioretto francescano?

Così come il lupo scorrazzava per la città, costringendo gli abitanti spaventati a stare chiusi in casa, allo stesso modo fa oggi il virus, costringendoci al lookdown.

La stessa paura che noi abbiano del virus avevano allora i cittadini di Gubbio.  Angosciati loro come oggi angosciati sono molti di noi.

Allora intervenne provvidenzialmente il Santo, oggi aspettiamo tutti trepidanti che intervenga il Vaccino.

Certo, noi non possiamo parlare al virus come Francesco fece col lupo, con queste parole. “Vieni qui frate lupo, io ti comando dalla parte di Cristo che tu non facci male né a me né a persona…Frate lupo, tu fai molti danni in queste parti, e hai fatti grandi malifici, guastando e uccidendo le creature di Dio sanza sua licenza…ma hai avuto ardire d’uccidere uomini fatti alla immagine di Dio; per la qual cosa tu se’ degno delle forche come ladro e omicida pessimo.” (Cronaca san Verecondo).

Purtroppo per noi la questione è più complicata. Abbiamo per fortuna un altro Francesco, uomo eminentissimo e Papa assai amato, che parla ai potenti delle terra, ma, sembrerebbe, con meno fortuna di Francesco col lupo.

A Gubbio, circa 800 anni fa, si saranno chiesti: ma perché è toccata a noi questa bestia feroce? Lo stesso facciamo oggi noi. Allora quella bestia spaventosa sarà apparsa il giusto castigo per i tanti peccati. Oggi per noi, uomini pratici, l’obiettivo è uno solo: scoprire il mandante, non potendo nemmeno vedere l’arma con cui colpisce l’esecutore.

Qui le cose si complicano, perché la ricerca del mandante ci porta, secondo parecchi scienziati, economisti, filosofi della scienza, a individuare a colpo sicuro il colpevole: noi stessi. Chi è causa del suo mal pianga se stesso, dice il proverbio. Il mercato del pesce di Wuhan è l’atto primigenio, la genesi di una storia che pare destinata a scrivere il secolo XXI.

La domanda allora diventa: se il vaccino ci libera e ci protegge, chi ci proteggerà da noi stessi?

Il documento profetico che anticipa questa storia potrebbe essere, a rigore, per analogia tematica e cronologica, l’enciclica “ecologica” di Papa Francesco Laudato si’, in cui, ispirato da San Francesco, il Papa denuncia i mali della terra.

Nell’enciclica, sulla quale finora poco si è riflettuto, il Papa fa un’analisi dettagliata dei mali della economia globalizzata, del consumismo, delle diseguaglianze, della cecità che ha portato l’uomo a credersi signore e padrone della terra per sfruttarla oltre il lecito e il possibile. Ma dà anche una serie di risposte, alcune prevedibili, altre che suscitano scetticismo e la cui realizzazione appare quanto meno problematica.

Nel 1950 don Primo Mazzolari, proprio prendendo spunto dal fioretto di San Francesco e il lupo di Gubbio, affermava: «Solo chi ama il lupo può parlare al lupo. Noi cristiani ci siamo dimenticati di una cosa: gli uomini si amano come sono, non come dovrebbero essere».

Forse la forza di San Francesco è stata semplicemente questa: amare tutte le cose, al di là della fratellanza, intesa come appartenenza alla stessa specie, perché solo così si potranno avere i giusti rapporti fra gli uomini e fra quest’ultimi e le cose del creato.

Clara, una monaca clarissa, ha scritto: Il “Fioretto” di Francesco è una perla di saggezza, di realismo, di umanità, di vangelo: esso ci mostra che la fecondità delle nostre relazioni dipende dalla nostra disponibilità a farci prossimi, dalla nostra apertura mentale e dalla nostra convinzione che l’altro, anche se diverso, è innanzitutto un fratello che mi appartiene e del quale io sono chiamato a renderne conto; parimenti anche le condizioni più pericolose e sofferte della vita possono trasformarsi, nel nome del Signore, in momenti di grande grazia e ciò che ci appariva cattivo può rivelarsi amico e sostegno nel cammino della vita”.   (tratto dal sito www.santalessandro.org)

Amare gli uomini e le cose così come sono non vuole dire rassegnata accettazione, anzi! San Francesco proprio perché accetta il lupo riesce ad ammansirlo, a cambiarlo, a farlo accettare degli eugubini, pur nella sua diversità.

Si apre, a questo punto, una dimensione che non è più solo ecologica o religiosa, ma politica.

Ha scritto Padre Pietro Maranesi, docente alla scuola superiore di religione in Assisi: “Se la fede non ha uno sguardo laico sui processi politici della polis, non ha molto significato. Se il nostro sguardo fosse esclusivamente rivolto a Dio, la fede non avrebbe molto senso. (corsivo mio). L’esperienza della fede ci deve permettere di diventare più umani, di fare progetti per la nostra società, per l’umanità, di avvicinarci. Dialogare, mediare, fare della fede uno strumento per il confronto è la base della crescita. Come dice Papa Francesco: dialogare con tutti è ciò che fa la differenza”.

Padre Pietro Maranesi

Circa la natura di tale antropologia relazionale è ancora la parola di Papa Francesco a illuminarci la strada, con ammirevole coerenza e semplicità.

Il cuore dell’ultima sua enciclica Fratelli tutti, sfrondata da tutti i richiami dottrinali, è questo: la coscienza della comune paternità in Dio. Se siamo suoi figli non possiamo che dirci e sentirci fratelli.

La fraternità, come atto di ri-conoscenza e reciproca accettazione è il primo atto politico. Le società, i modelli di governo, di economia e tutte le altre regole che disciplinano i rapporti fra Stato, cittadini e persone sono conseguenti e vengono dopo, come fatti meramente strumentali.

Il concetto di fraternità esposto da Papa Francesco è ricco di spunti per una “chiesa in uscita missionaria”, così come decritta nel suo decalogo. Ma “odorando [essa] di popolo e di strada” questo concetto apre prospettive per un dialogo vero, come mai forse la Chiesa ha fatto nella sua storia millenaria.

Come padre Gian Luigi Pasquale sottolinea nel suo commento a Fratelli tutti, (vitaconsacrata n. 1/2021) la fratellanza di Papa Francesco non è autarchica, autosufficiente. Essa si sostanzia nel dialogo alla pari con tutti “così come siamo”, che è anche ricerca non dogmatica per trovare nella nostra coscienza e come fratelli quella verità trascendente sulla quale si fonda la fratellanza stessa.

Padre Gian Luigi Pasquale

Come dice il Papa, senza la volontà politica di fratellanza la libertà della persona si svilisce; l’uguaglianza se affermata in astratto “fra i soci” non è mai tale, poiché essa va consapevolmente e deliberatamente coltivata.

Solo il comune riconoscimento di tale verità potrà consentire agli uomini “così come sono” di attuare nel mondo la giusta contemperanza fra libertà e uguaglianza, grazie all’equilibrio che il considerarsi fratelli potrà garantire.

Scrive il Papa nella sua enciclica (n. 180 di Fratelli tutti) che “riconoscere ogni essere umano come un fratello o una sorella e ricercare un’amicizia sociale che includa tutti non sono mere utopie”. L’amore diventa così “amore politico”, dando vita a processi di fraternità e di giustizia, entrando “nel campo della più vasta carità, della carità politica”.. che è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune”.

Un altro pensatore, laico, Umberto Galimberti (1942), riflettendo sul nichilismo e i giovani (L’ospite inquietante, Feltrinelli 2009, pag. 30), rifiutando come Papa Francesco l’utopia modernista dell’onnipotenza umana, afferma che la visione ottimistica secondo la quale la storia dell’umanità sarebbe inevitabilmente una storia di progresso e quindi di salvezza è crollata. “Dio è davvero morto e i suoi eredi (scienza, utopia, rivoluzione) hanno mancato la promessa”. Conclude Galimberti: “ La strada da seguire è un’altra: quella della costruzione di legami affettivi e di solidarietà capaci di spingere le persone fuori dall’isolamento nella quale la società tende a rinchiuderle, in nome degli ideali individualistici”. E’ la fratellanza su cui richiama l’attenzione il Papa. 

Umberto Galimberti

Queste parole, se da un lato incoraggiano gli uomini di buona volontà, dall’altro ci danno la misura della decadenza dei tempi, dello scadere dell’etica pubblica, di quanto sia indifferibile ed urgente “pensare e generare un mondo aperto”, un mondo inedito.

C’è un libro che mi ha influenzato molto e che ancora rileggo volentieri, fra mille sottolineature: La terra del tramonto di Ernesto Balducci (1922-1992), padre scolopio che ebbi piacere di conoscere, amico di La Pira, Davide Maria Turoldo e don Milani.

Balducci teorizza la figura dell’uomo inedito, cioè di colui in cui si realizzeranno tutte le potenzialità nascoste, inespresse benché già presenti, nell’uomo d’oggi.

Padre Ernesto Balducci

“Il tempo dell’uomo inedito è il futuro, cioè quel momento in cui passeranno all’atto le possibilità fino a oggi rimaste escluse dal cerchio del possibile storico.  Il futuro dell’uomo inedito è il tempo che ci viene incontro portando con sé, come possibilità oggettive, nuovi modi di essere rispondenti alle possibilità soggettive latenti in noi.. Ci manca- ed è questo il nostro vero dramma- una mappa delle possibilità umane, perché siamo imprigionati in un’immagine univoca di uomo costruita e imposta, dalla cultura in cui siamo cresciuti” (o.c. edizioni ECP,p. 55).

Forse la mappa “delle possibilità umane” ora l’abbiamo, grazie a Papa Francesco; converrebbe tentare di costruire quest’uomo inedito, tutti insieme. L’avvento del regno di Dio, più che in cielo, dobbiamo cominciare a cercarlo dentro di noi.

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