MIMI

MIMI

STORIA DI MIMI, LA SORELLA DI JOAN BAEZ CHE UMILIÒ BOB DYLAN

Una vita all’ombra della più grande cantante folk d’America. La parentela ingombrante e il matrimonio con Richard Fariña, musicista e scrittore. La nostalgia di un futuro mai conquistato

Richard Fariña e Mimi Baez Fariña in “Memories”, album pubblicato dopo la morte di Richard dalla Vanguard Records, nell’aprile del 1968

Giorni fa ho guardato un documentario su Joan Baez. Confesso che per la nota folk singer americana non ho mai provato alcun trasporto, le sue canzoni mi sono sempre sembrate noiose e deprimenti, però le immagini rimandavano a un periodo piacevole da ricordare (e a volte rimpiangere) e l’offerta televisiva non proponeva niente di entusiasmante. Dopo oltre un’ora di manifestazioni pacifiste, criptiche dichiarazioni di Bob Dylan, e ballate monotone, la mia nostalgia poteva ritenersi appagata, quando a un certo punto, verso il finale, la ultrasettantenne Joan Baez imbraccia la chitarra e dice: “Vorrei proporvi un pezzo che cantavo tantissimi anni fa insieme a mia sorella Mimi”. E attacca, con la sua voce inconfondibile. Dopo la prima strofa, cantata nel tempo presente, si intrecciano in dissolvenza le note, le voci e le immagini di un tempo lontano: sul palco Joan non è più sola, accanto a lei, vestita di bianco, appare una ragazza con i capelli lunghi e un viso da madonna rinascimentale. Anche lei suona la chitarra, e come la sorella Joan canta con voce limpida, ma nel momento in cui l’immagine rivela la sua presenza, Joan scompare. La bellezza di Mimi è disarmante, lascia senza fiato. Ora che le vedo insieme, una accanto all’altra, cerco tratti comuni che avrei dato per scontati, considerando le origini messicane paterne, così evidenti in Joan. Ma oltre ai lunghi capelli scuri nulla le apparenta: Mimi ha grandi occhi verdi e pelle diafana, lineamenti sottili, delicati. Ricorda Daria Halprin, la protagonista di Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni (tanto per ritornare a quei tempi gloriosi): un genere di bellezza assoluta, senza discussione. Sfumate le immagini di repertorio, Joan le commenta così: “Mimi mi disse che avrebbe voluto fare la cantante, e mi chiese cosa ne pensassi. Fui onesta con lei, risposi che non volevo. Non le piacque sentirselo dire, ma lei ormai aveva deciso…”.

Io invece decido che quei pochi secondi sono l’unica cosa che mi ha catturato, e naturalmente ora la mia attenzione si sposta su Mimi Baez, della quale non so nulla e sulla quale, in oltre un’ora di documentario, la famosa sorella maggiore ha rivelato ben poco. Spengo la televisione e accendo il computer.

Albert Vinicio Baez, messicano, e Joan Bridge, scozzese (ecco da dove viene la pelle diafana…) mettono al mondo tre figlie. Lui è un fisico di grande talento (contribuisce all’invenzione del microscopio a raggi X) e lei insegna Letteratura. La professione di Albert lo porta in giro per il mondo, e la famiglia lo segue in oriente, in Europa e negli Stati Uniti. Pauline, Joan e Mimi crescono seguendo i precetti quaccheri, imparano le lingue e si dilettano con la musica sin da piccole. “Le mie bambine erano belle, tutte e tre. Ma nessuna era come Mimi. Lei era bellissima” dirà un giorno Albert. Questo tratto distintivo della piccola Baez segnerà il rapporto con Joan, maggiore di quattro anni, e alimenterà il suo bisogno di affermazione. La competizione fra le due sorelle non è solo fisica, entrambe sono molto portate per la musica, suonano l’ukulele, il violino e la chitarra. Pauline, la maggiore, si terrà sempre a distanza, mentre Joan e Mimi cominciano a esibirsi in famiglia e davanti agli amici, ma il vero banco di prova è il canto, nel quale Joan eccelle. Mimi è timida, introversa, canta da sola nella sua stanza, prova a scrivere dei testi ma la dislessia di cui è affetta la fa sentire insicura. Intanto Joan sta cominciando a farsi un nome nell’ambiente universitario di Boston, dove i Baez si sono trasferiti. Le capita spesso di esibirsi nei coffee shop della città, tipici luoghi di formazione per futuri cantanti; non è un diversivo, ormai è chiaro cosa voglia fare da grande. L’occasione che confermerà le sue ambizioni si presenta al folk festival di Newport dove Joan, desiderosa di esibirsi di fronte a un vero pubblico, convince un folksinger a invitarla sul palco durante la sua esibizione. Si presenta scalza, vestita di rosso, e colpisce gli spettatori. Da quel momento in poi non si fermerà più. Quella sera Mimi non aveva potuto assistere al trionfo di sua sorella, la mattina seguente doveva andare a scuola, ed era rimasta a casa, a suonare la chitarra seduta sul letto.

Joan Baez

Lasciamo Joan godersi la sua ascesa e seguiamo Mimi a Parigi, dove si è trasferita insieme ai genitori per l’ennesimo incarico lavorativo del padre. Le sorelle grandi, maggiorenni, sono rimaste negli Stati Uniti e la piccola Mimi dovrà adattarsi al nuovo corso della vita senza il loro aiuto. Ma la Parigi dei primi anni Sessanta è il luogo ideale per imparare a vivere: Mimi si iscrive a un corso di danza (altra sua grande passione), continua a suonare la chitarra e conosce nuovi amici. Le capita anche di partecipare a un film sperimentale, tanto che inizia a considerare l’ipotesi di fare l’attrice.

Un giorno di primavera riceve la telefonata di un amico: “Ti va di venire in campagna? Un tipo molto simpatico ha organizzato un picnic, si chiama Richard, è americano come te”. Il tipo molto simpatico è un ragazzo in cerca di definizione: suona, canta, scrive poesie, viaggia, ma non si sa bene cosa faccia esattamente per vivere. La sua biografia evoca risvolti leggendari: espulso dall’università per aver fomentato una sommossa, ha un passato di trafficante d’armi per l’esercito di Fidel Castro, dei trascorsi al seguito dei combattenti dell’Ira con tanto di attentato dinamitardo nei mari d’Irlanda (avrebbe fatto saltare in aria un sottomarino inglese), una placca di metallo nel cranio come risultato delle sue imprese. Ma di cubano Richard Fariña ha solo la metà del suo sangue e di irlandese l’altra metà. I suoi genitori sono infatti americani di prima generazione, proprio come i coniugi Baez. Tutto il resto, tranne l’espulsione dall’università, è frutto della sua immaginazione. Al venticinquenne Fariña piace inventare storie, ne sa qualcosa il suo compagno di studi e sodale Thomas Pynchon (destinato a diventare davvero una leggenda), con il quale Richard condivide un’amicizia speciale (se Richard, all’epoca in cui vagabondava per il mondo, avesse saputo cosa gli riservava il futuro, avrebbe forse smesso di inventare storie sul suo conto, poiché da quel famoso picnic, e per i successivi quattro anni che gli restavano da vivere, tutto ciò che ha scandito i suoi giorni è stato in qualche modo eccezionale, compresa l’amicizia con Pynchon, il più misterioso scrittore dell’avanguardia letteraria americana). L’indole istrionica e sbruffona di Richard non ha nulla di arrogante, in lui prevale una natura mercuriale che lo rende irresistibile, chiunque lo abbia conosciuto lo ricorda come uno che tutti ragazzi avrebbero voluto come amico e tutte le ragazze come fidanzato. “Camminava come se avesse avuto un mantello sulle spalle… Era colto, curioso e pieno di idee”. Mimi se ne innamora all’istante e lui rimane folgorato dalla sua bellezza. Il giorno dopo averla conosciuta le scrive una poesia che comincia e finisce così: Young girl, you chose the amber coil of a wish… I know the tale in your dark body’s.

Sono fatti uno per l’altra, ne sono talmente consapevoli da riuscire a superare tutti gli ostacoli: i diciassette anni di lei e il matrimonio di lui, celebrato due anni prima. Nel giro di pochi mesi Richard lascia la moglie (Carolyn Hester, un’apprezzata cantante folk), ottiene in tempi record il divorzio e si risposa, in gran segreto, con Mimi, a Parigi. Le nozze clandestine rientrano nell’alone romantico che ammanta la coppia, non essendoci veti da parte della famiglia Baez (solo all’inizio, ma poi i genitori hanno ceduto al fascino del futuro genero) che come unica condizione aveva posto il raggiungimento della maggiore età di Mimi e la fine dell’impegno scolastico. In attesa del matrimonio ufficiale, che si sarebbe celebrato l’anno successivo in California, Mimi e Richard dicono sì, soli, di fronte a un funzionario municipale parigino. La prima notte di nozze Mimi la trascorre a casa insieme agli ignari genitori, come una brava figliola ubbidiente.

Bob Dylan

L’unione fra i due segna anche l’esordio di un sodalizio artistico. Spinta dall’entusiasmo del marito, Mimi riprende confidenza con il canto e con la chitarra: il suo riferimento ora è Richard, che scrive i testi delle canzoni e le accompagna con il suono di uno strumento particolare, il dulcimer, una sorta di liuto proveniente dalla tradizione popolare irlandese. Le ballate che comporranno insieme evocano sonorità celtiche con accenni di blues e reminiscenze latino americane. I testi sono poetici, ispirati. “La sorellina di Joan Baez” comincia finalmente a credere di potersi affrancare dall’ingombrante parentela e l’eclettico Richard può dar sfogo alla sua creatività. Joan nel frattempo è diventata una stella di prima grandezza. Accanto a lei, ogni tanto si esibisce sul palco un giovane che si era già fatto notare negli ambienti musicali del Greenwich Village e che grazie alla Baez può contare su un pubblico più vasto. Nelle lettere scritte a Mimi, Joan lo definisce “il mio nuovo ragazzo” mentre i critici musicali commentano i loro concerti: “La regina del folk ha incoronato il suo principe ereditario, Bob Dylan”. Le due coppie si formano dunque in parallelo e la rivalità che prima riguardava le sorelle ora, se possibile, raddoppia.

Il matrimonio ufficiale si celebra a Carmel, in California. Testimoni: Joan Baez e Thomas Pynchon, che Richard è riuscito a stanare dal suo rifugio segreto in Messico (Fariña è uno dei pochi a conoscerne l’indirizzo) dove si è eclissato dopo l’uscita del romanzo I due amici si sono sempre tenuti in contatto, Pynchon è il solo ad aver letto la bozza del romanzo sul quale Richard lavora da anni (e che un giorno che Fariña non vedrà mai, sarà considerato un libro di culto). Pynchon farà il viaggio in pullman per seminare meno tracce possibili e una volta arrivato pone la condizione di non essere fotografato durante la cerimonia (apparirà in uno scatto, con il viso semi nascosto da ridicoli baffi posticci). Nelle altre foto Richard e Mimi non nascondono la loro felicità. Splendenti, come le persone che hanno ricevuto un dono.

Gli sposi si stabiliscono in una piccola casa a due passi dalla residenza in cui vivono Joan e Bob. Chiunque si fosse trovato a passare dalle loro parti avrebbe orecchiato il suono incessante dei tasti battuti sulle rispettive macchine da scrivere o gli accordi degli strumenti, ripetuti all’infinito. Nei momenti di pausa Bob e Richard si concedono un giro in moto o una puntata in spiaggia, con le tavole da surf sotto il braccio (lo so, pare inimmaginabile Bob Dylan surfista, ma gli anni che questi quattro ragazzi hanno condiviso appaiono irreali sotto ogni aspetto). Malgrado lo squilibrio evidente fra le due coppie, Mimi e Richard cominciano a ritagliarsi un piccolo spazio nell’ambiente musicale. La stessa Joan dovrà ammettere che le loro canzoni “erano più belle di quanto immaginassi”, ma se da un lato Mimi si sente appagata, Richard non si accontenta. Il vero sperimentatore è lui, che per primo unirà testi poetici a sonorità rock, eppure non viene considerato come sa di meritare, mentre Dylan… Dylan sale sempre più in alto. Quell’incolmabile divario sarà però illuminato da un momento glorioso che nessuno ricorda, poiché quello stesso giorno accadde qualcosa che segnerà la storia della musica contemporanea. E’ il 25 luglio del 1965 e siamo a Newport dove si svolge il più importante festival di musica folk degli Stati Uniti. Nelle edizioni precedenti, confusi fra settantamila spettatori, Mimi e Richard erano andati ad applaudire Joan e Bob che si esibivano, come sempre, in duo. In un anno molte cose erano cambiate: Joan e Bob non stavano più insieme, Dylan era diventato aggressivo, si comportava male con Joan. Una sera, in un ristorante, l’aveva presa in giro davanti a tutti e Mimi si era avventata su di lui mollandogli un ceffone: “Non azzardarti a trattare mia sorella a quel modo”. Mimi e Richard invece erano più uniti che mai e la loro collaborazione artistica stava cominciando a decollare. La pubblicazione del primo album aveva ottenuto ottime critiche, cosa che gli era valsa un invito per partecipare al festival di Newport.

Bob Dylan Newport, 25.7.1965. La prima esibizione con la chitarra elettrica

E’ la loro grande occasione e i due si preparano all’evento provando per giorni e giorni. Sono nervosi ed eccitati, per la prima volta Bob Dylan e Joan Baez, presenti in cartellone, non si esibiranno insieme. Lo spettro del confronto ora fa meno paura.

Mimi e Richard entrano in scena tenendosi per mano. La luce del crepuscolo, oscurata da nuvole gravide di pioggia, rivela un palco gigantesco. Il compito è arduo, devono catturare l’attenzione di migliaia di persone che bivaccano in attesa delle superstar che arriveranno dopo, ma Richard è carico e Mimi lo segue. Attaccano fiduciosi il primo pezzo ma arrivati a metà cominciano a notare alcuni spettatori che si defilano. Senza perdersi d’animo vanno avanti a suonare, ma il flusso in uscita aumenta e Mimi si fa prendere dal panico. Richard sorride, non molla. Poi capiscono. Sta cominciando a piovere, è questo il motivo della fuga. Nel giro di pochi minuti si scatena un temporale estivo, l’organizzatore si precipita sul palco e chiede loro di smettere di suonare, troppo rischioso per l’impianto. Non hanno nemmeno cominciato e già devono andarsene… Mentre Mimi si allontana rassegnata, Richard afferra il microfono e tenta un disperato colpo di coda: “Ok! Dico a voi!”, rivolgendosi alla folla “adesso alzatevi tutti dalle sedie! Mica potete ballare seduti, giusto? Forza gente! Si balla!”, e attacca il pezzo più ritmico del loro repertorio, Reno, Nevada.

Mimi rientra di corsa e asciugandosi le lacrime si unisce al marito. “Ho alzato gli occhi e il pubblico aveva cominciato a ballare sotto una pioggia scrosciante”, ricorderà Mimi (che da allora dimenticherà il suo cognome e si farà chiamare Fariña). Erano riusciti a trasformare un disastro in una festa, senza rinunciare ai pezzi previsti in scaletta, culminati con l’estemporanea partecipazione di Joan, che commossa si era unita a loro, cantando e ballando. Quel giorno piovoso verrà ricordato negli anni a venire per tutt’altro, chi segue Bob Dylan (ma anche chi non lo segue affatto) sa di cosa parlo: il famoso tradimento ostentato sul palco del più celebre festival folk, con il provocatorio sound elettrico di una Fender Stratocaster, scatenò fischi e proteste, e proprio come le nuvole in cielo, oscurò le esibizioni di tutti gli altri cantanti.

Cinquantasei anni dopo, mentre il mondo intero festeggia il grande Bob ottuagenario, a me fa piacere ricordare il piccolo ma fondamentale trionfo di Richard e Mimi Fariña.

La fortuna sembra girare per il verso giusto. Quello stesso anno, oltre all’uscita dell’album, viene infine pubblicato il romanzo di Richard Fariña Così giù che mi sembra di star su dalla casa editrice Random House. Il protagonista del libro, alter ego dell’autore, si presenta così: “Eccomi, trombone e bugiardo, scarponi che scalpitano, la mente piena di progetti”. Le avventure surreali del bohémien narcisista e donnaiolo Gnossos Pappadopoulis, fra rivolte studentesche e viaggi psichedelici, ricevono il sostegno appassionato di Thomas Pynchon, che scrive una commovente prefazione al libro non prima di aver inviato all’amico Richard una spassosissima lettera, più preziosa di qualsiasi recensione:

“Porca troia. Come suonerebbe ‘porca troia’ sulla copertina del libro? Voglio dire, hai scritto veramente un gran cazzo di libro, da far perdere la testa. Per l’editore tirerò fuori qualche espressione più accettabile, ma per te, pazzo maniaco coloniale, posso solo dire porca troia. ’Sta roba mi ha catturato, risucchiato, roteato e centrifugato il culo al punto che è stato un grande sforzo di volontà persino andare a pisciare. Se vuoi dei paragoni, che sicuramente non vuoi, penso a Rilke. Se vuoi delle critiche mi dispiace, per te non ne ho.” Firmato Pyñchoñ.

Thomas Pynchon anni 1960

Ecco dunque Richard Fariña sulla rampa di lancio. Il libro è appena uscito, e sta per partire il tour delle presentazioni nelle librerie. La prima è prevista il 30 aprile 1966, e quel giorno, coincidenza, è anche il ventunesimo compleanno di Mimi. Ma Richard sembra essersene dimenticato, troppo preso dal suo libro. Per tutta la giornata non le farà gli auguri, e Mimi, sconsolata, ingoia lacrime sotto la doccia mentre l’euforico Richard sceglie il vestito adatto per la presentazione. Giunti alla libreria, Mimi si mette in disparte a osservare l’orgoglioso marito che firma una copia dopo l’altra. E’ presente anche Pauline, la sorella maggiore di Mimi (Joan è in tour), che propone di andare a bere un bicchiere a casa sua. Troveranno un giardino pieno di fiori, palloncini e tavoli imbanditi, e una folla di amici convocati per la festa a sorpresa organizzata da Richard e Pauline per il compleanno di Mimi. “Happy birthday” sussurra Richard abbracciando la sua Mimi. Sembra la scena finale di un film, il trionfo del beautiful loser e della bella moglie applauditi dagli amici. Ora sarebbe davvero bello concludere con il più classico degli happy ending e poterla fermare sul serio quell’immagine di felicità, lasciandoli così come li vediamo, i coniugi Fariña, mentre ci allontaniamo discretamente da quel giardino pieno di sole, perché l’epilogo di quella giornata non sarebbe tollerabile neanche nella finzione di un film.

“Ehi, di chi è quella Harley?” chiede Richard dopo aver notato la moto rossa scintillante parcheggiata accanto al cancello. Willie Hind, il proprietario della Harley Davidson si avvicina. E’ un amico di Pauline, Richard lo conosce a stento. “Andiamo a fare un giro!”

Mimi con Richard

A qualche migliaio di chilometri, Thomas Pynchon sta preparando la valigia in previsione della partenza per la California, dove lo aspetta il suo amico Richard. Sta ascoltando distrattamente un programma radiofonico che trasmette musica rock, interrotto all’improvviso da una notizia flash: “Muore in moto un cantante imparentato con Joan Baez” e gli si gela il sangue.

Non vedendo tornare il marito dal giro in moto, Mimi, accompagnata dalla sorella, aveva deciso di fare un giro di perlustrazione lungo la Carmel Valley Road. A poche miglia da casa erano state costrette a fermarsi per un posto di blocco, Pauline aveva chiesto a un agente cosa fosse successo: “Incidente di moto, quello che guidava si è salvato, l’altro non è stato così fortunato…”.

L’aura che circonda le persone di talento scomparse prematuramente è alimentata dal ricordo di ciò che hanno lasciato, ma quel che brucia, e fa male, è il rimpianto di ciò che avrebbero potuto creare, scrivere, comporre. La nostalgia di un futuro mai conquistato. E’ a questo che si riferiva un noto critico musicale riflettendo sulla morte di Richard: “Se Fariña fosse sopravvissuto all’incidente, avrebbe facilmente surclassato Bob Dylan”.

“Vorrei poterti dire quante cose gli devo, quante cose ho preso da lui, sia a livello personale, sia di scrittura, per meritare la sua amicizia. Se sono riuscito a essere meno chiuso nel mio lavoro, più aperto a me stesso, alle esperienze, lo devo a lui.” scriverà Pynchon a Mimi.

Se pensate che il finale di questa storia sia sufficientemente triste, sedetevi e tenete a portata di mano il fazzoletto, perché c’è dell’altro.

I giorni che seguirono la morte di Richard furono convulsi e incomprensibili, come chiunque di noi può immaginare. Mimi non ebbe la forza di tornare a casa sua e per un po’ rimase ospite dalla sorella. Trascorsa una settimana si fece forza e ci andò, doveva recuperare dei vestiti. Sul tavolo della cucina c’era un mazzo di rose arancioni ormai appassite, e un pacco regalo con dentro un paio di scarpe che un giorno Mimi aveva adocchiato in una vetrina, passeggiando insieme a Richard. Facevano parte della sorpresa di quel giorno meraviglioso e terribile.

Sul biglietto c’era scritto: “Tanti auguri amore mio”.

Articolo di Francesca D’Aloia per il Foglio Quotidiano

Contact Us