L’ESORTAZIONE DI ELSA

L’ESORTAZIONE DI ELSA

Poche, misurate e sagge parole dell’ex ministra del lavoro che richiamano al senso di responsabilità di tutti e alla necessità di guardare al welfare state con uno sguardo lungimirante, operando scelte che non si richiamino all’antagonismo del ‘900, ma al futuro da assicurare alle future generazioni.

Gentile Maurizio Landini,

lei conosce meglio di me la condizione dei giovani nell’Italia di oggi: un tasso di disoccupazione tra i più alti in Europa (29 per cento); nelle età tra i 20 e i 34 anni, uno su tre non studia né lavora; la percentuale di abbandono scolastico è elevatissima, i confronti internazionali sulla preparazione non sono esaltanti e abbiamo una delle più basse quote di laureati. In tutte queste statistiche siamo tra i peggiori in Europa. I nati intorno alla metà del secolo scorso hanno contribuito, con il loro lavoro e i loro sacrifici, a una crescita economica sostenuta, ottenendone un rapido miglioramento della propria condizione di vita; poi la tendenza si è indebolita e oggi risulta addirittura invertita per le generazioni più giovani, spesso costrette a cercare altrove le opportunità che non trovano in patria. Tra il 2008 e il 2020, all’incirca un giovane (25-34 anni) su sedici è ufficialmente emigrato, e non possiamo stupircene: in Italia è maggiore la precarietà del lavoro e quindi le retribuzioni sono discontinue e piuttosto basse mentre l’incidenza della povertà (specie nelle famiglie con bambini) è più elevata che nelle altre classi di età; è quindi difficile formarsi una famiglia, fare piani per avere figli e acquistare una casa.

Elsa Fornero, emozionata durante la presentazione della sua riforma pensionistica (Governo Monti)

Tutti i dati mostrano, in sintesi, divari crescenti tra le generazioni ma a questo quadro devastante la politica sembra solo marginalmente interessata: i giovani sono una minoranza e per giunta votano meno dei loro genitori e nonni. Com’è potuto accadere tutto questo? Come non vedervi il risultato di una progressiva riduzione del lavoro, sia quantitativa con un tasso di occupazione tra i più bassi in Europa, sia qualitativa, con la produttività media che ristagna, anziché crescere? Come non vedere la scarsa connessione dell’occupazione con il grado di istruzione, con il merito e le prospettive di crescita professionale? Certo, sono mancati gli investimenti, soprattutto pubblici (la politica preferisce la spesa corrente); la globalizzazione ha spostato la produzione in aree un tempo assenti dalle catene internazionali del valore; e poi ci sono state la crisi finanziaria, la Grande Recessione, la pandemia; ma perché tutto ciò ha finito per gravare soprattutto sui giovani? E’ per riflettere su questo, segretario Landini, che ho sentito il dovere di scriverle questa lettera aperta. Perché la ritengo persona credibile, coraggiosa, capace di assumersi responsabilità e anche di mobilitare la sua organizzazione per sostenere una strategia di contrasto al declino, incentrata sul lavoro, di giovani, donne e anche lavoratori magari anziani ma ancora in grado, per buona salute, di contribuire al benessere collettivo (oltre che all’aumento della propria pensione) .

Maurizio Landini

Mi dirà: che cos’ha a che fare tutto questo con l’uscita da quota 100 e con la ripresa di un percorso di innalzamento dell’età pensionabile? Rispondo che è impossibile non vedervi il venir meno di un patto economico tra le generazioni che proprio nel sistema previdenziale trova una delle sue maggiori manifestazioni. Non sarebbe responsabile, ora, effettuare nuovamente scelte in tale materia senza tener conto di questa sconfortante situazione. Intanto, è stato un errore l’avere ridotto il sistema di welfare quasi solo al sistema pensionistico utilizzandolo come grande ammortizzatore sociale, in sostituzione di efficaci strumenti contro la disoccupazione (l’ASpI, poi diventata NASpI, strumento che punta sulle politiche attive, è nata nel 2012), soprattutto nei confronti dei lavoratori meno giovani, ai quali non si è mai offerto nulla se non la reiterazione di cassa integrazione, di mobilità e di uscite anticipate dal lavoro. Analogamente, è stato improprio usare il pensionamento anticipato delle donne in sostituzione dei servizi di cura («lasciamo che tornino nelle famiglie»), così condannandole alla povertà se non assistite della «generosità» del marito o da una pensione di reversibilità; o di strumenti di politica industriale per ristrutturare le imprese, soprattutto grandi. Uno sguardo retrospettivo mostra misure che spaziano dalla vera e propria dissennatezza (le baby pensioni) alla miopia (le misure indotte dalla difesa dei «diritti acquisiti» nelle loro numerose varianti), al cedimento a pressioni e influenze di categorie più vicine al sistema politico (con conseguenti privilegi). Il Paese nel suo insieme ha trovato tutte queste decisioni convenienti nel breve periodo, senza riflettere sull’invecchiamento della popolazione; sulla mancata crescita e sul conseguente impoverimento complessivo, senza pensare al debito – anche pensionistico – crescente; senza separare il grano (trattamenti previdenziali sostenibili e compatibili con l’equità, com’è il caso della formula contributiva) dal loglio (scoraggiamento fiscale a proseguire il lavoro e illusione che i pensionamenti anticipati servano ad aumentare l’occupazione dei giovani). Le riforme hanno cercato di contrastare questo circolo vizioso; sono state lente, imperfette (ma tutte le riforme lo sono), soggette a passi all’indietro e a una comunicazione che ha favorito il risentimento anziché la comprensione e la condivisione. E’ su questo che le chiedo di riflettere, come segretario della principale organizzazione sindacale del nostro Paese, che in un passato non vicinissimo ha saputo resistere alla tentazione di una popolarità superficiale e fare scelte apparentemente impopolari (come Luciano Lama con l’accordo sulla «scala mobile» nel 1975). Uscire da quota 100 con una qualche (sempre imperfetta) gradualità e rispettando l’equità che impone di trattare meglio almeno i più sfortunati è possibile. Richiedere un nuovo passo indietro sarebbe ancora una volta una miope scelta di declino.

Lettera aperta di Enza Fornero al segretario CGIL Landini, apparsa sulla Stampa di Torino

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