In questo articolo, scritto da Joseph Ratzinger e riportato sul Foglio Quotidiano, il defunto papa ripercorre alcune pagine delle Confessioni agostiniane, cogliendo la dimensione umana e le contraddizioni del Santo in una dimensione reale, fatta di rinuncia, sofferenza e obbedienza, quanto mai attuali.
La prima conversione è a grandi linee comunemente nota. Secondo la consuetudine di quel tempo, da bambino Agostino non aveva ricevuto il battesimo, ma il sale del catecumenato, ed era stato così accolto provvisoriamente nella Chiesa. Aveva imparato a conoscere e amare Gesù Cristo e lo aveva invocato nelle sue piccole e grandi necessità di bambino. Ci commuove ancora oggi leggere nelle sue Confessioni di come spesso, al mattino, pregasse ardentemente e con insistenza Dio affinché quel giorno gli fossero risparmiate le bastonate a scuola.
Ma poi diviene studente. Incontra l’alta scienza del suo tempo e a confronto di questo grande sapere dell’antichità, la Bibbia gli appare come uno sciocco libro di favole non più degno della sua cultura grande e illuminata. Aderisce prima al razionalismo manicheo e poi a quello scettico-accademico. Ma il suo cuore rimane vuoto. Giunge così a quella lacerazione interiore che infine lo condurrà al giardino della sua conversione, la lacerazione fra il tendere del suo cuore all’eterno e gli ostacoli frapposti dalle passioni e dallo scetticismo accademico.
Ci racconta che un giorno in giardino si allontana dal suo amico Alipio per restare solo con la sua sofferenza, col suo combattimento interiore e con la sua lacerazione. E in quel momento di estrema battaglia interiore, crede di sentire una voce di bambino che gli ripete più volte: “Tolle, lege – prendi, e leggi!”. Riflette se per caso sia qualche filastrocca o gioco di bambini. Ma siccome non gli viene in mente nulla del genere, percepisce che quella voce riguarda lui, che è l’appello a invertire la direzione della sua vita. Si alza, trova la Sacra Scrittura e legge queste parole: “Rivestitevi del Signore Gesù” (Rm 13,14).
E’ la svolta della sua esistenza. Comunque le si vogliano storicamente spiegare, di quelle parole di bambino – “Prendi, e leggi!” – Agostino ha veramente fatto il programma della sua vita. In quel momento ha veramente scoperto la Parola di Dio, e da allora in poi è rimasto ascoltatore della Parola, di continuo facendo sì che la Parola di Dio illuminasse la sua vita e le desse orientamento. In quel momento ha come sperimentato nuovamente sulla sua persona la situazione originaria di Adamo nel giardino dell’eden. E in questa situazione originaria, quella del momento della decisione di Adamo, Agostino ha trovato nella Parola di Dio l’albero della vita che gli ha donato quella vicinanza di Dio, quella comunione con Dio che Adamo invece per dette nel momento in cui volle arrivare a Dio con le proprie forze ed essere uguale a Dio.
Quando il vecchio Agostino scriverà la storia della sua vita, quella canzone di bambino – “Tolle, lege – prendi, e leggi!” – gli avrà forse riportato alla memoria anche le voci dei suoi ministranti che stavano vicino a lui, al vescovo, e dal leggìo proclamavano alla comunità dei fedeli il Vangelo sul quale egli poi avrebbe tenuto l’omelia. Con il racconto di quell’episodio voleva quasi dire ai fedeli: “Nella voce dei ministranti che vi leggono la Parola di Dio risuona anche per voi l’invito di quel bambino: ‘ Tolle, lege – prendi, e leggi!’. Anche voi tutti, infatti, vi trovate nel momento della decisione, nel giardino della decisione; la situazione originaria di Adamo non è risparmiata a nessuno, ognuno deve riviverla, deve nuovamente soffrirla, nuovamente superarla; quella voce di bambino si rivolge a tutti voi e vi dice dov’è l’albero della vita: è nella Parola di Dio”.
Quel giorno Agostino scoprì la Parola di Dio. Se ora riflettiamo su di noi – perché tutto questo vale anche per noi – dovremmo arrossire nell’ammettere quanto vergognosamente poco l’abbiamo scoperta noi.
Quanto tempo e quanta pazienza impieghiamo nella lettura di riviste di secondo o terz’ordine, e Dio solo sa in quali altre cose ancora, e quanto poco ci preoccupiamo della Parola di Dio! Se non ne avessimo mai sentito parlare e se per caso un giorno venissimo a sapere che da qualche parte esiste un libro nel quale viene a noi la Parola di Dio stesso, cosa non faremmo per avere quel libro! Quel libro è in mezzo a noi, eppure non ci interessa, è come se non ci riguardasse.
Questo momento diventi perciò un invito anche per noi: “Tolle, lege!”; un invito a ritrovare anche noi la Parola di Dio come luce dei nostri giorni e come albero della vita. Per Agostino, la scoperta della Parola di Dio fu la decisione della sua vita e insieme la decisione per l’invisibile. Sino a quel momento il visibile, con tutti i suoi mezzi e con tutta la sua potenza, l’aveva talmente dominato da non osare egli il salto verso l’invisibile. In quell’istante capì che è l’invisibile l’autenticamente reale e quello che veramente sostiene. Credo appunto che questa sia la nostra medesima condizione oggi. Nella nostra epoca, la pressione del visibile e dell’udibile è ancora aumentata. Gli urlatori e gli altoparlanti di questo mondo sono divenuti talmente potenti che a stento abbiamo la forza di percepire Dio nel silenzio. E se a volte ci illudiamo di essere diventati più assennati e più saggi perché prendiamo sul serio solo il visibile, dovremmo ammettere che si tratta in realtà di una diminuzione della facoltà visiva del nostro cuore; ammettere che non riusciamo più a guardare al di là, all’invisibile e all’eterno senza il quale il visibile non potrebbe essere e sussistere. Anche per noi questo momento dovrebbe rappresentare un’esortazione a fidarci dell’invisibile, a riconoscere in esso ciò che è autenticamente reale e che veramente sostiene.
Dopo la conversione, Agostino ritornò in Africa con i suoi parenti e amici. Seguirono anni di vita felice in cui costituirono una specie di comunità monastica e incominciarono a nutrirsi pienamente della Parola di Dio, della bellezza, della verità. Solo la verità, l’ascolto della Parola, avrebbe dovuto rappresentare il contenuto della loro vita e la fonte della loro gioia. Ma le cose andarono diversamente e Agostino fu costretto ad abbandonare questa strada. Un giorno, visitando Ippona, la grande città portuale dell’Africa settentrionale, entrò in chiesa e sentì predicare l’anziano vescovo Valerio. Diceva, tra l’altro, di essere vecchio e che, siccome era greco di nascita, trovava molta difficoltà a predicare e già da tempo stava cercando un sacerdote che fosse in grado di aiutarlo. In quello stesso istante nella chiesa si levò un grido tumultuoso: “Sia Agostino il nostro vescovo!”. Lo si afferrò e a nulla servì la sua resistenza fisica, il pianto, il cercare di difendersi: fu trascinato in prima fila e il vescovo Valerio confermò quel desiderio unanime. E così, del tutto contro la sua volontà, Agostino fu ordinato sacerdote.
Abbiamo un documento impressionante di quei giorni, una lettera che poco dopo la sua ordinazione sacerdotale egli scrisse al vescovo Valerio e in cui lo scongiurava di concedergli un periodo di ritiro per prepararsi adeguatamente al ministero sacerdotale. In essa leggiamo: “Mi sento come chi non ha mai imparato a tenere un remo in mano e al quale è improvvisamente assegnato il posto al timone di una grande nave. Per questo, alla mia ordinazione sacerdotale ho pianto in silenzio…”. A noi questo sembra molto strano: un uomo diventa sacerdote contro la sua volontà e piange al momento della sua ordinazione. Ma proprio qui sta la grandezza di Agostino: ha accettato in obbedienza questa nuova svolta della sua vita, dandosi completamente al nuovo compito che gli veniva affidato. Da quel momento, infatti, terminava il silenzio dell’immergersi nella Parola e il silenzio della contemplazione che egli si era scelto come suo destino. Ora, invece, dal primo mattino alla sera gli si dispiegava davanti tutto lo spettro delle necessità umane. Il campanello della sua casa suonava ininterrottamente: doveva rappacificare i litiganti e consolare gli afflitti, doveva cioè semplicemente fare tutto quello che deve fare un sacerdote; e in più, secondo l’ordinamento giuridico del tempo, Agostino aveva giurisdizione in tutte le controversie civili della sua città, in altre parole era colui che doveva confrontarsi con tutta l’umanità dei suoi simili.
C’è un suo scritto che ci permette di comprendere in che modo egli abbia potuto dominare spiritualmente questa situazione completamente nuova. Riflette su quel poema del Cantico dei Cantici in cui lo sposo a tarda notte bussa alla porta della sposa che non vuole aprirgli, dicendo: “Mi sono tolta la veste; come indossarla ancora? Mi sono lavata i piedi; come ancora sporcarli?”. Agostino commenta: “Lo Sposo e sposa stanno per Cristo e la Chiesa, ma che significa che la Chiesa, aprendo la porta a Cristo, si sporca i piedi? Come è possibile che la Chiesa non abbia alcuna voglia di aprire la porta a Cristo?”. Risponde: “La Chiesa che si è ritirata nella tranquillità e non vuole essere disturbata è l’immagine di quei credenti che praticano il cristianesimo solo per se stessi, che vogliono tenere per sé la gioia del gustare la Parola di Dio e non vogliono essere disturbati dallo sporco di questo mondo”.
Ma Cristo non ci dà una pace di questo tipo. Bussa alla porta della nostra vita attraverso tutti quelli che sono alla ricerca, tutti quelli che sbagliano, che sono nel bisogno, e grida: “Aperi mihi et praedica me! Aprimi e predicami!”; Cristo viene a noi, bussa alla nostra porta e ci attende negli uomini con le loro necessità, con la loro normalità e banalità. E’ per Lui che dobbiamo essere sempre e continuamente disposti a sporcarci i piedi con il sudiciume di questo mondo, è per Lui che dobbiamo essere sempre pronti ad abbandonare la gioia del gustare la Parola e l’appagamento per quel che abbiamo e uscire fuori, affinché la Parola del Signore permei anche gli altri.


