Alla salute di Angelina Jolie

25 Apr 2015 | 0 commenti

 

Amazzone

Amazzone

Quando mi tolsero un dente sano, quello del giudizio, perché premeva sugli altri, ne feci una tragedia. Mi sentivo  mutilato e il vuoto che sentivo con la lingua mi sembrava peggio del male temuto. L’episodio mi è venuto in mente  leggendo la storia della doppia mastectomia di Angelina Jolie, la bellissima attrice americana. Fonti mitologiche  affermano che le Amazzoni, esperte donne guerriere, si tagliavano il seno destro per meglio tendere l’arco. Oggi le  donne americane si sottopongono alla chirurgia preventiva non per lanciare frecce, né per sconfigge il male, ma solo  per evitarne uno geneticamente probabile. Anzi, secondo le evidenze della medicina genetica, per alcune di esse, fra  cui la dolce Angelina, che la stampa ci informa essere portatrice sana dei geni Brca 1 e Brca 2, quasi certo. Secondo  osservatori superficiali, il problema della deriva cui è soggetta la chirurgia preventiva sarebbe trascurabile,  interessando, in definitiva, una piccola popolazione di ricchi stravaganti disposti, se potessero e se qualcuno  vendesse,  a comprarsi l’immortalità.

In realtà, il numero delle donne che in America hanno proceduto a pratiche di chirurgia preventiva, è decuplicato nell’ultimo decennio: “solo nel 2006 è cresciuto del 15% il numero delle donne fra i 18 e 39 anni che si sono fatte togliere almeno un seno”, informa una ricercatrice dell’Università del Minnesota in uno studio apparso sul “Journal of Clinical Oncology”. Non una moda passeggera, dunque, ma qualcosa destinata a prendere piede ovunque, come molte delle tendenze americane, quindi anche in Italia. L’hanno capito benissimo le assicurazioni private  in USA che spingono sulle cure preventive, non perché siano diventate paladine della salute degli americani, ma per evitare futuri e più pesanti esborsi o risarcimenti. Vediamo di fare un poco di chiarezza. Intanto, il termine preventivo, per questi tipi di intervento, non mi sembra appropriato, meglio sarebbe usare il termine di chirurgia predittiva. E’ infatti sulla base di una previsione che essa viene motivata, dalle sue stesse vittime consenzienti. Prevenzione in campo medico, per dirlo con semplicità, vuole significare impedire, con un approccio globale e multidisciplinare, l’insorgenza di una malattia o ritardare e minimizzare le sue conseguenze, una volta insorta. Asportare un organo sano è un’altra cosa; possiamo parlare di mutilazione assistita fatta, come dice la splendida Angelina, “sotto l’ombra della paura del cancro”?  Forse esagero e minimizzo il peso opprimente di una malattia latente? Può darsi, ad ogni modo del suo problema Angelina ha voluto farne una cosa pubblica, perché fosse di esempio alle altre madri. Ma è esemplare procedere così, al di là dei costi proibitivi per la generalità delle persone? Poi, lo dico sottovoce, avrebbe fatto bene a tacere: chi è famoso è anche condannato a rimanere coerente alla propria icona: nel suo caso di bellezza perfetta e intangibile. Forse perciò mi sento ora come se mi avessero tolto un altro dente sano.

In generale, sono convinto che l’asportazione di organi sani nella previsione che si ammalino resta un non-senso, anche in un’epoca di perfezionamento dei test genetici e di capacità inusitate nelle indagine diagnostiche. Se si parte dall’assunto che del proprio corpo ognuno fa ciò che vuole, il tema non evoca problematiche etiche, quindi non varrebbe, per i sostenitori di questa tesi, la regola che non tutto ciò che è possibile è moralmente lecito. Senza invocare aspetti controversi, possiamo però certamente richiamare la semplice regola utilitaristica secondo la quale tutto ciò che è possibile non sempre risponde al rapporto costi e benefici, né a stato di necessità, né ad appropriatezza. Faccio tre domande semplici, le prime due alle donne, la terza al medico, perché da solo non saprei rispondere.

Conviene di più mutilarsi nel corpo, per di più in una parte dove si concentra lo specifico femminile, oppure sottoporsi periodicamente a controlli appropriati, in grado di cogliere la malattia al suo esordio con altissima probabilità di debellarla, di più della chirurgia stessa?

Conviene rispettare il nostro corpo, avendone una matura consapevolezza, senza agire emotivamente sotto lo spettro della paura e finire di violentarlo, con quel danno psicologico irreversibile che molte donne descrivono?

Conviene (è lecito) veramente sottoporre a pratiche mediche o chirurgiche di controversa appropriatezza un paziente sano, asportando un organo nella previsione che dovrà/potrà ammalarsi?

Si pongono, in definitiva, due problemi fra di loro correlati: quale sia la vera natura della prevenzione in campo sanitario e quali siano i limiti delle pratiche c.d.prevenzionali.  Spingersi a intervenire su un organo sano e rimuoverlo traumaticamente sulla base di evidenze statistiche o predisposizioni genetiche, a mio giudizio, non è prevenzione. Viceversa, il forte contenuto prevenzionale che la medicina e le pratiche di educazione alla salute oggi sono in grado di mettere in campo trovano modo di esprimersi in pieno specialmente nelle malattie croniche, quelle che causano il maggior numero di decessi e costituiscono un forte esborso economico per il SSN, come infarti, obesità, diabete, malattie respiratorie, tumori.

Ancora una volta, a ben vedere, ciò di cui stiamo discutendo è attorno al confine che esiste fra salute e malattia, che sappiamo essere molto labile e precario, secondo il concetto dinamico ed evolutivo che abbiamo codificato essere la salute, confine che anche l’operatore sanitario deve conoscere e rispettare.

Se avessi vicino la incantevole Angelina, mi limiterei perciò a ripeterle le parole di Wittgenstein: “Non è affatto chiaro quale problema concernente la vita pensiamo di risolvere, se immaginiamo che si prolunghi per sempre.” Forse non c’entrano niente, ma aiutano a ragionare e a dare il giusto peso alle cose della vita, anche per chi come lei, qualcosa che assomiglia all’eternità se l’è già guadagnata.

16.5.2013

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