Amazzonia mon amour: la scommessa di viaggiare andando incontro a un’umanità che nella foresta vive e resiste

Varcare i confini della foresta amazzonica, fino alle sue profondità più nascoste e pericolose, è un privilegio riservato a pochi. Servono coraggio, i giusti contatti, un pizzico di sana follia per entrare nel cuore di quel rumoroso silenzio chiamato «il polmone della Terra», dove ancora vivono tribù incontattate, che nulla vogliono sapere della modernità, e animali che nessun biologo ha finora etichettato. Lo scrittore Angelo Ferracuti e il fotografo Giovanni Marrozzini, con il libro-reportage Viaggio sul fiume mondo. Amazzonia (Mondadori), prendono per mano il lettore o lo spingono fino a quell’ultima frontiera.

Giovanni Marozzini

Ferracuti scrive come un giornalista d’altri tempi, fedele al motto del leggendario reporter polacco Ryszard Kapuscinski — «solo in viaggio un reporter si sente sé stesso a casa propria» — con un’attenzione al dettaglio quasi maniacale. Fin dalla partenza della sua avventura, fra le palafitte della Colônia Antônio Aleixo, il quartiere degli emarginati di Manaus, capitale dello stato brasiliano di Amazonas, si entra in un mondo altro, con le bambine che si vendono in strada «a uomini di tutte le età» per una manciata di reais e ragazzini che girano armati di piccoli fucili a canne mozze. Storie di disperazione e di violenza, ma anche di convivialità e di speranza, che si susseguono lungo tutta la navigazione che porterà gli autori lungo il Rio Negro fino alla Colombia del narcotraffico e della guerriglia, l’Eln che proprio in questi giorni ha avviato i negoziati di pace con il governo di Gustavo Petro.

Angelo Ferracuti

Protagonista indiscussa del racconto, anche se spesso rimane sullo sfondo, è Amalassunta, «figura onirica e fantastica»: una vecchia nave di diciassette metri, robusta e spartana, che Ferracuti e Marrozzini acquistano — e a più riprese sono costretti a riparare — per realizzare la «magnifica ossessione»: risalire il Rio Negro fino al Parco nazionale de Anavilhanas, per poi proseguire fino alle sorgenti del Rio Vaupés, sfidando pirati e malviventi, anaconde e ragni velenosi, e ogni genere di predatore dell’Amazzonia.

Il filo rosso che lega le varie tappe lungo il fiume, tra villaggi di pescatori e comunità indigene, è nell’abnegazione di chi ha scelto di stare con gli ultimi, nell’ultimo avamposto di quella che chiamiamo civiltà. Perlopiù preti missionari, come don Cetti della diocesi di São Gabriel o padre Jaime sulla temibile «triplice fronNon tiera» fra Colombia, Brasile e Venezuela. Il lettore però incontra anche Darly la sciamana e Ranusia, la traduttrice femminista; Joaquim, storico e marxista che gestisce la libreria di antropologia più fornita di tutta l’America latina, e il capitano Caboco, tracagnotto e ribelle, sempre pronto ad ammutinarsi per qualche spicciolo in più. Poi ci sono, ovviamente, tanti nativi, che lottano per proteggere la foresta vergine e per la demarcazione delle proprie terre. E l’onnipresente umidità, «l’amante tiranna» dei Paesi amazzonici: «È un fiato caldo che imperla la fronte e il petto, ti fa perdere lucidità, disorienta, t’insegue mentre cammini veloce per le strade della città», scrive Ferracuti.

La questione ecologica Si vota il 2 ottobre ma gli elettori brasiliani sono più preoccupati della crisi economica post-Covid

manca, tra le righe, il commento alla situazione politica del Brasile, Paese dove tra poco più di un mese, il 2 ottobre, si svolgeranno le elezioni presidenziali. Ferracuti non lesina critiche all’attuale leader di estrema destra, Jair Bolsonaro, che nel 2018 vinse «grazie soprattutto alle false promesse e alla liberalizzazione della vendita di armi» e che in questi anni ha spalancato le porte dell’Amazzonia alla potente lobby dell’agro-businness e agli speculatori. Oggi è in corsa per la riconferma. Impresa difficile: nei sondaggi, è saldamente in testa il suo eterno rivale Luiz Inácio Lula da Silva, ex presidente e storico leader del Partito dei lavoratori (Pt). Neppure lui a suo tempo aveva brillato nella difesa dei diritti degli indigeni; ora promette di farsene paladino, anche se i sindaci del Pt danno luce verde ai mineros. Ma l’Amazzonia non è purtroppo in cima ai pensieri degli elettori brasiliani, più preoccupati della crisi economica post-Covid e dell’inflazione.

Il reportage della navigazione sul Rio Negro è inframmezzato dal racconto degli altri viaggi compiuti dai due autori: nell’Amazzonia peruviana, intorno a Iquitos, dove si pesca «pesce con il petrolio nello stomaco», o nella terra brasiliana degli Yanomami, devastata dalla corsa all’oro, o ancora nel Chaco boliviano dove fu ucciso Che Guevara e quindi nacque il suo mito.

Degna conclusione del racconto. Alla fine del viaggio, la nave Amalassunta è stata donata all’associazione Piccolo Nazareno ed è diventata una scuola galleggiante e una biblioteca che porta i libri nei villaggi lungo il fiume vicino a Manaus.

Sara Gandolfi, Corriere della Sera