Palazzo Strozzi, Firenze, “Olafur Eliasson – Nel tuo tempo”, la più grande mostra mai dedicata in Italia al 55enne artista danese (da giovedì 22 settembre al 22 gennaio 2023). Nulla di esoterico o cervellotico nella sue opere, ma un invito a mettersi in gioco.

La Natura è “non indifferente”, lo già aveva scoperto il grande Ejzenštejn, seguendo i suoi labirinti di lenti e focali e fughe prospettiche o musicali, fino a riuscire a vedere i colori laddove c’era soltanto bianco e nero. Aveva intuito che gli umani ne fanno parte, della Natura, anzi ne facevano parte prima di separarsi dal resto di ciò che vive, dallo spazio e dal tempo che non siamo noi, noi da soli, a misurare. “Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra?”, dice la Natura, indifferente, nel Dialogo della Natura e di un Islandese. “Se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei”.

Olafur Eliasson

Chissà se Olafur Eliasson, che è islandese d’origine, anche se danese di nascita e ora berlinese per attività artistica (lì c’è il suo Studio: molto più che una factory o un’antica bottega) conosce le Operette morali dell’italiano filosofo Leopardi, e quella sua convinzione che invece la Natura sia indifferente alla vita degli essere umani, incomprensibile e inconciliabile. Non lo sappiamo, ma sarebbe un confronto perfetto.

Olafur Eliasson, artistar di prima grandezza nel panorama contemporaneo – portato in palmo da critici e da pubblici permeabili a un sentimento dell’arte meno soggettivo, meno personalistico che nel passato e più aperto alle contaminazioni – è un un artista totalmente immerso nel futuro e con i piedi ben saldi nel presente. Ma alla Natura, al tempo e allo spazio intorno a noi, pone in fondo le stesse domande di un umanista dei secoli passati come Leopardi. Cambiando però la prospettiva: siamo noi, gli umani, a essere indifferenti alla Natura, a ignorare una pluralità di fenomeni e di percezioni sensoriali che invece dobbiamo tornare a intendere. L’arte è come una terapia di risveglio, un viaggio che inizia, l’uscita da un luogo angusto in cui (da secoli? da millenni?) abitiamo.

Olafur Eliasson a Firenze – Palazzo Strozzi – Opening del 21 Settembre Ph F. Cascino

“Dapprima non sentiamo, siamo insensibili, neutralizzati”, scrive Eliasson. “Poi, all’improvviso, sentiamo qualcosa, ma si tratta dell’assenza di qualcosa della cui mancanza non potevamo essere assolutamente a conoscenza”. Ecco, il senso del suo lavoro si racchiude in questa mossa, che ci fa perdere gli equilibri consueti per ritrovarne di nuovi, forse migliori: “L’arte è capace di rendere esplicito ciò che è invisibile e assimilato all’ambiente naturale”. La sua creazione più iconica, che ha coinvolto due milioni di spettatori, è stata The weather project alla Tate Modern di Londra nel 2003. Una istallazione grandiosa – Eliasson ama i grandi spazi – che riproduceva il sole, la percezione estetica che abbiamo del sole: la simulazione sensoriale di un sole con i colori del tramonto, appena velato di nebbia. Il pubblico ci si sdraiava sotto, sul pavimento della Tate: sotto a quel sole non vero, eppure così evocativo del vero.

Olafur Eliasson, “Beauty” (1993), foto di Ela Bialkowska Okno studio.

A Palazzo Strozzi di Firenze il muro di una piccola stanza ospita ora un semicerchio di luce del colore del sole al tramonto, proiettato da uno specchio a sua volta illuminato da un faretto con un filtro colorato. Si intitola Red window semicircle, è una istallazione del 2008 e una citazione, in scala, di The weather project. Nuovo e vecchio, soprattutto nuovo (sono molte le opere site-specific presentate), si mescolano in una affascinante, interrogante, piacevolmente destabilizzante mostra.

Non una semplice retrospettiva, del resto difficile anche solo da concepire per un artista così poliedrico e interessato a interagire nell’istante con il pubblico, più che a lasciarsi alle spalle un catalogo. Si tratta infatti, a tutti gli effetti, di un evento, di una sfida.

Olafur Eliasson è venuto qui, a Firenze, nel cuore del Rinascimento, nel palazzo in assoluto più bello ed esplicativo del Rinascimento fiorentino, per mettersi in gioco. E far giocare anche Strozzi. Per provare a sfidare quella staticità, tetragona come il bugnato di pietra forte fiorentina, le simmetrie ortogonali e gli spazi razionalmente definiti del palazzo: in una parola, quel suo essere costruito attorno allo sguardo e alla misura dell’uomo rinascimentale.

“La mostra ‘Nel tuo tempo’ vuole essere un viaggio attraverso il ‘nostro’ tempo, il tempo del luogo cui si vuole dar voce”, scrive Arturo Galansino, direttore generale della Fondazione Palazzo Strozzi e curatore della mostra. Una preparazione, ci spiega, che ha richiesto un tempo lungo e un vero e proprio calarsi nel luogo e nei possibili esiti della ricerca. “

Nel 2015 Olafur visitò per la prima volta gli spazi di Palazzo Strozzi”, racconta Galansino, “e rimase colpito dall’architettura rinascimentale, cominciando così una lunga conversazione tra lui e il palazzo quattrocentesco, un dialogo complesso il cui senso si riassume nella esposizione odierna”. Sono quasi otto anni che Eliasson ragiona su Palazzo Strozzi, e quasi altrettanti è durata la preparazione, a stretto contatto con Galansino, il team di Strozzi e lo studio multispecialistico dell’artista. Di mezzo si è messa la pandemia, che ha ritardato e mutato il progetto. Tanto che oggi Eliasson può dire: “Palazzo Strozzi è co-produttore della mostra stessa”. La mostra, insiste, “è un incontro tra opere d’arte, visitatori e Palazzo Strozzi. Questo straordinario edificio rinascimentale ha viaggiato attraverso i secoli per accoglierci qui, ora, nel Ventunesimo secolo, non come semplice contenitore ma come co-produttore della mostra. Non è solo Palazzo Strozzi ad aver viaggiato nel tempo. Come visitatore, ognuno di noi ha vissuto, con una relazione tra corpo e mente sempre diversa in modo individuale. Ognuno con le proprie esperienze e storie ci incontriamo nel qui e ora di questa mostra”. Così non è il luogo a condurre la danza, a imporsi. Invece, insistono l’artista e il curatore, conta l’interazione con lo spazio, il tempo della visita (“Nel tuo tempo”) e gli elementi in cui ci si immerge: la luce, l’aria, l’acqua, le rifrazioni dei colori che quasi, stanza dopo stanza, smaterializzano le possenti geometrie dei muri, delle bifore trasformate in schermi che proiettano ombre e non sono più semplici lasciapassare della luce naturale.

“Palazzo Strozzi diventa una camera ottica”, commenta Galansino illustrando questa mostra fatta per la maggior parte di oggetti immateriali: “Eliasson ha ideato un progetto delicato e sofisticato che sottolinea elementi e dettagli del luogo in cui siamo, restituendone a noi coscienza, generando in noi emozione”. E anche noi, viaggiatori di questo percorso inconsueto, poco simile ad altre mostre di arte contemporanea, siamo costretti a porci delle domande, perché anche lo spazio si fa “non indifferente”. Diventa un’idea di spazio mobile, moiré, modificato nella percezione dall’uso frequente – una passione di Eliasson – di lampade gialle monofrequenza, che limitano la percezione dello spettro dei colori naturali.

“Nel tuo tempo” è una di quelle non frequenti mostre di arte contemporanea nelle quali si può entrare senza manuali e istruzioni per l’uso. Hanno un che di giocoso, le opere e le istallazioni, come un invito a goderne gli effetti, prima di interrogarsi. Ma qualche cosa sull’autore vale la pena saperla. Barba e capelli lunghi, l’aria da scienziato ambientale o da architetto (lo è, del resto) abituato al lavoro di team, a progettare prima di creare, Olafur Eliasson è nato a Copenaghen, da tempo si divide tra la Danimarca e Berlino, padrone di tutti i mezzi espressivi, scultura e pittura, fotografia e video, media digitali (in mostra nella Strozzina le sue più recenti opere di realtà virtuale, Your view matter). Ascoltandolo, pare più un esperto di ambiente, di interazioni psichiche e fisiche. Ma la caratteristica per cui è maggiormente noto e apprezzato – anche se non è una pop-artistar, è più presente in musei pubblici che nel collezionismo privato – è la volontà di coinvolgere il pubblico con progetti architettonici, interventi negli spazi pubblici, riformulazioni spaziali. Percezione, movimento, comunità. E una costante ricerca sulla sostenibilità, la vita del pianeta. Per uno dei suoi più celebri progetti, Life alla Fondation Beyeler di Riehen (Basilea) lo scorso anno ha inondato metà del museo con acqua tinta di verde, rimuovendo le finestre in modo da far tracimare all’interno l’acqua dell’adiacente laghetto. E l’acqua è evocata anche a Firenze, con la riproposizione dell’istallazione Beauty (1993), una suggestiva stanza buia che immerge nell’umidità e negli odori di una foresta ancestrale, dove una pioggia di vapore acqueo si trasforma nei colori di un arcobaleno illuminato da un faretto. L’arcobaleno che si crea cambia a seconda della posizione di chi l’osserva: nessun visitatore vedrà lo stesso arcobaleno, ognuno è co-produttore dell’opera. “L’arte serve a raccontare una storia senza dover fare distinzioni nette tra organismo e macchine”, scrive nel lungo saggio, pieno di schizzi a matita, nel catalogo della mostra (Marsilio Arte), significativamente intitolato “Percepito, esperito, vissuto!”. Artista-scienziato come i maestri rinascimentali, Eliasson è però il contrario dell’artista novecentesco.

Il suo Studio berlinese riunisce decine di artigiani, architetti, archivisti, ricercatori, amministratori, cuochi, storici dell’arte, tecnici specializzati. Ogni progetto è collettivo, “nel corso degli anni ho tratto ispirazione da un gran numero di pensatori, ricercatori, scienziati: filosofi, antropologi, geografi culturali, biologi, botanici”.

Ma non c’è nulla di esoterico, di cervellotico, nelle sue opere. Sono un invito a mettersi in gioco. Già dal titolo della mostra, che ha voluto fosse in italiano: per poter sfruttare la magnifica ambivalenza in italiano della parola “tempo”, che altre lingue non hanno, e che indica tanto il flusso cronologico che il tempo meteorologico. In entrambi i significati, “tempo” è per noi spesso una fonte d’angoscia, di instabilità. Qui invece si entra nello straordinario cortile, e inizia il gioco. Sopra le vostre teste, un telaio in acciaio ellittico (11 metri per 8) tende un tessuto stampato in strisce in polipropilene illuminato da luci monofrequenza. Si chiama Under the weather (2022), ed è la sola volta che il tempo inteso come clima viene evocato: l’istallazione è realizzata ricorrendo all’effetto moiré, il fenomeno ottico che si crea quando due griglie di materiali sovrapposti creano uno sfarfallio o un’interferenza visiva. Vi sembrerà di correre sotto le nuvole, anche se siete fermi. Vi sembrerà di perdere la sicurezza dello spazio, in quel luogo così solido, logico. Poi, nelle stanze del piano nobile, le finestre diventano proiettori di scatole magiche e ombre cinesi, come in Triple seeing survey (2022); un arco semicircolare montato su uno specchio sul soffitto ribalta e destabilizza lo spazio di How do we live togheter (2019), bisogna provare a entrarci con molte persone. Fino ai giochi ottici, leonardeschi, di Firefly double polyhedron sphere experiment (2020), un grande poliedro di vetri colorati verdi, arancioni, gialli, ciano e rosa che indaga i temi della geometria e della luce. Room for one colour (1997) è uno spazio totalmente vuoto dove l’opera d’arte la creano le percezioni alterate dei visitatori inondati di luce monofrequenza.

Così di stanza in stanza, in un gioco che costringe a modificare le nostre percezioni consuete. “Siamo stati a lungo condizionati dalla storia che noi siamo l’umanità. Nel frattempo abbiamo iniziato ad allontanarci dall’organismo di cui facciamo parte”, scrive Eliasson, e qui sta il nocciolo che rende tanto attuale (e tanto applaudita) la sua visione: quel sottile anti-umanesimo, quel rifiuto della centralità umana, nel nome di un nuovo perdersi, mescolarsi alla natura, ad altre storie e culture. “Ci sono centinaia di narrazioni di popoli viventi, che raccontano storie, cantano, viaggiano e ci insegnano più di quanto non faccia questa umanità”, dice.

Olafur Eliasson è venuto a Firenze per una sfida a ciò che conosciamo, per indicare, in un luogo emblematico come Palazzo Strozzi l’avvento di una nuova èra. La natura non è indifferente e non siamo più al centro, ma stiamo bene così.

Maurizio Crippa, Il Foglio Quotidiano