Banche e politica, affaristi mercantili e finanzieri d’assalto, rendite elettorali da salvaguardare, gli amici del quartierino allettati da bocconi agognati da decenni. Tutto ciò configura un gigantesco tentativo di rovesciare rendite di posizione, assaltare i punti chiave del sistema che ha regolato per decenni il potere dei soldi in Italia. E la stampa, salvo poche eccezione, come questo articolo, sta alla finestra, o tace, o finge di non capire e vedere.
In finanza non ci sono buoni e cattivi. Difficile e inutile, dunque, schierarsi come fan tra i tifosi dell’uno o dell’altro fronte che si stanno combattendo in questi mesi nell’ultima guerra per banche. Unicredit, Mediobanca, Montepaschi, Bpm… Impossibile però non rendersi conto che quello che sta avvenendo, al di là delle tecnicalities bancarie, di Ops e Abb, di scalate e “concerti”, è un gigantesco tentativo di ridisegnare i rapporti di potere politico-finanziari in Italia. Sono soprattutto due le operazioni in corso.
Nella prima, Unicredit prova a conquistare Banco Bpm per fare una banca più grande e più solida. Ieri ha avuto il via libera della Dg Comp della Commissione europea. Ma il governo italiano – che dovrebbe dettare le regole uguali per tutti, non giocare per una squadra in campo – la sta bloccando, sfoderando l’arma fine di mondo della Golden share: la fusione Unicredit-bpm non s’ha da fare. Il ministro Giorgetti considera Bpm ancora la banca della Lega (ricordate Credieuronord?) e la vuole libera e bella, ma soprattutto disponibile e controllabile, anche se una integrazione con Unicredit avrebbe senso di mercato e creerebbe valore per entrambe.

Curioso, il cartellino giallo della Golden share esibito dal governo in nome della “sicurezza nazionale”, per “non far andare all’estero il risparmio degli italiani”. Mai fatto prima. Oltretutto per una banca italiana e per un’operazione Italia su Italia.
La seconda operazione è perfino più incredibile. Un uomo potentissimo a Roma ma non ancora al Nord, Francesco Gaetano Caltagirone, si è lanciato alla conquista del boccone più prezioso della finanza italiana, Assicurazioni Generali. In alleanza con i quasi-francesi di Delfin (famiglia Del Vecchio), assedia da anni Mediobanca e Generali. Poiché l’europa gli ha spiegato che per controllare un istituto finanziario ci vuole un istituto finanziario, ha conquistato il controllo di fatto di una banca, Montepaschi, che doveva tornare sul mercato dopo il salvataggio del governo. Come ha fatto? Con un giochetto apparecchiato dal governo Meloni che ha incaricato dell’operazione la piccola Banca Akros: questa ha lasciato fuori dalla porta Unicredit, che voleva il 10% della banca di Siena, e ha assegnato in famiglia il 15% a quattro amici al bar di Calta: Delfin (3,5%), Bpm (5%), Anima (3%) e lo stesso Caltagirone (3,5%). A questo punto ecco Montepaschi pronta a lanciare l’assalto a Mediobanca, per poi conquistare anche il boccone grosso, Generali. Se questa operazione è “concerto”, se è stato commesso il reato di aggiotaggio, o ostacolo alla vigilanza, o manipolazione del mercato, lo verificherà la Procura di Milano e lo decideranno i giudici (obbligati dai fatti a entrare in partita: non si osi parlare come al solito di “ingerenza”). Ma fin da ora è chiaro che, reati o non reati, è in corso una manovra di potere che piega il mercato – elogiato in verità da tutti solo quando conviene – e impone invece le decisioni della politica. Ne sanno qualcosa Gaetano Caputi e Marcello Sala, che hanno gestito i dossier per conto del governo. In nome di una “italianità delle banche” a doppio standard. Siamo ancora lì, all’“italianità delle banche”, come ai tempi dei Furbetti del quartierino, quelli di Fiorani che dava il bacio in fronte al governatore Fazio, quelli di Ricucci che voleva assaltare il Corrierone, quelli di Fassino che chiedeva: “Abbiamo una banca?”. Oggi a chiederlo è Giorgia. Ma questa volta lo schieramento mediatico apparecchiato per l’operazione Meloni Generali è imponente, con tutti i fogli di Caltagirone e di Angelucci a testate unificate. E con il più simpatico (e impudente) di tutti, Luigi Bisignani, che descrive l’assalto come “il Palio del potere finanziario tra le contrade incappucciate di Parigi contro quelle di Siena”, proprio lui che è un esperto del ramo.
Articolo di Gianni Barbacetto per Il Fatto Quotidiano