“Buttare la guerra fuori dalla storia”. Utopia?, si chiede Gino Strada in un passo del suo ultimo libro, uscito postumo, essendo il fondatore di Emergency deceduto nell’agosto del 2021. Si tratta di una raccolta di scritti occasionali, dal titolo Una persona alla volta, curata della moglie Simonetta Gola, per Feltrinelli.

“Non un’autobiografia, un genere che proprio non fa per me, ma quello che ho capito guardando il mondo dopo tutti questi anni in giro”, scrive in premessa Gino Strada.
Il libro è diviso in due parti: la prima intitolata Cessate il fuoco, la seconda Il diritto alla salute, con postfazione della Gola e, in appendice, il Manifesto per una medicina basata sui diritti umani, approvato in Venezia nel seminario internazionale Costruire medici in Africa del 2008.
Sfida professionale e vocazione umanitaria convergono in un coerente impegno, durato tutta la vita e interrotto solo dalla morte.
Come Strada ricorda era nato in “un buon posto dove diventare grandi”, Sesto San Giovanni, la “Stalingrado d’Italia”, hinterland milanese dove la concentrazione industriale del primo dopoguerra e la forte presenza sindacale, faceva crescere una classe operaia dignitosa, agguerrita e solidale.

Diventa “un animale chirurgico” grazie al professore Vittorio Staudacher che lo manda in America, università di Pittsburgh e Stanford, dove gli offrono un contratto stabile, ma Gino rifiuta e, tornato in Italia, si candida, per curiosità e voglia di un contesto diverso, per la Cooperazione italiana. Lo chiama la Croce rossa internazionale di Ginevra e accetta di andare in Pakistan, il primo di una serie ininterrotta di missioni all’estero, in Etiopia, Thailandia, Perù, Somaglia, Bosnia, Cambogia, ecc.
Nel frattempo, siamo nel 1994, fonda la sua Emergency, inizialmente focalizzata sulla chirurgia di guerra, poi fondatrice, organizzatrice e conduttrice di ospedali con diverse specialità. Tutto ciò con l’aiuto di pochi amici fidati e senza un soldo. “Utopia non è il nome dell’assurdo, è il nome di desideri, idee, progetti che possono diventare realtà”.
Fra gli esempi più belli, Strada ricorda il centro chirurgico pediatrico in Uganda, in cui bello e buono coincidono armoniosamente, come nella visione degli antichi filosofi greci. Progettato gratis da Renzo Piano, sul lago Vittoria, a 1200 metri di altitudine, muri in terra rossa, finestre spalancate sul lago, un giardino con alberi di jacaranda, pannelli solari, esso venne realizzato grazie ai fondi messi a disposizione da Paola Coin.

Di seguito pubblico alcuni stralci del libro, quelli dove il dato biografico e lo sguardo critico di Gino Strada hanno una dimensione esplicitamente politica, spostandosi dal piano più direttamente sanitario per abbracciare l’eterno problema delle ingiustizie del mondo e della violenza della guerra, tema quest’ultimo di cruciale attualità.
La guerra com’è (a proposito delle mine giocattolo)
“Nessun soldato specie in zona di guerra, raccoglierebbe da terra un oggetto di plastica verde che pare un giocattolo. Saprebbe riconoscere la mina antiuomo, la marca il modello e la potenza. Un bambino, invece può essere attratto da una specie di farfallone di dieci centimetri, e lo prende in mano, lo guarda, cerca di capire a cosa serva, lo maneggia… La farfalla non scoppia, o almeno non subito: c’è tempo per giocarci, magari per passarla a un amico lì vicino…. In tanti anni di chirurgia non ho visto un solo adulto mutilato da una di quella mine, tecnicamente PFM-1 di fabbricazione sovietica. Ho operato solo bambini e qualche ragazzino: chi ha perso una mano e che tutte e due e chi ha perso un occhio o entrambi. Armi per colpire bambini. Pensate, progettate, costruite per loro. Usate per loro, intenzionalmente”.
La scoperta della vittime (Afghanistan)
“In un periodo di relativa calma, raccolsi i dati. Dei 12 mila feriti registrati in quell’ospedale, il 34 per cento erano bambini, il 26 per cento anziani, il 16 per cento donne: oltre tre quarti di loro non avevano preso parte alle ostilità. I combattenti rappresentavano appena il 7 per cento del totale”
A proposito della nascita di Emergency
“L’idea di fondo era semplice: mettere su una piccola organizzazione capace di curare i feriti di guerra anche in condizioni di emergenza… Per anni avevo visto feriti di guerra ammassati in pick-up o distesi su camion colorati pieni di sonagli, trasportati da muli o da cammelli. Sangue incrostato sui vestiti carichi di polvere, facce disperate sfinite dal dolore, ragazzi senza un lamento, senza rabbia né pianto, la vita in un attimo era stata stravolta dalla guerra. Feriti che sarebbero morti per assenza di cure, di medici, di ospedali”
Afghanistan 2001
“..Il giusto non è nient’altro che l’utile del più forte… in molti anni passati n Afghanistan ho visto vittime sempre uguali di guerre diverse: prima nella Kabul dei combattimenti tra il governo di Najibullah e i mujaheddin, poi fra mujaheddin di Massoud e quelli di Hekmatyar; poi tra i mujaheddin e i talebani e le forze internazionali. Verrà anche il momento della guerra di tuti contro tutti.” .. Gli Stati Uniti stavano attaccando l’Afghanistan perché aveva offerto ospitalità e supporto alla guerra santa di Osama bin Laden. Ma la “guerra al terrorismo” ero solo il nome con cui cercavano di rendere accettabile la loro decisione di eleminare il governo talebano. Co i talebani avevano trattato per almeno due anni per trovare un accordo: riconoscimento formale e aiuti in cambio del controllo sui futuri oleodotti e gasdotti dall’Asia Centrale al Mare Arabico, attraverso il Pakistan. Evidentemente le cose non erano andate secondo i piani”.
Afghanistan 2010: curare tutti.
.”.. qualunque cosa accada devi sempre ricordarti che non è la tua guerra. Non puoi permetterti di schierarti, neanche quando vedi le cose peggiori, perché le tue possibilità diminuirebbero drasticamente e altrettanto drasticamente aumenterebbero i rischi. C’è per me una motivazione personale nell’essere neutrale, un ribrezzo per le conseguenze della guerra-sofferenze e morti e feriti- che mi ha sempre impedito di parteggiare per uno qualsiasi dei contendenti”.
Afghanistan 2021. il disastro
“La missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (Unama) ha registrato almeno 28.866 bambini morti o feriti dal 2009, dta in cui è iniziata la raccolta dati. E sono numeri certamente sottostimati. Per avere un’idea più concreta di che cosa vuole dire, basta pensare che, al 2001 a oggi, negli ospedali di Emergency abbiamo fatto circa 155.000 interventi di chirurgia di guerra…. La guerra ha prodotto cinque milioni di sfollati tra interni e richiedenti asilo; chi può cerca di scappare, anche se sa che dovrà patire l’inferno per arrivare in Europa perchè verrà picchiato, derubato, respinto…” Decine di migliaia di ragazzi […] non hanno mai visto ungiorno di pace in tutta la loro vita. Molti di loro hanno vissuto pensansdo di non avere altra scelta che uccidere o essere uccisi. Mi chiedo se riusciranno mai a pensare che la vita umana ha più valore di qualsiasi altra cosa. Io riuscirei? Non ne sono sicuro”
La guerra non funziona
“Dopo tutti questi anni di guerra, la sola realtà, la sola verità, inoppugnabile è che quello strumento, quella scelta, ancora una volta non ha funzionato. Non c’è bisogno di avere principi etici intransigenti, né visioni politiche specifiche, per capire che la guerra come strumento non funziona. Basta un minimo di intelligenza, basta guardare le cose in modo obiettivo, senza pregiudizi. Chi ricorda “la guerra per finire tutte le guerre” del presidente americano Thomas Woodrow Wilson? Era il 1916. La guerra, anche quella che si invoca o si fa per porre fine ad altra atrocità, “per far finire tutte le guerre”, non può funzionare perché è di per sé antitetica alle ragioni che la sostengono: la guerra è la negazione di ogni diritto”.
In copertina Gino Strada. A Pontedera (Pisa) gli hanno inaugurato una piazza
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