CAPODANNO DA GIUSEPPI

31 Dic 2020 | 0 commenti

Nella conversazione di Conte con il paese e i giornalisti si ritrova la solita commedia. Il tribuno dell’eloquio ha fatto la sua parte con il suo stile: sa di essere uno qualunque, e che in quello è la sua forza a suo modo virtuosa

Conte a Capodanno, che delizia. L’ho ascoltato per venti dei diecimila minuti di conversazione castro-andreottiana con il paese e i giornalisti, e quando qualcosa era “all’attenzione del governo” scattava una carezza a uno dei miei cani, quando qualche altra cosa era “nel segno della flessibilità”, ancora una carezza all’altro, era tutto un minimizzare ingrandendo e ingrandire minimizzando, finché all’attenzione di chi di dovere arrivava la prospettiva, in caso di maggioranza mancante, di una gita in parlamento delle sue, e qui tutto un ciap ciap e un pat pat al branco intero festaiolo e scodinzolante.

Giuseppe Conte. (AP Photo/Andrew Medichini, pool)

I literati viavenetisti seduti al caffè conversevole da mane a sera, quando i passanti li guardavano e prendevano posto a loro volta nella movida romana d’antan, dicevano sprezzanti “credono di essere noi”. Lui è come i passanti, ma non crede, è sicuro di essere uno di noi, gli avvocati dicono un quidam de populo. Sia lodato il magistrale dottor Zampetti (segretario generale al Quirinale, n.d.r) che se lo è inventato, proponendolo dietro le quinte del Quirinale per un governo assurdo, forse sapendo che alla fine ne sarebbe uscito un altro altrettanto surreale, cattivo il primo, entro certi limiti, buono il secondo, con gli stessi o altri limiti. E così è per la prosecuzione dell’esperimento utile, oppure per il terzo dei molti Giuseppi. Poiché spero vivamente che nella loro esperta conoscenza della politica italiana, e di quella parlamentare in genere, i miei compatrioti avranno decisamente capito che le tensioni più o meno vaccinali, e le liti su come essere spendaccioni, sono alla fine una cosa semplice e delicata, per niente pericolosa.

Giuliano Ferrara

Conte non ha una retorica, sarebbe troppo, ha un eloquio, come tutti gli avvocati di buona lena professionale. Basta ascoltarlo, anche in edizione abrégé, ridotto ai punti essenziali, per capire che cosa stia succedendo davvero. Renzi fa il suo mestiere, triangolando di volta in volta con l’opposizione e con il Pd, e finanche con qualche grillino, per limitare il potere apparentemente amministrativo dell’avvocato del popolo e delle élite. Lui intende bene, coglie l’antifona senza problemi di orecchio. Ci sono in ballo milioni di punture e miliardi di investimenti, non si può scherzare né sorvolare. E Giuseppi recepisce, annota, procede nell’adesione e nel contrasto imitativo, pantomimico, tipico della nostra tradizione politica. Dove le avrà imparate quelle cose, chissà. Ma le ha imparate bene.

Si comincia con la famosa cabina di regia, e con la famosissima governance del Next Generation Eu. La cabina, che una volta fu gabina, c’è e non c’è, ecco. Ovvio che ci sarà, vorrei vedere, ce lo chiede l’Europa, è un compito a casa, ma ci sarà ben dissimulata e rovesciata in una cabina ministeriale classica, con consulenti, con un salto in padella alla maniera delle tortillas. Quanto al Recovery fund, non si dica che Conte è soddisfatto del lavoro compiuto, troppi ostacoli, troppe imperfezioni, troppi rischi di fare tardi, anzi, è d’accordo con Renzi, manca un’anima politica al piano di investimenti in quintistilioni, e all’anima lui ci tiene come tutti, crisi o non crisi. Di qui alla verifica il passo è breve e ben argomentato, all’attenzione del governo, dei partiti e dell’opposizione, compresi eventualmente i responsabili.

Il Capodanno in casa Giuseppi è fatto di poco, e il presepe alla fine deve piacere anche a Nennillo (personaggio di Natale in casa Cupiello, ndr) figlio, ma senza la dolorosa appendice del decesso di papà. La commedia, riassunta ogni giorno nelle note politiche fervorose e nei retroscena gotici dei giornali, è quella solita, è il nostro modo proprio di affermare un’autorità che non lo è o di sancire una destituzione falsa di autorità per chi la esercita, proprio come ai tempi di democristiani sorridenti e lieti e del talento di Andreotti. Notevole che il dittatore sanitario abbia escluso saggiamente pro tempore l’insulsaggine dell’obbligo vaccinale, notevole il suo ottimismo in allerta, vistosa ma non troppo e non troppo minacciosa la sua pochette, il tribuno dell’eloquio ha fatto la sua parte con il suo stile, che è il massimo ottenibile nelle presenti condizioni, e bisogna farselo bastare con l’aggiunta del macellaio, che è una piccola bonanza per il cliente. Coloro che “credono di essere noi” sono serviti da uno che sa di essere qualunque, e che in quello è la sua forza a suo modo virtuosa.

Articolo di Giuliano Ferrara, il Foglio quotidiano

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