CICCIO

16 Mag 2017 | 0 commenti

TRA LE PAGINE DI UN LIBRO LE PAROLE DI UN AMICO SCOMPARSO RIPROPONGONO DOMANDE SENZA RISPOSTE- TUTTO CIO’ CHE NON E’ STATO E’ PIU’ VIVO E URGENTE CHE MAI, PERCHE’ AMMETTE SOLO RIMPIANTI E CONSOLAZIONI  

 

René Magritte, gli amanti

Mi ero chiesto, quando me lo consegnò nel dicembre 2011 fresco di stampa, con dedica rituale vergata con la sua grafia allungata, che cosa lo aveva spinto a sacrificare lunghi mesi di studio, prima, e poi a limare l’ennesima stesura, durante faticosissime ore notturne, per scrivere un libro di storia, o d‘arte, o di costume e tradizioni, lui che non era storico, né critico d’arte, né etnografo. Nella quarta di copertina, tendenziosamente, si suggeriva quale motivazione autobiografica quella di esporre e dipanare l’antichissimo intreccio della famiglia di Ciccio (così familiarmente), con il mondo saraceno, bizantino, francofono, fino a Malta e, più appresso a noi, alla Padania. Un susseguirsi di avvenimenti storici, di personaggi illustri, di date e battaglie, fra cui Ciccio si ingegnerebbe, come Pollicino, a dipanare un filo rosso che stabilisse l’evidenza di un improbabile collegamento storico fra quei fatti e personaggi e la progenie.

Come Indiana Jones, Ciccio si improvvisa archeologo e rintraccia attorno ad alcuni palazzi i segni del lignaggio, dei natali illustri. Non poteva mancare lo stemma di famiglia, così descritto: “uno scudo che accoglie con due leoni rampanti affrontati al tronco di un albero portante frutta, sovrastato da tre stelle e da ramo a mo’ di impugnatura. Intorno, sull’ampia lastra di pietra grigia murata, sono finemente scolpiti un elmo a cancelli con cimieri svolazzi e un cartiglio con i bordi ornati di motivi a volute e mascheroni”.

Ma io Cicco lo conoscevo diversamente, affabile, cortese e alla mano, lievemente ironico, forse un poco immalinconito di fronte al passare degli anni. Non certo un compulsivo indagatore di alberi genealogici.

Marc Shagall, compleanno

Il vero motivo di tanto lavoro lo trovo a pagine 192 del libro, eccolo: “Un popolo che non conosce la sua storia, quindi, è come un uomo che ha perduto la memoria e non sa più cosa sia, cosa fare e dove andare. Nessuna collettività, quindi, può fare a meno delle proprie memorie e della propria storia e, nemmeno, può permettersi di tagliare, impunemente, le proprie radici, senza che venga (no) a rischio la propria identità e il suo futuro”. Non originale come pensiero, ma ben detto, e soprattutto sincero!

Ancora una volta, ecco che spunta, è sempre lui, diversamente declinato, ma è lui: l’amore!

In questo caso l’amore della propria terra, delle sue storie, che si intrecciano indissolubilmente con la nostra, breve e fragile, ma che ne è parte, come l’albero al tutore. L’amore per quanto di bello abbiamo trovato e desideriamo trasmettere. L’amore che si fa rispetto, uso in punta di piedi, per la natura. L’amore che si fa sdegno civile, ma è sempre amore che spinge, contro la disperante cafonaggine dei tempi e dei costumi, che tutto rapinano e involgariscono.

Le cene estive nel suo palazzo, erano agapi fraterne atte a rompere il tedio invernale, dimenticare le stentate primavere, radunavano pochi amici scelti, fra i quali Ciccio divagava da autentico affabulatore ritrovando il bandolo ogni volta, legando i suoi “ragionamenti amorosi” al forte sentimento della fragilità esistenziale che poi allontanava con un brindisi e una risata: “che ci possiamo fare”. Detto senza abbandono, ma col sano realismo di chi conosce le proprie forze e i limiti di una natura, la sua, un poco ipocondriaca, ma capace di tenace perseveranza, se l’obiettivo la valeva.

Poteva osare di più, guardarsi più a fondo con sincerità, sciogliere certi legami che l’hanno condizionato per tutta la vita?  Ora che non c’è più, ora che un’ombra definitiva ci separa, restano le domande, che aspettano risposte, ma che sono rivolte a noi, più che a lui.

 

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