DARIO, IL PLACIDO

15 Gen 2021 | 0 commenti

Mai una parola in più, mai una briciola di potere in meno. Sta sempre a galla. Ritratto di Franceschini

Dario Franceschini, nato a Ferrara il 19 ottobre 1958, è ministro della Cultura dal 5 settembre 2019 (LaPresse)

“E’ passato da una segreteria all’altra. Franceschini è un gestore di avvenimenti. Accompagna la storia”- Vittorio Sgarbi lo definisce, sibillino, il suo supplente

Il 20 dicembre è intervenuto prima dell’incontro più duro fra Giuseppe Conte e la delegazione di Italia Viva. Franceschini di solito predilige avvertire. Le parole “se si apre una crisi, tanto vale andare a votare” erano una sintesi giornalistica a sostegno di un ragionamento. Non sono state smentite e quindi erano autentiche. Contenute in un articolo vasto e complesso, come quello del Corriere della Sera, sono però chiamate “scenario”.

Franceschini quando occorre ipotizza. Da più di un anno, al governo, il Pd viene rappresentato da questo capo delegazione, dall’uomo cornice, dal teorico della leadership plurale: “Ho sempre pensato che in politica non si debba necessariamente fare il numero uno. I terzini non possono giocare per segnare. La squadra perderebbe”. Franceschini da ragazzo giocava in porta. In caso di prematura caduta del governo ha già annunciato che il Pd correrebbe con Conte come leader insieme al M5s. Ha dunque consigliato a Matteo Renzi di fermarsi con le minacce ricevendo come risposta: “Franceschini non è Ribery. Dario è una sorta di medico legale che interviene all’ultimo momento per certificare i decessi politici”. Maria Elena Boschi ha aggiunto: “Chi si crede? Non è il presidente della Repubblica. Non ancora. Almeno. Al Quirinale c’è un galantuomo che si chiama Sergio Mattarella”. Ha ragione. Lo ha infatti voluto Franceschini. Quando per scelta del Pd, Mattarella non poteva più sedere in parlamento (aveva superato le tre legislature) ha preteso che venisse indicato dal partito come giudice della Corte Costituzionale. Quando Franceschini, nel 1999, ha deciso di candidarsi alla guida del Ppi, ed è stato sconfitto da Pierluigi Castagnetti, il suo più grande sostenitore era Mattarella. E’ indiscutibile che al Colle ci sia oggi un galantuomo. Lo stesso galantuomo che da più di vent’anni condivide le scelte, le azioni, i salti del ministro.

C’è qualcosa che Renzi non riesce a sopportare e che invece Franceschini desidera. Scomparire. Franceschini non partecipa. Compartecipa. Ha chiuso e aperto nuovi partiti, alleanze e amicizie. Ha una passione per le arie, per la lirica. L’uomo è mobile.

Nel 1998 ha prestato il suo abito a Enrico Letta che non immaginava di dover giurare da ministro per le Politiche comunitarie. Era stato designato Franceschini ma alla fine venne preferito Letta perché padroneggiava meglio l’inglese. Nel 2013, da premier, è stato Letta a chiedere a Silvio Berlusconi di accettare la nomina di Franceschini come ministro per i Rapporti con il Parlamento: “E’ importante che ci sia”. Dopo pochi mesi, Franceschini ha favorito la sostituzione di Letta con Renzi che lo aveva definito un “vicedisastro”. Franceschini sa dimenticare. Sia con Letta che con Renzi è stato ministro. I loro governi sono naufragati mentre lui è entrato in un uno nuovo. Il sesto. Per Antonio Di Pietro è “un Pilato”. I suoi amici della Dc, ma solo per questa sua capacità, lo paragonano a Enzo Scotti che era chiamato Tarzan: “E’ passato da una segreteria all’altra. Franceschini è un gestore di avvenimenti. Accompagna la storia”.

A Renzi, e lo racconta ancora Renzi, subito dopo la sconfitta alle ultime elezioni politiche, avrebbe ordinato “in tono sbrigativo” di andarsene, di lasciare il partito. Ma Franceschini non usa toni sbrigativi. Se serve lui stimola l’uscita. Costretto a difendersi, ha assicurato che non ha mai chiesto il passo indietro e che questa è una calunnia insieme all’accusa di essere un traditore. Che resta invece una banalità. Franceschini non tradisce. Accumula. A Ferrara, dove è nato, il padre Giorgio, partigiano ed ex deputato democristiano, ha collezionato e catalogato oltre ventimila testi che sono il demone del figlio. Se proprio si deve dire, la più grande soddisfazione della vita, Franceschini l’ha già ottenuta: è tradotto in Francia dall’editore Gallimard. Il suo più importante successo è questo: ha superato Veltroni al premio Chambery. E’ stato Veltroni, altro narratore, a suggerirgli di uscire allo scoperto. Vincenzo Consolo, l’autore de Il Sorriso dell’ignoto marinaio, aveva consigliato a tutti e due di smettere. Si riferiva ovviamente alla politica: “Dovrebbero dedicarsi solo alla letteratura”. C’è una figura che Franceschini ascolta più del suo segretario. E’ Elisabetta Sgarbi, la donna che ha deciso di pubblicare i suoi romanzi prima per Bompiani e oggi per La Nave di Teseo: “Il suo primo libro Nelle vene dell’acqua d’argento me lo mandò nel 2004, con una mail. Non ci conoscevamo, ma quel titolo ferrarese mi incuriosì. C’era uno stile, una voce. E’ uno scrittore fluviale. Il segno d’interpunzione che ama è la virgola”.

Si racconta che Roberto Benigni lo abbia chiamato di notte recitando alcuni passaggi del suo La follia improvvisa di Ignazio Rando. In pubblico, gli aveva addirittura proposto di correre in ticket con lui anziché con Veltroni: “Facciamo il Lingotto e il Lampredotto. Dario vieni con me”.

Anche Sabrina Ferilli lo ha sdoganato: “Dario mi piace”. Franceschini è cattolico, ma è amato dai laici. Franceschini a volte sembra di sinistra. In passato si è dichiarato a favore delle unioni civili, ha proposto un assegno mensile per chi perdeva il lavoro (un proto reddito di cittadinanza), aperto al prelievo per i redditi sopra i 120 mila euro così come fare pagare le tasse con le opere d’arte. E’ l’unico segretario del Pd (lo fece per nove mesi nel 2009 e in sostituzione del dimissionario Veltroni) che ha reso omaggio ad Achille Occhetto e alla sua svolta della Bolognina. Ha lanciato, a suo tempo, la candidatura di Anna Finocchiaro come presidente della Repubblica definendola la “Segolene Royal” italiana.

Per insolentirlo, Francesco Cossiga lo ha maltrattato con questo commento: “E’ solo un ex Ds”. Franceschini è fluido. Si è opposto all’ingresso del Pd nel Pse, ha sfidato D’Alema “che sta dietro a Bersani e che indossa una casacca del novecento”. Da consigliere comunale una delle sue più valorose cause è stata non concedere il trasporto gratis ai compagni che si dirigevano alla festa dell’Unità: “Mi sembra un regalo eccessivo”. Franceschini rimane di centro. Ciriaco De Mita lo aveva scelto con Enrico Letta e chiamato a fare parte della sua quota giovani. Successivamente concluse che “uno era dannoso” e l’altro “inutile”. Ma forse solo perché era passato il suo tempo. Di Franceschini ha detto allora: “Quello non sarà mai un leader. Scrive romanzi”.

Franceschini ha confidato alla madre: “Diventerò famoso come Fabio Volo e mollerò la politica”. In realtà poteva diventare musicista. Suonava il sassofono. Si è laureato in giurisprudenza, avvocato a Ferrara, ed è stato anche revisore dei conti dell’Eni, istruttore sbandieratore a Borgo Velino per tre estati dal 1974 al 1976. Ha ancora una cicatrice per un lancio sbagliato. Franceschini chi è? A 16 anni portava l’eskimo, si lasciava crescere la barba rossa che non è mai piaciuta alla mamma: “Solo per questo gli voterei la sfiducia”. A 18 anni, al liceo scientifico Roiti di Ferrara, ha fondato il suo primo partito, l’Asd, un’associazione studentesca democratica (e democristiana). Distribuiva volantini con su scritto: “Ci siamo anche noi”. E’ entrato alla Dc nel 1975 con Benigno Zaccagnini in una regione e in una provincia in cui la Dc non è mai stata un riferimento. Franceschini è preferibilmente minoranza. Nel 1995 ha perso un’elezione da candidato sindaco e nel 2018 ha perso nel collegio uninominale. Non ha mai amato le preferenze.

Nel 2009, da candidato alla segreteria del Pd, è stato battuto da Pierluigi Bersani, ma nominato capogruppo alla Camera da Bersani. Ricorda un ex parlamentare della Margherita: “Tutto il suo gruppo venne escluso dalle cariche di partito. Eccetto lui”. Franceschini è tattico. Come il Max Vinella inventato da Arbore e Boncompagni lui si “tiene sulle generali”.

La sua prima carica, capogruppo della Dc al comune di Ferrara, l’ha conquistata del resto con un colpo di mano. Ma Franceschini ha sicuramente una grande fantasia. Lo garantiva ancora una volta la madre Gardenia Gardini che era figlia di un podestà, ex repubblichino a Salò. “I miei genitori sono l’esempio dell’Italia riconciliata”.

Franceschini è stimato anche dalla destra. Ignazio La Russa per proteggerlo dai fischi e dagli spintoni dei militanti di An ha sacrificato un paio d’occhiali: “E’ un ospite di riguardo”. Vittorio Sgarbi, che è di Ferrara come lui e che definisce Franceschini il suo alter ego (“è il mio supplente”), precisa che è l’unico con cui non ha mai litigato: “Fate un po’ voi”. Lo paragona al pittore Lorenzo Lotto “intimista, dolente, sofferto”. Franceschini ha un debole per i colori fiamminghi. Da giovane guidava una Citroën Dyana beige, la sua storica Lacoste è color tabacco. C’è un giornalista che in pratica lo segue da quando ha iniziato a fare politica nella sua città. Si chiama Stefano Lolli ed è la firma gloriosa del Resto del Carlino. Sa il nome della sua bici preferita: una Chisal. La sua canzone: “Atlantide” di Francesco De Gregori. Il suo poeta da comodino: Luigi Santucci. Il pittore: Cosmè Tura. Franceschini è parsimonioso. Non ama le scarpe inglesi, non ha la passione per gli abiti sartoriali. Franceschini ha davvero qualcosa di dignitoso, “ma ha anche l’aria del sacrista che ti frega”. Ed è una cara citazione. Cosa ha di speciale? Una pattuglia di fedelissimi, una piccola squadra che ha raggiunto posizioni laterali ma decisive. Degli esempi. Francesco Saverio Garofani è consigliere delle questioni istituzionali di Mattarella. Antonello Giacomelli nominato commissario dell’Agcom. Il suo storico portavoce Piero Martino da poche settimane lo è di Domenico Arcuri. Bruno Astorre è segretario regionale del Pd nel Lazio. Franco Mirabelli è vicecapogruppo del Senato. Anche lui come Franceschini conta più del primo. Roberta Pinotti è presidente della commissione Difesa del Senato, responsabile delle riforme del Pd. Marina Sereni è viceministro degli Affari Esteri. E’ il vecchio nucleo di Areadem, una corrente che è rimasta compatta e discreta come Franceschini che è un finto calmo. Franceschini può essere collerico. Elisabetta Sgarbi spiega che c’è una contraddizione, che tale certamente non è, “tra la centralità del ministro, anche per la sua acclarata capacità di mediazione, e la sua vena letteraria che tende in parte al racconto scoperto della follia”. Quando lo vede agire in una situazione politica le capita di pensare che “Dario, da un momento all’altro, salirà sul tavolo e se ne andrà via come il suo folle Ignazio Rando”. Degli episodi. Avrebbe voluto condurre Berlusconi di fronte a un “gran giurì”. La ragione è che lo aveva definito un “bugiardo”. A Romano Prodi, che mancò di rispetto alla Margherita (un altro dei partiti di Franceschini) descrivendola come “un rametto dell’Ulivo”, ha replicato con “un leader non parla così”. Significa che per lui non era un leader.

Franceschini si difende da tutto ciò che straripa. Teme l’acqua del Po, l’instabilità. Quella che si riporta non è la cattiveria di un parlamentare invidioso o pettegolo, ma una frase che deve restare anonima perché troppa vicina a Franceschini: “Vuole fare il presidente della Repubblica. E se cade Conte sarà con lui che si proverà a sostituirlo. E’ il vice che ha epurato tutti i suoi capi”.

Franceschini non apprezza chi straparla di Franceschini. All’altro degli Sgarbi (Vittorio) ha confessato che “essere tornato al ministero dei Beni Culturali è quanto ho sempre desiderato. Ho sofferto quando ho dovuto lasciare. Credimi, è questo quello che desideravo da ragazzo”. Lo ha fatto due volte. Nessuno, secondo le statistiche, ha avuto questo suo lungo privilegio. Si è caricato la chiusura dei musei e dei teatri che gli è costata l’ostilità di artisti, direttori: “Si doveva”. Ha difeso il premier sull’emendamento che riguardava il suocero e che ha scalmanato l’opposizione: “Quell’emendamento è una mia decisione. Conte non sapeva nulla”. Dunque Franceschini sapeva. Chi si sarebbe preso la parte dell’antipatico, del rigorista che vuole chiudere tutto? Su Twitter comunica con pochi minuti d’anticipo quello che Conte sta per dire al paese. Conferma che il M5s non è la Lega e che con Matteo Salvini come ministro l’Italia sembrava Gotham City: “Era un pericolo”. Franceschini disegna mappe e da sottoufficiale ufficializza la manovra per conto del partito, dei progressisti. E’ il generale minuscolo ma più abile dell’imperatore, il placido ma per strategia. Franceschini è il Kutuzov italiano, il militare russo che riesce a ingannare Napoleone: finge di perdere ma solo per poter vincere.

Carmelo Caruso per il Foglio Quotidiano

0 0 votes
Article Rating
Notificami
0 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments

Potrebbero interessarti

Contact Us