DAVA DEL TU AL MONDO

15 Gen 2025 | 0 commenti

F urio Colombo ha incontrato, intervistato e discusso con il mondo intero. Ma adesso che è scomparso, a 94 anni, percorrendo la sua vita, i suoi articoli, i suoi libri ci si può chiedere se non sia stato il mondo ad andare da lui, attratto da una personalità magnetica, irrequieta, con un’insaziabile passione comunicativa. Tagliente e mai accomodante. Giornalista, scrittore, autore tv. Per La Stampa, da New York, dove ha vissuto a lungo, ha raccontato alti e bassi, con un radar sempre puntato sulle cose e sulle persone nuove. I suoi articoli si distinguevano per un linguaggio incalzante e aguzzo. News analysis, niente retorica, emozioni fredde nutrite da una divorante passione americana. Alla Columbia University ha anche insegnato giornalismo. Era andato a New York per l’Olivetti negli anni ’60. Ma è poi passato alla Fiat Usa con il ruolo di presidente e rappresentante dell’avvocato Agnelli al quale lo legava un’amicizia che andava ben al di là della formalità. A New York divenne anche direttore dell’Istituto italiano di cultura. Dopo La Stampa, ha scritto per la Repubblica e nel 1996 si è candidato alla Camera a Torino ed è stato eletto nell’Ulivo. Per il Pd è poi stato rieletto nel 2006 e nel 2008. Tra il 2001 e il 2006 ha diretto il quotidiano l’Unità insieme all’ex notista del Corriere Antonio Padellaro. Con lui e Marco Travaglio ha fondato nel 2009 Il Fatto Quotidiano che ha però lasciato nel 2022 in contrasto con le posizioni filo Putin del giornale. Sarebbe però sbagliato dividere la vita di Furio Colombo in un prima e un dopo. Ci sono almeno due fili di coerenza che legano il suo lunghissimo percorso: una ricerca spasmodica per la novità e un anticonformismo vissuto come un dover essere intellettuale. Tutto questo al massimo livello mondiale, una terrazza Martini lunga di qui all’America dove Colombo si è mosso da protagonista per settant’anni. Cassius Clay lo chiamava “Marco” (il suo primo nome), Ted Kennedy gli gridava “Fiuriii”, Lauren Bacall preferiva invece il semplice “Colombo”. Kissinger, invece, pronunciava perfettamente “Furio” purché lui ricambiasse con un amichevole “Henry”. Colombo dava del tu al mondo. Era nato il primo gennaio, una data che sembra una festa di auguri. Con studiata nonchalance, in un’intervista a Gad Lerner, aveva ricordato in particolare quella del 1961: «Ero all’Hotel Nacional, dell’Avana, venne a prendermi con la sua auto americana Che Guevara e mi portò a fare un giro in città con Jean Paul Sartre, Simone de Beauvoir e Françoise Sagan…». Il resto della vita di Furio Colombo è costellata di coincidenze ed incontri di quel tipo, da Martin Luther King a Joan Baez, con la quale, insieme alla moglie Alice Oxman coltivava un’amicizia affettuosa, fin dal giorno delle nozze, il 15 agosto 1969, quando la cantante li invitò al suo concerto a Woodstock. Con John Lennon, Colombo raccontava di «aver girato mezza America». I Beatles li aveva incontrati per caso in India mentre stavano per intraprendere un percorso mistico tra i templi Ashram, con loro c’era Mia Farrow, che naturalmente lui aveva conosciuto a New York. Il primo “colpo” giornalistico era stato però nel 1961, un’intervista con Eleanor Roosevelt, per il mitico settimanale di Mario Pannunzio Il Mondo. Furio Colombo era nato in una famiglia ebraica a Châtillon, nel 1931. Laureato in giurisprudenza, nel 1954 si era presentato a un concorso alla Rai di Torino dove aveva incontrato Gianni Vattimo, Umberto Eco e Piero Angela. Un’esperienza fondativa. «Nessuno allora aveva la minima idea di che cosa sarebbe stata la televisione e il suo immenso peso nel cambiamento italiano – ricordava Colombo -. La Rai di allora era un laboratorio di cultura d’avanguardia e noi abbiamo composto un gruppo di collaboratori torinesi che comprendeva Carlo Casalegno, Massimo Mila, Primo Levi, Italo Calvino, Norberto Bobbio». Subito dopo, con Eco, Arbasino, Balestrini, Colombo fu tra i fondatori del Gruppo 63 di avanguardia letteraria. Con la sinistra i suoi rapporti non sono stati semplici. Da parlamentare si vantava di aver votato centinaia di volte diversamente dal partito. Nonostante il successo editoriale (centomila copie per un giornale che era stato chiuso) fu di fatto esautorato dalla direzione de l’Unità e non nascose l’amarezza: «Pensavamo di aver a che fare con un partito integralmente di sinistra. Invece scoprimmo che si pretendeva una mitezza tale da coprire rapporti tutto sommato benevoli col governo di destra di Berlusconi, da cui scaturissero anche nomine e scelte condivise». Ultimamente, nonostante la sua aperta critica al governo Netanyahu, non ha risparmiato Elly Schlein per l’ “ambiguità” della posizione del Pd su Israele: «L’antisemitismo che in Italia era fascista, sta penetrando anche a sinistra». La sua ultima battaglia.

Articolo di Cesare Martinetti per La Stampa

F urio Colombo si è spento ieri e penso a quanti amici artisti e scrittori, da Calasso a Kundera, da Toscani a Rykwert, per citarne solo qualcuno, non ci sono più. Furio Colombo era uno di loro. Una voce libera, un uomo eclettico: giornalista, scrittore, parlamentare, manager culturale… Dalla Olivetti alla Rai, da La Stampa alla Fiat, da Palazzo Grassi alla Columbia University, direttore de l’Unita, fondatore del Fatto quotidiano. Quante cose! Con il suo più caro amico Umberto Eco, conosciuto da ragazzo all’Azione Cattolica, avevano curato le prime trasmissioni alla Rai di via Arsenale 21 a Torino insieme a Luciano Berio, Enza Sampò e Gianni Vattimo. Furio aveva aderito con Arbasino, Pagliarani, Guglielmi, Balestrini, Paolazzi, Eco e altri al gruppo 63 e in America era diventato amico di Susan Sontag, Norman Mailer, Philip Roth e se non sbaglio di Bob Dylan. Era stato un grande sostenitore di Kennedy. Era stato a Cuba e in Vietnam nei momenti più caldi. Io vorrei dire che devo moltissimo a Furio Colombo. È stato lui a far stampare i miei primi racconti sulla rivista Nuovi Argomenti diretta da Moravia, Pasolini, Siciliano e Sciascia . È stato lui a presentarmi a Emmanuele Milano, allora capo di Telemontecarlo, che mi fece fare il mio primo programma di interviste L’appuntamento. È stato lui, quando avevo già 40 anni, ad incoraggiarmi a fare il praticantato e l’esame di Stato per diventare giornalista professionista, è stato lui a dirmi con insistenza «Devi portare a termine il libro Vita di Moravia», ed è stato lui a recensire molte volte i miei libri. Furio era generoso, ammirava il talento ed era orgoglioso del successo dei suoi amici. Era un uomo capace di vera amicizia e l’amicizia secondo me oltre a sua moglie Alice e sua figlia Daria è stata la cosa più importante per lui, il filo rosso della sua vita. Con lui si spegne una di quelle persone rare e speciali che hanno saputo coniugare la cultura, la curiosità la passione civile ed essere testimoni del loro tempo. Mi dispiace molto non averlo salutato e non avergli espresso la mia gratitudine .

Articolo di Alain Elkann per La Stampa

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