
Immagine di Nathalie Du Pasquier
Il concetto di “stile cognitivo” riguarda il modo unico e speciale in cui ciascuno di noi percepisce, elabora e ricorda, catalogandole nella memoria, le informazioni che costantemente riceve dal mondo esterno. È un concetto molto utile: tenere conto dei propri e degli altrui stili cognitivi aiuta a lavorare meglio, a imparare o insegnare più efficacemente, a interagire meglio con gli altri e con l’ambiente. Molti, però, non hanno né la più pallida idea del fatto che le persone possano avere stili cognitivi diversi (e quindi differenti modi di considerare il mondo e gli altri) né alcuna percezione di quale sia il proprio stile cognitivo. Un buon modo per avvicinarci alla questione può essere questo: procedere in modo empirico, senza pretese, lasciandoci guidare dalla curiosità e ponendoci alcune domande. Dettagli o insieme? Alcune persone tendono ad avere una visione delle cose più analitica e sono propense a entrare subito nel merito dei dettagli, mentre altre tendono a considerare le cose nel loro insieme. Ovviamente ciascuna di queste due propensioni presenta vantaggi e svantaggi facilmente intuibili (per esempio, il rischio di perdersi nei dettagli contro il rischio di non cogliere un dettaglio rivelatore o discriminante). Le propensioni possono essere molto o poco accentuate: insomma, non immaginiamo due campi contrapposti, ma un segmento con un cursore che può spostarsi più o meno sensibilmente verso il polo “dettagli” o verso il polo “insieme”. Ecco: da qualche parte, lì nel mezzo, ci siamo noi. Parole o immagini? Alcune persone tendono più a pensare, a catalogare e a ricordare usando le parole: se ci stanno attente, possono addirittura “ascoltare” i propri pensieri, mentre li pensano. Altre persone fanno la stessa cosa per immagini: se ci stanno attente, possono avere la sensazione di “vedere” la forma dei propri pensieri. Anche queste propensioni possono essere più o meno accentuate. Se facciamo un giro in un corso di scrittura potremmo aspettarci di trovare più persone del primo tipo e se frequentiamo designer e architetti potremmo pensare che appartengano al secondo, ma non è detto: alcuni autori scrivono in modo davvero vivido. E ho conosciuto architetti e designer proprio verbosi.
Le due dimensioni dettagli/insieme e parole/immagini, disposte ortogonalmente, possono individuare quattro campi: cioè, quattro stili cognitivi, a loro volta più o meno accentuati. A determinare questi campi è lo psicologo Richard J. Riding. Qui un articolo, assai citato, in cui Riding mette in correlazione stili cognitivi e strategie di apprendimento. Volete sapere se siete più orientati ai dettagli o all’insieme? Vi trascrivo un test semplicissimo: prendete un foglio di carta e disegnateci dentro un rettangolo inclinato a 45 gradi. Poi, dentro il rettangolo, disegnate una riga verticale. Quando avete finito, andate a vedere qui quel che significa. Dipendenti o indipendenti dal campo? Qui stiamo parlando della propensione, maggiore o minore, a lasciarsi influenzare da elementi di contesto nella percezione e nel giudizio. Il concetto viene proposto già a metà del secolo scorso dallo psicologo Herman Witkin.
Un interessante aspetto di questo stile cognitivo riguarda il maggiore o minor grado di conformismo sociale, e viene indagato dallo psicologo Solomon Asch con un curioso esperimento: Asch prende un gruppo di otto persone (sette delle quali sono d’accordo con lui) e mostra loro un foglio sul quale è tracciato un segmento. E, subito dopo, un altro foglio sul quale sono tracciati tre segmenti di lunghezze diverse. I partecipanti devono valutare, a occhio, quale dei tre ha lunghezza analoga a quella del segmento mostrato in precedenza. Il soggetto testato, e inconsapevole, è sempre l’ultimo o il penultimo a dire la sua, in un contesto in cui tutti gli altri sbagliano in maniera spudorata. Asch scopre con sorpresa che una persona su tre arriva a sfidare l’evidenza pur di conformarsi al parere del gruppo. (…)
Le quattro dicotomie. Alcuni degli elementi di stile cognitivo che ho citato sopra riappaiono, anche se con nomi diversi e in un sistema più articolato, in uno dei test di personalità più noti, il Myers-Briggs Type indicator (MBTI). Pensate ancora a dei cursori che si muovono lungo quattro direttrici:
– da estroversione a introversione (questo dovrebbe essere chiaro)
– da sensitività a intuizione (riguarda l’attitudine a confrontarsi col mondo in modo empirico, attraverso l’esperienza, o in modo più astratto e riconoscendo schemi e strutture generali)
– da ragionamento a sentimento (riguarda il modo in cui decidiamo: con la testa o con la pancia?)
– da giudizio a percezione (riguarda il modo di entrare in relazione: secondo logica o secondo empatia).
(……)
A cura di Annamaria Testa, Internazionale 4 maggio 2015, L’immagine è di Nathalie Du Pasquier