Interessante il dialogo AgnolettoVSFarinetti organizzato dal Fatto Quotidiano. Due filosofie, due culture a confronto, con accenti sinceri e parole esplicite, comunque si voglia giudicare le posizioni dei due.
Visione ottimistica quella dell’imprenditore, ma non poteva essere diversamente. Agnoletto, efficace a mettere a nudo le contraddizioni e a denunciare le distorsioni di un modello di sviluppo, non riesce ad allontanarsi da uno schema dicotomico (i ricchi contro i poveri) che non sembra più corrispondere alla dialettica reale, ma che, soprattutto, non ha dimostrato di sapere dare ricette credibili per risolvere i problemi, almeno al di fuori di una anacronistica palingenesi “rivoluzionaria”. Questo, almeno, il mio pensiero.
Expo 2015, il “più grande evento mondiale sull’alimentazione” come lo definiscono gli organizzatori, apre venerdì i battenti a Milano: riuscirà a coniugare la filosofia – “creare le linee guida per avere nel futuro cibo sano, sicuro, sostenibile e sufficiente per tutti” – con la pratica? Sarà una bolla mediatica o un evento in grado di indicare un nuovo modo di intendere il rapporto tra alimentazione e ambiente? Si rivelerà una vetrina per multinazionali o un laboratorio di idee per un futuro sostenibile? Abbiamo messo a confronto i pareri di Oscar Farinetti, imprenditore, fondatore di Eataly, ex proprietario di Unieuro, e Vittorio Agnoletto, medico, docente di “Globalizzazione e politiche della salute” all’Università degli Studi di Milano.
Come si coniuga la filosofia alla base di Expo (“Nutrire il pianeta”) con le metodologie scelte: ha suscitato grande clamore mediatico la presenza di sponsor come McDonald’s e Coca Cola.
Farinetti: “Le rispondo così. A Eataly facciamo un hamburger con le carni della Granda, presidio Slow Food. 80 piccoli allevatori straordinari che non usano vitamine, integratori e neppure insilati. Solo foraggi della propria azienda agricola. Questi hamburger si chiamano “Giotto”. Ne vendiamo tantissimi. In questo modo cerchiamo di portar via clienti a McDonald’s, che comunque rispettiamo. Con Lurisia abbiamo realizzato una bibita che si chiama “Chinotto” colorata, naturalmente, con zucchero caramellato, fatta con i chinotti della Liguria, presidio Slow Food, coltivati da piccoli agricoltori. In questo modo cerchiamo di portar via clienti alla Coca Cola (che non trattiamo) pur rispettandola. Preferiamo agire piuttosto che imprecare. A Expo McDonald’s e Coca Cola hanno spazi e visibilità nettamente inferiori a Eataly con le 100 osterie di territorio, a Slow Food con le sue comunità di Terra Madre, a Identità Golose con i grandi cuochi italiani, a Palazzo Zero con la straordinaria storia del cibo di Rampello e sopratutto ai numerosi padiglioni Cluster dedicati ai meravigliosi prodotti dei Paesi poveri del mondo che non potevano permettersi di realizzare un padiglione proprio. La sponsorizzazione di alcune grandi multinazionali, con una visibilità non così eclatante come è stata descritta dai media, è servita anche a questo. A chi protesta dico venite prima a vedere. Non giudicate prima di aver visto”.
Agnoletto: “Secondo l’Onu, il pianeta oggi è in grado di produrre a sufficienza per sfamare 12 miliardi di persone ma attualmente circa 800 milioni di individui soffrono la fame e altrettanti sono obesi e l’obesità non è sinonimo di prosperità, ma è l’altra faccia della povertà. La causa di tale situazione sono le politiche delle multinazionali e le scelte dei principali governi: accaparramento di terra, privatizzazione delle fonti d’acqua, monopolio nel controllo dei semi geneticamente modificati, distruzione delle eccedenze di cibo per far crescere i prezzi… Ed incredibilmente proprio queste multinazionali e questi governi sono tra gli sponsor e tra i principali espositori di Expo. Se l’obiettivo fosse stato veramente quello di “nutrire il pianeta” la regia dell’evento avrebbe dovuto essere affidata ad associazioni di piccoli agricoltori, ai Sem Terra, a Via Campesina e alle organizzazioni contadine che da anni si battono affinché siano riconosciuti i diritti alla terra, al cibo e all’acqua”.
Quali sono i rischi insiti nel mettere l’alimentazione mondiale nelle mani di un numero ristretto di multinazionali?
Farinetti: “I rischi sono enormi. Per questo noi combattiamo con determinazione. Dalle coltivazioni Ogm che concentrano il potere del seme in poche mani, alle multinazionali dei semilavorati e dei prodotti finiti che incrementano il loro potere e i fatturati. Noi lavoriamo perché ogni singolo Paese investa sulla propria biodiversità, seminandola nella terra con cultivar autoctone e trasformandola con piccole e medie aziende locali che fanno cibo di qualità. L’Italia in questo senso può essere di esempio al mondo. In Italia convivono sana agricoltura, piccole e medie aziende di altissima qualità e grandi fabbriche di ottima qualità con sani principi come Ferrero e Barilla (per citarne solo due, ma ce ne sono altre). Nel padiglione di Eataly in Expo celebreremo proprio questa meraviglia del nostro Paese: piccole osterie, piccolissimi produttori, affinatori, allevatori, agricoltori, pescatori insieme a piccoli, medi e grandi produttori, insieme ai consorzi: tutti rivolti alla qualità e al rispetto. Eataly finanzierà 1.000 orti in Africa, una grande idea di Slow Food per affrontare il problema ancora immenso della fame. L’obiettivo è creare leadership indigene concentrate sull’agricoltura rivolta alla biodiversità del proprio territorio. Meno polemiche, più azioni. Di questo in Expo si parlerà, eccome”.
Agnoletto: “Vi è il rischio di avvallare pratiche spesso inaccettabili come ricorda Francesco Gesualdi del centro Nuovo Modello di Sviluppo: “La Coca-Cola da anni è contestata per la politica antisindacale da parte dei suoi imbottigliatori che in Colombia comprende perfino l’assassinio dei delegati sindacali, Unilever è additata perché ottiene il tè da Kenya e India dove la legge consente di utilizzare lavoratori precari per salari indegni senza nessuna garanzia sociale. Tutte pratiche che contribuiscono a creare la fame, non a eliminarla”. Vengono legittimati gli OGM che sono il perno di un modello globalizzato di agricoltura e di produzione di cibo che inquina con i diserbanti, consuma energia da petrolio, è idrovoro e contribuisce a gran parte del riscaldamento climatico; viene accreditata una realtà fondata su una distribuzione inaccettabile del cibo: quello d’élite per i ricchi, quello spazzatura per le grandi masse e, se va bene, le eccedenze e gli scarti per i poveri che costituiscono la stragrande maggioranza della popolazione mondiale”.
Manifestazioni come l’Expo sono chiamate a lasciare ai posteri idee e innovazioni per migliorare la vita delle persone: quale idea lascerà l’Expo per “nutrire il pianeta” e combattere la fame in un mondo in cui la popolazione cresce in maniera vertiginosa?
Farinetti: “In un mondo abitato da 7,3 miliardi di persone, che produce cibo per 12 miliardi di individui, dove 820 milioni di persone non hanno cibo a sufficienza, 1,5 miliardi sono obesi e soffrono di cattiva nutrizione, più di 2 miliardi di persone sprecano e mandano nei rifiuti il 40% di ciò che acquistano, in un mondo, dunque, molto squilibrato nella distribuzione e nel consumo del bene primario dell’umanità, occorre cambiare rotta. La via maestra è aiutare i Paesi in difficoltà a seminare la propria biodiversità, insomma a costruirsi da soli il cibo. Mentre occorre educare i Paesi spreconi ad avere maggiore rispetto e a nutrirsi in modo più sano. Expo ha presentato la “Carta di Milano” che credo e spero vada in questo senso. Noi di Eataly, in ogni caso, non ci stancheremo mai di lavorare in questa direzione. Daremo il nostro contributo nei 6 mesi di Expo con proposte e soluzioni”.
Agnoletto: “Temo proprio che non lascerà molto; al massimo un aumento dei profitti per le aziende che avranno usufruito maggiormente della vetrina di Expo, ad esempio la S.Pellegrino, azienda controllata da Nestlè, che sta distribuendo in tutto il mondo 150 milioni di bottigliette con il logo Expo. Ma Nestlé, già sotto accusa dall’OMS per la distribuzione di latte in polvere in Africa, oggi è criticata perché acquista cacao da zone dell’Africa dove nelle piantagioni si giunge ad utilizzare anche lavoro minorile in schiavitù. La “Carta di Milano”, presentata come l’eredità di Expo, è una grande operazione mediatica, un documento che furbescamente utilizza il linguaggio dei movimenti ma che si limita a dichiarazioni generiche senza indicare le cause e senza chiamare per nome i responsabili della situazione attuale: non una parola sui sussidi che la Commissione Europea regala alle multinazionali europee agroalimentari, permettendo loro una concorrenza sleale verso i produttori locali, né sugli accordi EPA voluti dal WTO e dalla UE che distruggono l’agricoltura africana, né si cita, per fare un esempio, la Cina come uno dei principali responsabili del land grabbing, né si parla dell’espropriazione del controllo sui semi che i contadini subiscono ad opera delle grandi aziende OGM, né si fanno i nomi di chi privatizza l’acqua: dalla Coca Cola all’Enel che controlla le risorse idriche dalla Patagonia cilena”.
Quali saranno le ricadute per l’Italia? Eventuali ricadute positive arriveranno solo dal numero delle presenze, cospicuo secondo le attese?
Farinetti: “Non mi aspetto solo i ricavi del turismo di questi 6 mesi. Mi aspetto un nuovo atteggiamento del popolo di questo Paese sul fronte dell’accoglienza. Mi aspetto una presa di coscienza delle enormi potenzialità che possediamo. Mi aspetto un gesto di orgoglio che ci faccia tornare a sperare. Mi aspetto, dopo le polemiche e i disordini inevitabili che si torni all’armonia, alla comprensione che siamo tutti in difficoltà e dobbiamo aiutarci a vicenda per risollevarci. Mi aspetto di fare bella figura con il resto del mondo, che è il 99,17% del pianeta, ma che guarda a questa piccola Italia con simpatia. Mi aspetto che i rancorosi atavici e i gufi inguaribili vengano definitivamente smentiti. Mi aspetto, in soldoni, il raddoppio delle esportazioni e del numero di turisti stranieri nei prossimi 5 anni. Unica via di uscita del nostro Paese sul fronte della disoccupazione. Uno strepitoso Expo potrebbe essere la scintilla che avvia questo nuovo motore: smetterla di lamentarci e, pur consapevoli delle cose che non vanno, tornare a lavorare”.
Agnoletto: “Innanzitutto non sono così certo che il numero dei visitatori raggiungerà le decine di milioni decantate dagli organizzatori; mi auguro che sia così e che non sia un flop, altrimenti finiremo nella stessa situazione in cui si è trovata Torino dopo le olimpiadi invernali, Atene dopo le olimpiadi del 2004, o la Spagna dopo aver ospitato l’Expo: città e regioni sommerse dai debiti, strutture abbandonate a se stesse, prive di qualunque progetto di usufruibilità futura e con costi di manutenzione proibitivi. Certamente alcune fasce di cittadini avranno potuto trarne vantaggio, quelli con attività collegate al turismo, alla ristorazione, ai trasporti, alla moda per citarne alcuni. Non i giovani che avranno lavorato gratis o i tanti lavoratori che avranno prestato la loro opera in nero, o sottopagati e fuori dai contratti collettivi. Certamente avranno tratto profitto la ‘ndrangheta, le mafie di ogni tipo, ed il solito mondo affaristico collegato ai centri di potere della politica”.
Qual sarà nell’immediato l’utilità di Expo?
Farinetti: “Decine di migliaia di persone che ci hanno lavorato per costruirla, in migliaia di aziende. 140 nazioni che vengono in Italia a rappresentarsi con delegazioni composte da migliaia di persone. Un indotto di centinaia di migliaia di Italiani che ci camperà per 6 mesi. Un incontro tra popoli. Decine di milioni di turisti che si muoveranno. Un tema fondamentale da discutere, soluzioni immani da trovare lavorando insieme. L’Italia per 6 mesi al centro del mondo dove si affronta il problema dei problemi. Un’occasione straordinaria per rilanciare la nostra penisola. Dobbiamo assolutamente convincere chi è scettico a sentirsi anche lui possibile protagonista di una grande occasione, mettendosi in gioco. La risposta non è soltanto che L’Expo sia utile, noi possiamo e dobbiamo diventare utili”.
Agnoletto: “L’unica utilità che colgo è che il tema individuato, nonostante sia quotidianamente smentito dalle scelte praticate da chi gestisce l’Expo, ha stimolato nella società civile, nelle scuole, nelle università, nel mondo associativo e in ambienti (ristretti) intellettuali un’ampia discussione sui temi del cibo e dell’acqua aprendo spazi attorno a riflessioni sulla finitezza delle risorse, sulla qualità del cibo, sul diritto per tutti all’acqua e ad un’alimentazione corretta. Forse oggi è un po’ meno difficile spiegare perché “… ogni bambino che muore per denutrizione oggi è di fatto ucciso”, come scrive Jean Ziegler, già Relatore Speciale delle Nazioni Unite sul diritto al cibo.
Quattro padiglioni da visitare assolutamente e perché.
Farinetti: “Il Nepal, bellissimo e parzialmente incompiuto, per evidenti ragioni. I Cluster dei Paesi meno ricchi, che narrano i loro straordinari prodotti con orgoglio e tenerezza. Il padiglione di Slow Food che celebra la biodiversità del mondo. Il padiglione Zero, resterete rapiti dalla meraviglia della memoria del cibo. Ma non dimenticherei il tema del mercato del futuro sviluppato da Coop. Infine, se volete farvi un giro da Eataly, spero che non resterete delusi”.
Agnoletto: “Quello italiano: mentre orgogliosi ammirerete i risultati esibiti dal nostro Paese chiedetevi come avrebbero potuto essere utilizzati, tutti o gran parte dei soldi lì impiegati,: pensate ai servizi sociali, ai trasporti pubblici delle vostre città. Quello d’Israele: quando vi verrà spiegato come si può avere buona agricoltura anche in mezzo al deserto, ricordatevi che in Cisgiordania, i coloni usano una quantità di acqua pro capite quasi nove volte superiore a quella che usano i palestinesi e che la popolazione di Israele non è neppure il doppio di quella palestinese, ma il suo consumo idrico totale è sette volte e mezza. Ed infine godetevi un paio di spettacoli senza sensi di colpa, anche se siete critici verso l’Expo, in fondo “Panem et Circenses” (pane e giochi) è una ricetta inventata dai romani e che funziona sempre per tenere buoni i sudditi.
Dal Fatto Quotidiano del 30 aprile 2015