Quando a Gae Aulenti comunicarono che il “suo” Musée d’Orsay a Parigi sarebbe stato completamente riallestito, l’architetta italiana non se ne ebbe a male. Anzi, in un breve articolo dichiarò che le sembrava assai opportuno che i musei, ogni 25 anni, venissero rinnovati.

Gae Aulenti vedeva giusto. Rinnovare un museo significa in buona sostanza garantirgli un futuro, e in ogni parte del mondo si opera spesso in tal senso. Per fortuna anche in Italia, come dimostrano i casi recenti di Brera a Milano, della Pinacoteca Tosio Martinengo a Brescia, delle Gallerie dell’Accademia a Venezia (solo per fare qualche esempio).

Ma uno dei “cantieri” più interessanti d’Italia sta prendendo corpo a Roma, nel cuore della città: l’intero piano nobile di Palazzo Venezia è in corso di riallestimento, con un progetto ampio e ambizioso curato dalla direttrice Edith Gabrielli per la parte museologica e dall’architetto Michele De Lucchi (con il suo studio AMDL CIRCLE) per quella museografica.

Le fonti testimoniano che le stanze di Palazzo Venezia sono sempre state ricolme di quadri, sculture e arredi. Lo furono già al tempo del fondatore del palazzo, papa Paolo II, e continuarono a esserlo con i “padroni” successivi, gli ambasciatori della Repubblica di Venezia, i diplomatici dell’Impero austro-ungarico e, infine, lo Stato italiano, che nel 1916 dichiarò il complesso e le sue collezioni un museo nazionale. Museo che tale rimase anche durante il Ventennio mussoliniano, seppur con forti limitazioni d’accesso per il pubblico.

Il palazzo riaprì le porte ai visitatori nel Dopoguerra e riprese vita. Nel 1982 accadde un fatto decisivo: a Palazzo Venezia si tenne una grande mostra su Giuseppe Garibaldi, ma per ospitarla si smontò parte dell’allestimento museale e, a fine evento, si decise di lasciar vuote le sale dell’ala orientale (le più monumentali), così da poterle utilizzare sempre e solo per mostre temporanee. Fu così che centinaia e centinaia di opere (anche di grandissimo rilievo) presero la via del deposito.

La prima linea del nuovo progetto Gabrielli-De Lucchi si propone di riallacciare, a distanza di quarant’anni, questo filo interrotto, ovvero di rilanciare Palazzo Venezia come luogo di esposizione di oggetti e collezioni, anziché solo di mostre temporanee.

«La nostra prima intenzione è quella mettere a disposizione del pubblico il grande e importante patrimonio artistico del palazzo» sottolinea con chiarezza la direttrice Gabrielli. «Ma non si tratta di tornare a riempire le sale. Si tratta di raccontare in un modo adeguato lo specifico patrimonio del nostro museo che è fatto solo in parte di quadri e sculture ma che abbonda (per numeri, qualità e diversità) di tutto ciò che di meglio ha saputo produrre l’alto artigianato in Italia». Infatti, le raccolte del palazzo (attivate a partire dal 1916 e incrementate attraverso importanti donazioni e acquisti), per quanto comprendano quadri e sculture, si basano per lo più su oggetti di arte applicata, ovvero su tessuti, ceramiche, armi, vetri, bronzi, avori, argenti e così via.

«È ciò che oggi viene chiamato il Fatto-in-Italia» spiega Edith Gabrielli. «E partendo da questo dato oggettivo, svilupperemo un percorso in grado di restituire al pubblico la grande tradizione artistica e artigianale del nostro Paese. Il visitatore godrà dunque di un racconto museale (e sottolineo racconto) dove arte e artigianato si uniranno senza soluzione di continuità, lungo un arco di tempo che dal Medioevo giungerà al Novecento».

Va aggiunto che un impulso decisivo nella scelta di questo taglio è giunto dalla minuziosa opera di ricerca sulle collezioni storiche, coordinata da Barbara Agosti e Alessandro Tomei. Ma che cosa vedremo nel rinnovato museo?

«Il progetto di riallestimento verrà realizzato in vari stadi per permettere al pubblico di visitare sempre il palazzo» risponde la direttrice. «Come primo passo, sarà aperta l’ala eretta nel XV secolo e rivolta su piazza Venezia e via del Plebiscito, che comprende l’Appartamento di papa Paolo II Barbo, con la Sala delle Fatiche di Ercole (ornata con affreschi del XV secolo) e le tre monumentali Sale del Mappamondo, delle Battaglie e Regia. I pezzi coinvolti nel progetto rivestono un’estrema importanza. Tra le opere che troveranno posto qui la vera da pozzo di manifattura romana della prima metà del IX secolo, la scultura in legno raffigurante la Madonna in trono con il Bambino, detta Madonna di Acuto, (fine XII-inizio XIII secolo), le armi della collezione Odescalchi (come lo stocco di manifattura italiana della prima metà del XV secolo), la Madonna in trono con il Bambino di Zanino di Pietro del 1429 o il Volto di Cristo di Beato Angelico del 1445-1450. Nel complesso torneranno a disposizione dei visitatori oggetti unici per bellezza, storia, rarità e provenienza, dall’epoca classica fino alle soglie della modernità».

La seconda linea del progetto Gabrielli-De Lucchi punta sul contenitore, cioè sullo stesso Palazzo Venezia. Progettato verso la metà del XV secolo da Leon Battista Alberti o da un architetto a lui vicino, Palazzo Venezia può vantare una storia lunga e gloriosa, che lo vede di secolo in secolo protagonista di piccole o grandissime vicende, come pure di picchi vertiginosi e di altrettanto vertiginose ricadute. Ma sempre da protagonista, al centro della scena romana, italiana e talvolta mondiale. Questa seconda linea metterà in evidenza le vicende storiche del palazzo, così come raccontano le fonti, le mura e le decorazioni.

«Per mettere in evidenza questa storia – chiarisce Edith Gabrielli – si è scelto di puntare su un allestimento arioso e leggero che lasci la vista libera di apprezzare i pavimenti, i soffitti e le decorazioni alle pareti. L’intera Sala Regia, poi, sarà lasciata a disposizione per gli eventi espositivi».

Ideare un allestimento «arioso e leggero» è stato compito di Michele De Lucchi.

«Progettare un allestimento così importante in un palazzo storico non è cosa semplice – ammette l’architetto De Lucchi -. Ma, in questo caso, il palazzo stesso ci ha fornito la soluzione: le sale di rappresentanza sono caratterizzate da monumentali colonnati a trompe-l’oeil dipinti alle pareti. Per l’allestimento ho pensato così a colonnati esili e sottili, a un porticato staccato dalle pareti che ci ha permesso di risolvere tutti i problemi: esporre le opere in modo adeguato, celare gli impianti e ospitare l’illuminazione».

Che cosa significa, in particolare, esporre le opere in modo adeguato?

«Significa creare attorno ad esse uno spazio di rispetto, un’area che le definisce. Un po’ come la cornice fa con il quadro. Ecco, ogni oggetto ha bisogno della sua cornice. E per le opere tridimensionali, la cornice è rappresentata dalla luce: sono le ombre a dare lo spessore e a evidenziare la percezione della materialità degli oggetti. Mi fa piacere qui ricordare che sarà lo Studio C 14 l’autore degli impianti illuminotecnici»

Articolo di Marco Carminati per Il Domenicale del Sole 24 Ore