Ferguson, lo scozzese illuminato

27 Gen 2016 | 0 commenti

Sul Foglio Quotidiano del 2 dicembre scorso, Niall Ferguson, lo storico di Harvard, ha rilasciato a Giulio Meotti un’intervista assai illuminante dal titolo Ecco come l’Occidente si è illuso. L’intervista tocca nel vivo i problemi aperti, a cominciare da cosa fare in Medio Oriente. Le immagini di questi giorni, relative alla visita in Italia del presidente dell’Iran Rouhani e le conclusioni dell’ennesimo inconcludente vertice dei ministri degli interni europei, ne sono la rappresentazione più calzante. 

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Niall Ferguson

Niall Ferguson è decisamente uno degli intellettuali più influenti e discussi del nostro tempo, pur essendo relativamente giovane (è nato il 1964) e decisamente anti accademico nei toni e nei modi. Piace alla destra, che lo considera un conservatore, meno alla sinistra, che però ritrova nelle sue tesi spunti interessanti. Lui si definisce semplicemente un “classico liberale erede dell’Illuminismo scozzese”. I suoi libri fanno discutere e sono, comunque la si pensi, importanti (fra gli ultimi, editi da Mondadori, Ascesa e declino del denaro; Impero; XX secolo, l’età della violenza).

Leggete l’intervista (chiaramente colta al volo) perché Ferguson è diretto ed efficace e aiuta a capire parecchie cose.   

 

Dieci anni fa, dalle colonne del New York Times, Niall Ferguson parlò di un’“Eurabia” rassegnata all’“islamizzazione strisciante di una cristianità decadente”. Allora il grande storico ed economista scozzese la intuì come “ipotesi plausibile”. Oggi Ferguson ritiene che si tratti di una realtà impossibile da esorcizzare. Fra gli accademici più in vista del mondo, autore di bestseller come “The Ascent of Money” e “Civilization”, docente di Storia dell’economia a Harvard (il prossimo anno passerà a Stanford), fra i maggiori opinion maker anglofoni e firma dei quotidiani di maggior tiratura internazionale, come il Financial Times, Ferguson sta completando la seconda parte della biografia di Henry Kissinger.

 

In questa intervista al Foglio, Ferguson parla della crisi d’identità dell’Europa dopo gli attacchi terroristici di Parigi. “L’Europa affronta tre tipi di problemi. Il primo è una esitazione cronica su cosa fare mentre gli islamisti avanzano in nord Africa e in medio oriente, in particolare mentre i conflitti in Siria, Iraq e Libia subiscono una escalation. Troppa gente pensa ancora alla storia semplicistica dell’ascesa dell’islamismo – sia come ideologia politica che come network di violenza organizzata – ovvero alla colpa dell’occidente e che resistergli renderà soltanto peggiori le cose. Il secondo aspetto è una drammatica sottovalutazione dei pericoli politici di una immigrazione incontrollata dentro l’Unione europea. L’idea di una Europa senza confini è sempre stata utopistica e ora, con 220 mila persone che entrano in Europa via mare ogni mese, dobbiamo ricostruire le frontiere che abbiamo puerilmente smantellato. Terzo, c’è una ‘quinta colonna’ di jihadisti e simpatizzanti dello Stato islamico già dentro ai nostri confini – in gran parte figli e nipoti della prima ondata di immigrati e alcuni convertiti all’islam. La cosa stupefacente è che nessuno di questi problemi è apparso all’improvviso, ma sono lì da anni”. Non tutti erano sordi e ciechi. “Io da anni ho spiegato che l’Europa stava scivolando verso il disastro. Me c’è stata una campagna massiccia degli islamisti e dei loro “compagni di viaggio” occidentali per screditare chiunque lanciasse l’allarme. Se dicevamo di intervenire in Siria, eravamo ‘guerrafondai’. Se mettevamo in guardia dall’immigrazione incontrollata, eravamo ‘xenofobi’. Se denunciavamo la diffusione dell’estremismo nelle comunità islamiche, eravamo ‘bigotti’. E le persone con una mentalità lagnosa sono sempre state attratte da questo tipo di fango”.

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Perché il multiculturalismo è fallito ovunque come via all’integrazione?

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Il presidente Rouhani con Mattarella, nella foto in basso a destra con Renzi

 “L’idea che il moderno stato nazione, o anche una confederazione di stati nazione come l’Unione europea, possa avere più culture è rassicurante in maniera superficiale. In un’epoca in cui il relativismo domina le università, dove è considerato di cattivo gusto ricordare che la civiltà occidentale ha prodotto i momenti chiave della modernità, l’argomento di una uguaglianza delle culture è irresistibile. Ma è doppiamente sbagliato. Primo, se siamo impegnati verso la parità dei sessi, la libertà di espressione, la tolleranza religiosa, non possiamo dare uguaglianza a una cultura che le rigetta tutte e tre, come fa l’islam politico. Inoltre, è evidente che lo stato moderno, con le sue attività collettive e gli alti livelli di tassazione, richiede una forma di omogeneità culturale per essere legittimo. Con grande imbarazzo della sinistra, è in corso un conflitto fra welfare state e multiculturalismo. La lezione americana è chiara: se vuoi immigrazione di massa, hai bisogno di un meccanismo per trasformare i nuovi arrivati in cittadini che accettano le norme dominanti della maggioranza. E anche in quel caso, non sarai in grado di stabilire livelli europei di redistribuzione”.

iran renziNel suo libro “Civilization”, Ferguson scrive che “l’ascesa dell’occidente è, molto semplicemente, il fenomeno storico più eminente della seconda metà del Secondo millennio dopo Cristo. E l’enigma storico più difficile da risolvere”. Ha ancora un futuro l’idea di occidente come motore del progresso e della storia? “Sì, specie negli Stati Uniti ma anche in Europa, almeno spero”, dice Ferguson. “Ci sono ancora persone che credono nei princìpi della libertà individuale. Le società occidentali, compreso Israele, restano le più innovative del mondo, nonostante i progressi in Asia orientale. Continuiamo a dominare il mondo dalla scienza alla cultura popolare. La nostra debolezza è connaturata a certe istituzioni, come i dipartimenti di umanistica nelle università, i media di stato e i partiti politici. E’ lì la malattia del relativismo. Penso che le persone comuni in Europa e nord America sentano profondamente le questioni che stiamo trattando, ma sono alienate da élite politiche e culturali che ripetono ‘lo Stato islamico non ha nulla a che fare con l’islam’, ‘l’islam è una religione di pace’ e ‘wir schaffen das’ (ce la possiamo fare, la versione merkeliana di “yes we can” applicata alla crisi dei rifugiati), dove ‘das’ significa assorbire più di un milione di immigrati ogni anno per un indefinito numero di anni a venire”.

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Statue coperte ai Musei Capitolini. Rohuani: “atto di cortesia”. Il ministro Franceschini: “scelta incomprensibile”. L’avrà deciso uno che passava di lì.

Chiudiamo con la triste profezia con cui abbiamo iniziato l’intervista, la metamorfosi dell’Europa: “Nessuno può prevedere i flussi demografici con certezza, ma è una ipotesi plausibile che la popolazione islamica in Europa continui a crescere nel futuro immediato, come risultato dell’immigrazione e dei differenti livelli di fertilità. E’ altrettanto ragionevole che la forma più militante di islam, il movimento che chiamiamo islamismo, crescerà altrettanto. Non vedo allo stesso tempo una fine nella secolarizzazione delle società cristiane. In linea di principio queste società hanno sviluppato una concezione che prevede i valori dell’illuminismo e del classico liberalismo. Quindi l’islamizzazione sarebbe abbastanza facile da evitare. Ma la verità è che ci ricordiamo delle nostre libertà soltanto quando accade una atrocità come quella di Parigi. Poi, dopo qualche mese, l’oltraggio svanisce e l’illusione ritorna”.

 

 

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