Sul Fatto Quotidiano è apparso un articolo che cerca attraverso dati statistici di fare un po’di chiarezza sul problema immigrazione, regolarmente esploso al momento dell’insediamento del nuovo governo.
I lettori del giornale (almeno scorrendo i commenti in pagina), hanno idee differenti, spesso contrastanti. Anche gli interventi più articolati non sono in grado di fare completa luce su un problema di grande complessità, spinosissimo e divisivo. A prescindere da pregiudizi, idiosincrasie, avversione per il “diverso”, paure.
Le tabelle predisposte dall’ISPI sono parziali e fuorvianti, come qualche commentatore sostiene? Sulla parzialità vorrei vedere altro! Nemmeno l’autore ha la pretesa di dire una parola definitiva sul tema. Ciò non toglie che le 4 tabelline siano assai eloquenti. Mettono, cioè, parecchie cose al loro posto, per chi abbia la pazienza di approfondirle.
Rimando quindi al testo, premettendo alcune considerazioni volte a fissare alcuni punti fermi sul tema immigrazioni.
1- E’ un fenomeno endemico, storicamente connaturato, aggravato nello specifico da cause vecchie e nuove. Fra queste ultime lo squilibrio oramai intollerabile fra paesi ricchi e quelli poveri, vera sconfitta del capitalismo dalle “magnifiche sorti e progressive “. Se esse non si rimuovono il fenomeno è destinato a durare indefinitamente. Basta parlare di emergenza, dunque. Ciò implica una risposta planetaria e non solo europea; organica, stabile, economicamente assai onerosa.
2- Per limitarci al bacino del Mediterraneo non esistono (o sono assai limitate allo stato delle cose) le iniziative politiche di reale efficacia sul continente africano o sul Medioriente, perché sono aree di turbolenza politica e di instabilità. Manca in sostanza l’interlocutore, né una prova di forza verso i paesi nei quali l’immigrazione si crea o transita cambierebbe le cose, anzi!
2- E’ necessario distinguere fra immigrato rifugiato e immigrato clandestino? Il primo scappa da guerra, regimi totalitari e violenti, discriminazioni, persecuzioni, ecc. I secondi prevalentemente dalla siccità e fame, da una vita di stenti, senza prospettive, delle malattie, da contesti con altissima mortalità infantile, dalla mancanza di ogni tipo di assistenza, col qualità e livelli di vita subumani.
Sul piano del rispetto dovuto alla loro dignità umana, per un elementare senso di umanità e solidarietà, fa una grande differenza? Questa distinzione va perciò abolita.
3- Il tema “ma non possiamo accogliere tutti”, oltre che smentito dai numeri e dalla realtà di ogni giorno, ci dice solo una cosa: che l’impegno non può limitarsi nell’immediato e ancora più in prospettiva a uno scarico del “residuale” (che brutta espressione Piantedosi!)
4)- Allo stato non esistono le condizioni, nemmeno in Europa, per un grande progetto unitario in grado di avviare un piano di accoglienza e integrazione. Così ci dice un minimo di realismo politico. Il Regolamento UE n. 516 del 2014 istitutivo del Fondo asilo migrazione e integrazione è fallito, come i provvedimenti successivi. Ma può e deve esistere un piano B.
5- Deve esistere, preciso, perché l’assenza di un piano non elimina il fenomeno, bensì lo aggrava, e ciò a prescindere dal gravissimo e vergognoso “conteggio” dei morti affogati. La guerra alle navi delle ONG sono un falso problema: non sono le navi in mare ad attirare i migranti, ma l’assenza di un piano organico e condiviso di intervento che lascia spazio agli scafisti che speculano sulla disperazione e sul naturale desiderio di lasciarsi alle spalle paure, stenti, povertà, malattie e violenze.
6- Un piano B di accoglienza e integrazione è tale se raggiunge questi due obiettivi:
-una accoglienza dignitosa e sicura in hotspot dislocati in tutt’Italia; identificazione, concessione diritto di asilo europeo, avvio nei paesi di destinazione per il processo di integrazione; espulsione nei soli casi in cui non esista il diritto di asilo.
-istituzione di un fondo europeo permanente per l’immigrazione, gestito da un’autorità sovranazionale ad hoc, con ampi poteri di intervento sia nei rapporti in materia fra gli Stati, sia per la gestione delle sicurezza sui mari e nei centri di accoglienza, sia sui criteri di distribuzione delle risorse, punitivi per i Paesi che rifiutano o ostacolano l’accoglienza. Fra qualche giorno, anche in conseguenza dello scontro fra Italia e Francia sulla nave ONG Ocean Viking si riuniranno i ministri europei degli Interni. Sarà la volta buona?
Articolo di Mattia Villa dell’ISPI (Istituto per gli studi di politica internazionale) Milano
Prima di tornare al braccio di ferro con Parigi, Giorgia Meloni aveva ringraziato il governo francese “per la decisione di aprire i porti alla nave Ocean Viking e condividere la responsabilità dell’emergenza migratoria, fino ad oggi rimasta sulle spalle dell’Italia e di pochi altri stati del Mediterraneo”. Ma lo sbarco in Francia dei 234 migranti soccorsi nel Mediterraneo centrale e ora diretti a Tolone, oltre ad essere un magro risultato per il governo, è soprattutto inutile. A dirlo sono i numeri, quelli che il ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI) Matteo Villa prende dai dati ufficiali e rielabora per facilitare la comprensione di fenomeni complessi come l’immigrazione. Nelle ore in cui si attendeva di capire come si sarebbe risolto lo scontro tra il Viminale e le Ong, Villa pubblicava alcuni grafici per rispondere, numeri alla mano, ad alcuni luoghi comuni sui migranti a partire da quelli che descrivono un’Italia abbandonata dall’Europa.
“l’Europa non ci aiuta” – “Vero”, commenta Villa sul suo profilo twitter. “Ed è anche vero che, numeri alla mano, saremmo noi a dover aiutare l’Europa”, aggiunge. E di seguito pubblica il primo di quattro grafici dedicati alla questione con i dati dell’UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati). Si tratta del numero dei rifugiati accolti da alcuni Stati europei nel 2021 in rapporto alla popolazione del paese ospitante. In Italia i rifugiati sono lo 0,2% della popolazione. Tra gli altri, in Francia sono lo 0,7%, in Germania l’1,5% e in Svezia il 2,3%. “L’Europa non ci aiuta malgrado accogliamo tutti, e tutti restino da noi? Falso”, è la risposta. “Non siamo mai stati il Paese che più accoglie rifugiati. Anzi, subito prima della crisi ucraina, eravamo tra gli ultimi.
“Eh, ma dopo la crisi ucraina…” – “Anche dopo la crisi ucraina”, scrive Villa. “Sul fronte dell’accoglienza di rifugiati e profughi rimaniamo nella parte bassa della classifica. Notate il numero di accolti dalla Germania e, in questo caso, persino dalla Polonia”, scrive in riferimento al secondo grafico, che per l’anno 2022 somma ai rifugiati i profughi ucraini. Sempre in rapporto alla popolazione, il numero delle presenze in Italia è pari allo 0,5%. In Francia è lo 0,9% e in Germania il 2,7%, con la Polonia che dall’ultima posizione del primo grafico passa in testa con un rapporto del 3,7%.
“Eh, ma le richieste d’asilo…” – “Se consideriamo quelle presentate negli ultimi due anni (o, meglio, negli ultimi 24 mesi a disposizione) l’Italia è indietro rispetto a tanti altri. Insomma, non svettiamo come caso particolare”, scrive il ricercatore dell’ISPI a commento del terzo grafico, che riflette numeri ormai noti, in linea con quelli degli anni passati. Grecia, Germania, Spagna, Francia, Paesi Bassi e Svezia hanno tutti un rapporto tra richieste d’asilo presentate e popolazione nazionale più alto dell’Italia, che si ferma allo 0,16%, a fronte dello 0,42% della Grecia e dello 0,36% della Germania.
“Ma altro che asilo, qui restano tutti gli irregolari…” – “Falso. Il numero degli irregolari non cresce da tempo, e non è correlato agli sbarchi. Il motivo: chi può, se ne va”, è il commento al quarto e ultimo grafico, che negli anni della “grande invasione”, 2014-2017 e il recente periodo post pandemico, segnala una presenza costante di irregolari rispetto alla presenza di stranieri nel nostro paese. Peraltro, aggiunge Villa, “il numero di irregolari presenti in Italia è simile a quello di altri grandi Paesi europei”.
In conclusione, scrive ancora, “prima di chiedere una mano all’Europa, o meglio a quei pochi Paesi europei che attacchiamo ma sono gli unici ad aiutarci (Germania, Francia, ecc.), chiediamoci cosa e quanto stiamo facendo noi. La risposta è chiara: la solidarietà dovrebbero chiedercela gli altri“. Numeri e analisi che riguardano da vicino anche la gestione della prima crisi dei migranti del nuovo governo Meloni, conclusa con lo sbarco di tutte le persone attraccate a bordo di navi umanitarie e con la rotta verso la Francia della sola Ocean Viking di Sos Mediterranee: 234 persone tra cui 55 minori. Sono i dati del nostro ministero dell’Interno a dirci che appena un migrante su dieci sbarca in Italia grazie al soccorso delle Ong. Il restante 90% viene soccorso dal altri, compresa la nostra Marina, o arriva per conto proprio. Già autore con Eugenio Cusumano di uno studio pubblicato dall’European University Institute sull’attività delle Ong nel Mediterraneo centrale che mostra l’inconsistenza della teoria che accusa il soccorso umanitario di attrarre la migrazione (pull factor, ndr), Villa è tornato in questi giorni sulla questione, sempre a partire dalla elaborazione dei dati ufficiali.
“Ha senso contrastare le Ong? No, perché gli arrivi da navi Ong costituiscono solo l’11% del totale degli sbarchi. Persino meno che negli anni scorsi. E no, perché chiedere il ricollocamento dei soli migranti sulle Ong fornisce una scappatoia a chi non ci aiuta”, scrive. “Proprio perché i migranti soccorsi dalle Ong sono una piccola parte del tutto, ottenerne il ricollocamento non contribuisce a sollevare pressione dall’Italia. Ci abbiamo provato nel 2018-2019. Risultato: 6% ricollocati, 94% rimasti in Italia“, riporta. Ancora: “Chi poi ci aiuta con il ricollocamento di chi sbarca dalle navi Ong è chi già fa di più: Germania, Francia, Irlanda. Chi non ci aiuta mai? I soliti noti: Ungheria, Polonia e il resto dei Paesi orientali“. Quindi? “Quindi per l’Italia rimane un’emergenza, che si chiama prima accoglienza. Non facile gestire, a rischio abusi e sprechi. Un costo netto e forte, per persone che magari tra un anno non saranno più qui ma si saranno trasferite in un altro Paese europeo”, spiega Villa. E suggerisce un’altra strada: “La strategia migliore per l’Italia è chiedere soldi all’Europa, non un aiuto nel ricollocare migranti. I soldi sono “invisibili”. Una volta accolte, le persone che lasciano l’Italia saranno già espressione della (implicita) solidarietà europea”.