GLI UNTORI DEL WEB

30 Nov 2017 | 0 commenti

 

 

 

Il problema di oggi è che le cose accadono mentre cambiano. Si dirà che è sempre stato così, anzi in passato era anche peggio: la diffusione meno rapida dei fatti ci dava l’idea di un mondo ricostruito con materiali vecchi, con diapositive sbiadite.

Ma, comunque, i fatti erano lì, esistevano o erano esistiti, oggi sembra che ne possiamo fare a meno. Almeno questa è la tesi della autorevole rivista americana New Scientist. In questi anni di silicio e algoritmi i fatti influenzano sempre meno le nostre opinioni. Crediamo a ciò che ci piace credere. Sicché è sbagliato pensare che una verità acclarata abbia la meglio rispetto ad una bufala, magari furba e rassicurante, perché non è così. Il comico americano Stephen Colbert (anche lì hanno il loro Beppe Grillo), ha coniato una nuova parola (truthiness) che possiamo tradurre come “veritezza”, che altro non è che la spinta a credere che una realtà sia vera anche se non basata sui fatti, purché assecondi i nostri preconcetti.

Scrive Gery Palazzotto in un articolo per il Foglio: “L’avversione e il desiderio sono facce della stessa medaglia: sia che moriamo dalla voglia di qualcosa, sia che la detestiamo sempre di ossessione si tratta. Un’ossessione che tradotta in merchandising editoriale significa dare alla gente quel che la gente si aspetta..” In parole semplici: l’informazione è manipolatrice e basta.

Le bufale sono state al centro dell’incontro promosso da Renzi alla Leopolda la settimana scorsa. Che il tema sia delicato, specie per la politica, è evidente, poiché a spararle grosse, blandendo le peggiori emozioni, si vince alla grande. L’uso spregiudicato di Twitter, calpestando fatti, verità e buona creanza, ha contribuito alla vittoria di Trump.

Sempre nell’articolo citato vengono riferiti i risultati di uno studio di un gruppo di lavoro sui media dell’Università dell’Indiana: fra la diffusione di una bufala e quella di un articolo che la smentisce passano circa 13 ore. Osserva Palazzotto: “Un tempo infinito nel moltiplicarsi dei clic sui siti e social network che, con la complicità di Facebook, amplifica a tal punto l’effetto della fake news da rendere inefficace ogni rimedio”. Verità dei post e post-verità vanno a braccetto.

Per tornare alla Leopolda, l’accanimento di Renzi verso il Movimento 5S non sembra dettato solo dalla rivalità politica. Il web ha oramai sostituito piazze e giornali di carta, anche se non i treni (per fortuna incontrare la gente ha ancora un valore), quindi la rete è diventata nevralgica per le democrazie parlamentari. Renzi non ha esitato a denunciare il Movimento come untore del web, cioè l’artefice principale della diffusione in rete di panzane.

Di recente BuzzFeed, il sito americano di raccolta e diffusione di informazioni sul web, ha lanciato una campagna anti-contraffazione. BuzzFeed sembra dare ragione a Renzi, dal momento che ha scritto che il M5S è il leader nel diffondere notizie false. Non solo sul sito-blog di Beppe Grillo, ma anche sui redditizi siti satelliti, quali La Fucina, La Cosa, Tze-tze.

E’ possibile fare qualcosa per fermare questo uso distorto e pericoloso di diffondere bufale anziché notizie?

Due strade vengono suggerite: impedire che chi spaccia bufale la passi liscia, perché oggi è così nel far-west della rete. La tasca o l’oscuramento possono essere le armi opportune, meglio la prima che il secondo.

Poi, nel lungo periodo, il solito lavoro per rafforzare la capacità critica dei webernauti e la lotta ai preconcetti, stereotipi, credenze e credulità varie: vasto programma!

 

 

 

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