HOTEL CHELSEA

6 Mag 2021 | 0 commenti

L’ultima battaglia per l’hotel maledetto: da Bogart a Kerouac, al «Chelsea» è successo di tutto. Ora i pochi residenti resistono ai piani per renderlo un luogo di lusso.

Patti Smith e Robert Mapplethorpe, la poetessa e il fotografo, belli e dannati, che vegliano su New York dalla scala antincendio di ferro battuto arrugginito come due angeli in maglietta lisa e jeans stracciati. «La camera 546 basta da sola a farti star male, la camera 115 con le regine del sadomaso», Nico che canta Chelsea Girls nell’albergo che l’ha ispirata, dedica al veleno di Lou Reed e Sterling Morrison. Tennessee Williams con i comodini pieni di tranquillanti, Arthur C. Clarke e 2001 Odissea nello spazio su una macchina per scrivere a noleggio e porta di corsa le pagine a Stanley Kubrick, sull’Upper East Side, il futuro papà di Arancia Meccanica non amava i luoghi malfamati. Nancy Spungen ragazza di Sid Vicious morta ammazzata nel bagno della camera 100, martire del punk. Le notti senza fine di Iggy Pop, camera 126, la stessa di Bette Davis molti decenni prima. Humphrey Bogart già ubriaco al momento del check-in, che continua a bere in camera finché svenimento non sopraggiunga, rinviene la mattina successiva lasciando la camera sfasciata, mobili rotti, vomito ovunque.

Patti Smith al Chelsea

Il giovane Jack Kerouac bellissimo e non ancora sfregiato dall’alcol e dalla tristezza, ciuffo nerissimo alla Elvis accuratamente bagnato e accuratamente pettinato, che sorride davanti alla macchina fotografica dell’amico Allen Ginsberg. Janis Joplin sorridente nell’androne caotico e allegro, ignara della sorte avversa che di lì a poco la farà finire malissimo, come tante altre ospiti, Edie Sedgwick musa piromane di Warhol che viveva nella camera 105, quando non la cacciavano i pompieri per spegnere uno dei numerosi incendi che le piaceva appiccare.

Tutti al Chelsea Hotel vissero — e a volte morirono — i grandi della letteratura, del cinema, del teatro, del rock. Il palazzo ottocentesco disegnato da un francese un po’ matto, casa-museo del sogno di una Bohème impossibile è speciale perché di solito — «di solito» non vale al 222 West della 23esima strada, New York, New York — sono gli alberghi di lusso a diventare famosi ma dall’inizio il Chelsea è stato un’altra cosa. Una comune. Un rifugio per artisti, dove i gay non venivano discriminati nei decenni della semiclandestinità pre-Stonewall (1969), dove le donne maltrattate in fuga dai mariti violenti trovavano privacy e, finalmente, pace.

Marzo 1969 La cantante Janis Joplin di fronte all’ingresso del Chelsea Hotel a New York

Il Chelsea era secondo un drammaturgo famoso che lì si rifugiò dopo la fine del matrimonio con un’attrice, una certa Marilyn Monroe, «Un caos spaventoso e ottimista, e allo stesso tempo la sensazione di una famiglia enorme, antiquata, protettiva», Arthur Miller scripsit.

Peccato che da un decennio questa specie di comune sia chiusa al pubblico: il restauro senza fine, raccontato dal New York Times, è l’ultimo atto di una storia un po’ deprimente, i vecchi proprietari che muoiono, vendono, e poi le cause civili e infine il subentro di un grande gruppo alberghiero che vorrebbe liberarsi dei 50 residenti «long-term», i superstiti che non sono però sfrattabili causa bizantine regole delle locazioni nella città con gli affitti più cari del mondo occidentale.

Ecco così accuse reciproche, fotografie di lavori senza fine che provocano allagamenti, rumore, polvere, rischio amianto e altro. Traslocare? Improponibile perché chi vive al Chelsea oggi pagando da mille a quattromila dollari al mese non troverebbe nulla a New York di lontanamente paragonabile.

Soluzione? I lavori finiranno presto, e a pandemia superata, a fine anno, è prevista la grande inaugurazione, il Chelsea polveroso e incasinato (e francamente non pulitissimo) dei tempi che furono si reincarnerà in un hotel di lusso (prezzi a partire da seicento dollari a notte) con un nome speciale e un passato glorioso e un futuro costoso, il bar affollato e i cocktail da 35 dollari, le serate a inviti, gli eventi «corporate», influencer e Instagram, la morte della Bohème.

Articolo di Matteo Persivale per il Corriere della Sera

Di seguito il video di Leonad Coen ispirato dal celebre hotel.

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