IL MONDO: UNA CITTA’ GLOBALE IN DISORDINE

25 Ott 2025 | 0 commenti

L’ultimo «sforzo richiesto al mondo è evitare il destino della Repubblica di Weimar». L’esperienza della Repubblica tedesca durò quindici anni, dal 1918 al 1933, e fu segnata da un grande fermento culturale, animata da scrittori come Thomas Mann, Herman Hesse, da poeti come Rainer Maria Rilke, dalle sperimentazioni architettoniche della Bauhaus. Ma in un clima perennemente precario, decadente, raccontato, fra l’altro, da Berlin Alexanderplatz, il romanzo di Alfred Doblin, uscito nel 1929. E, soprattutto, una società guidata da un governo geneticamente debole, fondato su un sistema istituzionale contorto, confuso. Uno scenario di anarchia che aprì la strada alla violenza, alla dittatura, ad Adolf Hitler: più o meno lo stesso quadro che Robert Kaplan immagina per i nostri tempi. È la tesi principale, non l’unica, del suo nuovo libro Il secolo fragile.

«Sia chiaro — dice Kaplan a “la Lettura” — non sto prevedendo l’avvento di un altro Hitler o qualcosa del genere. Ciò che mi interessa di Weimar è che i suoi fondatori, i suoi organizzatori erano così preoccupati che potesse spuntare un altro dittatore che si lanciarono all’estremo opposto. Adottarono un sistema in cui nessuno governa, nessuno è al potere. Un assetto sempre in crisi, immerso nel caos».

Nel suo libro, Kaplan sostiene che oggi la Terra, «rimpicciolita dalla tecnologia», somiglia molto alla Germania del primo Novecento: una «Weimar geopolitica». Nessuno è in grado di esercitare un’egemonia globale. Non più gli Stati Uniti. Non ancora, se mai avverrà, la Cina. La crisi delle istituzioni multilaterali e del diritto internazionale è da tempo sotto gli occhi di tutti. Kaplan riprende una brillante e amara definizione del politologo Ian Bremmer: non conta il G7, il gruppo che comprende le sette potenze più industrializzate del mondo; non conta il G20, la formazione che include le nuove grandi realtà economiche (dalla Cina all’India). Viviamo nell’era del «G0»: tanti vertici, zero decisioni.

Nell’analisi di Kaplan scorre una robusta corrente di pessimismo. L’autore lo dichiara esplicitamente in questo passaggio, nel primo capitolo: «Devo affrontare un tema sgradevole per il lettore. Il presupposto che la natura umana non migliorerà. Come faccio a esserne certo? Non lo sono, ma do per scontato che sia così. Per spiegarmi, permettetemi di prendere in esame il pensiero del più autorevole ed efficace portavoce della tesi secondo cui la natura umana stia cambiando in meglio: Steven Pinker, psicologo cognitivo di Harvard». Segue un conciso esame del saggio di Pinker: Il declino della violenza. Perché quella che stiamo vivendo è probabilmente l’epoca più pacifica della storia, pubblicato nel 2011 (in Italia da Mondadori nel 2013). Kaplan nota che è difficile concordare con Pinker, osservando la guerra in Ucraina e a Gaza. Nei secoli e negli anni, la propensione alla violenza non è mutata, ma casomai ha preso forme diverse e oggi si è incanalata su internet, sui social. «L’umanità è perversa come è sempre stata, semplicemente la tecnologia si è evoluta». Su un punto cruciale, però, Kaplan concorda con Pinker: «Spesso è solo un numero ridotto di uomini a causare disordini violenti in una regione o nell’intero globo». È la seconda tesi del libro.

Una di queste figure è sicuramente Vladimir Putin. Kaplan introduce il tema con il suo stile, ripercorrendo gli eventi fondamentali della storia russa, citando scrittori come Aleksandr Solženitsyn e il suo monumentale ciclo di romanzi della Ruota rossa, o storici come Barbara Tuchman (I cannoni di agosto). Ma poi si affida soprattutto alla «profezia» di Henry Adams, il nipote del sesto presidente degli Stati Uniti, il poliglotta John Quincy Adams, e il bisnipote di John Adams, il secondo presidente e uno dei «Padri fondatori» del Paese. Henry non fu attratto dalla politica, ma dagli studi e dai viaggi. Visse tra l’Ottocento e il Novecento. Nel 1907 pubblicò una sorta di diario, intitolato L’educazione di Henry Adams. Tra le sue intuizioni fulminanti, scrive Kaplan, c’è questa: «Il nodo principale dell’Europa era e sarebbe stata la Russia». Una realtà «troppo vasta, troppo bizantina, quasi troppo asiatica» per poter convivere con le democrazie europee. Putin sarebbe l’ultimo erede dell’incompatibilità russa con i sistemi politici del Vecchio Continente. Vero, negli anni Novanta c’era stata la fugace illusione di un’apertura verso Occidente, con Boris Eltsin al vertice del Cremlino. Bill Clinton inviò nutrite squadre di consiglieri ed economisti per trapiantare il capitalismo in quel Paese sconfinato. Fallimento su tutta la linea: Putin ci ha riportato «nel solco della storia, tracciato da Henry Adams». L’assalto all’Ucraina, però, in prospettiva può avere un effetto paradossale. Kaplan ce ne parla direttamente: «La Russia continuerà a rappresentare una grande sfida, ma questi anni di guerra la stanno sfiancando. Vediamo che perde terreno in Africa, in Moldova, nel Caucaso, in Siberia, nell’Estremo Oriente».

E siamo alla terza tesi: tutte le grandi potenze sono in declino, soprattutto sotto il profilo geopolitico. Gli Stati Uniti sono usciti indeboliti dalle guerre in Afghanistan e Iraq, «due imprese imperiali di enorme portata»: un doppio disastro che ha spianato la strada alla vittoria di Donald Trump nel 2016. Nel corso del suo primo mandato, l’America ha patito una caduta di credibilità, che Joe Biden ha recuperato solo parzialmente. E adesso ci risiamo. Ma anche la Cina si trova su un piano inclinato. Il presidente Xi Jinping ha abbandonato la rotta tracciata dallo «straordinario governo di Deng Xiaoping», dal 1978 al 1989. Deng, «una delle figure più sottovalutate del Novecento», ripescò la Cina dalla miseria ereditata da Mao Zedong, ne trasfigurò l’economia, senza, però, aprire alla democrazia. Certo, resta la macchia storica della repressione di piazza Tienanmen, nel giugno 1989, con centinaia, se non migliaia di morti tra gli studenti. Ma con Xi Jinping la situazione è diventata molto più rischiosa. Il giudizio di Kaplan è molto duro: «Xi è un ideologo leninista per il quale il principio guida è la forza».

In definitiva, oggi abbiamo alla testa delle tre super potenze militari comandanti instabili o pericolosi che si muovono in un contesto praticamente senza regole, con opinioni pubbliche spesso intossicate dai social. È questa la nuova Weimar, la città globale che sprofonda nell’anarchia e che prepara il terreno più favorevole alle guerre.

Giuseppe Sarcina, La lettura, Corriere della Sera

Kaplan nato a New York nel 1952, si è occupato a lungo di affari esteri per «The Atlantic». Titolare della cattedra di Geopolitica presso il Foreign Policy Research Institute di Filadelfia, è stato membro del Defense Policy Board del Pentagono

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