Dal sito BIT CULTURALI riprendo le interessanti recensioni relative a due eventi che vedono protagonisti due fotografi. Una mostra a Lecce in cui vengono esposte le immagini realizzate con l’iPhone da Robert Herman, e la mostra antologica di Arturo Zavattini a Roma. La prima recensione è firmata da Diego Pirozzolo, mentre il secondo pezzo è della redazione del sito (http://www.bitculturali.it/).
Nato a Brooklyn, Herman (robert@robertherman.com) scopre il valore delle immagini facendo l’usciere nel cinema di famiglia. Regolari studi di fotografia e poi fotografo di scena. Ma al set preferisce le strade di N-Y. , la vita di periferia. Si segnala per la sapiente scelta di immagini, sorrette da una robusta cultura estetica, che si richiama al meglio della cultura informale e pop.

Robert Herman
Scrive Herman sul sub blog: “ New York City è come una miniera di diamanti. La pressione la trasformerà in una polvere di carbone o un gioiello dalle mille sfaccettature. Per sopravvivere in uno stato di grazia, è assolutamente necessario sviluppare una coscienza Zen, scegliere consapevolmente uno stato di apertura mentale è utile per fare fotografie. Per parafrasare il critico d’arte John Berger: una fotografia che sorprende il fotografo quando la fa, a sua volta, sorprende lo spettatore. Lo studio dei newyorkesi è iniziato quando ero ancora studente alla New York University, quando stavo imparando ad essere un fotografo. Vivevo a Little Italia e tutti intorno a me sembravano essere buoni soggetti: l’uomo che ha cambiato le gomme, il sovrintendente del palazzo accanto. Ovunque ci sono sincronicità e coincidenze. La fotografia è un modo di rivelare relazioni nascoste che sono presenti solo per un momento, nello spazio e nel tempo, visto da un punto di vista unico. Fotografando i newyorkesi per le strade della città ho toccato il massimo della mia scoperta come fotografo.”
Che il Salento abbia deciso di ospitare le sue opere è il segno della sensibilità che questa bellissima terra sa riservare agli artisti di spessore e originalità, com’è Robert Herman, che così viene presentato da Diego Pirozzolo:

Unq foto i-phone di Robert Herman
“Per le strade di New York muovendosi accompagnato da una Nikon F, impressionando colori, volti, negozi, vetrine, catturando lo spirito ed il fermento di una città incredibile con eleganza formale ed in modo del tutto personale; ci riferiamo al primo grande lavoro di Robert Herman raccolto in un libro dal titolo “New Yorker“.
Sul piano dell’estetica dell’immagine Herman è uno street photographer che parte dalla città per cogliere aspetti non altrimenti visibili se non attraverso il disvelamento operato dal mezzo fotografico. Non vi è attimo decisivo, ma principalmente una rivelazione dove i colori, i volti assumono un ruolo chiave, quasi concettuale, nella tradizione della scia lasciata da William Egglestone, ma con un certo dinamismo barocco.

Una foto di Robert Herman
A Lecce, dall’ 8 al 22 dicembre 2015, presso la galleria LO.FT – Locali Fotografici sarà possibile ammirare 30 immagini a colori realizzate con l’iPhone e tratte dal libro “The Phone Book”, pubblicato ad ottobre 2015 da Schiffer Publishing.
Curata da Roberta Fuorvia, la mostra documenta l’evoluzione di stile di Herman, che utilizzando un iPhone riesce a muoversi celermente nelle città, rendendosi quasi invisibile, per cogliere la vivacità e l’essenza dei luoghi visitati in giro per il mondo.
In ogni foto sono indicati luogo, data, ora, latitudine e longitudine. È un modo questo per attribuire una propria identità alle immagini e per “tracciare una mappa del mondo fatta di luci e colori, di eccitazione e trasparenza, di illusioni e speranze”.
All’articolo ho aggiunto un video che meglio illustra l’opera dell’artista.
Il Ministero del beni culturali, nella sua pagina web, così presenta la mostra di Andrea Zavattini:
“Arturo Zavattini è noto, oltre che come operatore cinematografico e direttore della fotografia di molti film importanti, non solo italiani, come fotografo in ambito etnografico per aver accompagnato Ernesto de Martino, nella sua spedizione in Lucania nel 1952. Egli ha continuato, tuttavia, a praticare la fotografia per molti anni producendo un numero cospicuo di immagini. La sua cultura fotografica è maturata a stretto contatto con il Neorealismo italiano e con il realismo americano (ebbe modo di conoscere Paul Strand nel corso della realizzazione del celebre volume fotografico Un Paese). Arturo Zavattini ha saputo legare aspetti della cinematografia e della fotografia, con curiosità, arguzia, spirito critico.
Zavattini, preziosa memoria dell’epoca, ha lavorato, negli ultimi anni, a reperire immagini e a mettere ordine nel suo archivio in modo che si può ora realizzare una mostra completa su di lui, che copre un decennio (1950-1960), di grandissimo interesse per la storia dell’immagine e per quella del nostro Paese.”

Uno scatto di Zavattini in Lucania
Questa la recensione di BIT Culturali:
A Roma l’Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia ospita, nelle sale del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, la mostra antologica di Arturo Zavattini, ideata e curata da Francesco Faeta e Giacomo Daniele Fragapane.

Zavattini in Lucania
L’esposizione, aperta al pubblico dal 5 dicembre 2015 fino al 28 marzo 2016, presenta oltre 170 fotografie di grande formato, in massima parte inedite, che illustrano l’intensa attività fotografica di Zavattini tra il 1950 e il 1960, decennio cruciale della storia del Novecento.

Una foto di Arturo Zavattini
In mostra un nucleo omogeneo è costituito dalle immagini realizzate a Tricarico nel giugno del 1952 nell’ambito della famosa spedizione etnografica in Lucania di Ernesto De Martino e qui concesse dal Centro di Documentazione Rocco Scotellaro. Vi sono poi immagini realizzate a Roma, a Napoli e in altre città e contrade italiane, che documentano la vita sociale in strada, e in particolare la condizione dei bambini del popolo. Zavattini, effettua nel 1956 un reportage a Bangkok, a Phetchaburi e nel nord della Thailandia, che qui è esposto per la prima volta: sono immagini scattate a latere delle riprese del film La diga sul Pacifico di René Clément, tratto dall’omonimo romanzo di Marguerite Duras: rare immagini di quei luoghi in quell’epoca.
Sono invece del 1960 le immagini realizzate a Cuba che includono un inedito Ernesto “Che” Guevara, incontrato casualmente subito dopo la rivoluzione, in occasione delle riprese del film del regista Tomás Gutierréz Alea, Historias de la revolución, alle quali Zavattini collaborò in veste di operatore nell’ambito di un progetto italiano di sostegno alla nascente cinematografia cubana.
Suggestiva è la sezione dedicata al rapporto dell’autore con il set: fotografie di backstage con personaggi di grande popolarità come Federico Fellini, Vittorio De Sica, Marcello Mastroianni e Sofia Loren colti nelle pause delle lavorazioni da uno sguardo curioso e confidenziale.
La mostra, accompagnata da un catalogo edito da Contrasto, è realizzata dall’Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia/Museo Nazionale Arti e Tradizioni Popolari – MiBACT, Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, in collaborazione con l’Università degli Studi di Messina (Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne), l’Archivio Cesare Zavattini, Roma, con il patrocinio delle associazioni AISEA (Associazione Italiana di Scienze Etno-Antropologiche), ANUAC (Associazione Nazionale Universitaria degli Antropologi Culturali), SIMBDEA (Società Italiana per la Museografia e i Beni Demoetnoantropologici), SISF (Società Italiana di Studi sulla Fotografia).