AL CHIOSTRO DEL BRAMANTE DI ROMA UNA MOSTRA DI BASQUIAT- CONTROVERSO E DISTURBANTE ESPONENTE DALL’AVAGUARDIA USA NEGLI ANNI ’80, ISPIRATO DALLA CULTURA AFRO, DALLA MUSICA E DALLA SCRITTURA, SPESSO PRESENTE NELLE SUE OPERE DI ANGOSCIANTE RIBELLISMO
Spaziando di tecnica in tecnica, dall’olio all’acrilico, dal disegno alla serigrafia, arrivando fino alla ceramica, passando per alcune importanti collaborazioni con Andy Warhol, il percorso riunisce circa cento opere realizzate tra 1981 e 1987, provenienti dalla collezione di Yosef Mugrabi.
Ovvio che anche la morte prematura a soli 27 anni per un’ overdose abbia contribuito a far di lui, Jean-Michel Basquiat, una sorta di leggenda: l’ artista afroamericano maledetto tutto genio e sregolatezza, the king delle rutilanti notti newyorchesi anni Ottanta, il sodale di Andy Warhol e Madonna, futura star con cui l’ allora novello Caravaggio dell’ underground ebbe una fugace ma intensa love story.
Da antologia, per capire il clima del tempo, un articolo di qualche anno fa che Louise Veronica Ciccone affidò alle colonne del Guardian : «…Aveva la presenza fisica di una star del cinema ed ero pazza di lui. Aveva le tasche di quei suoi abiti Armani macchiate di vernice, piene di mucchi di soldi stropicciati.
L’ avere soldi lo faceva sentire in colpa. Non faceva altro che darli agli amici meno fortunati. Mi ricordo il tag di Jean-Michel, Samo, accompagnato da una piccola corona, e ricordo che pensavo fosse un genio. E lo era. Ma non ci si sentiva a proprio agio con lui.
Mi ricordo tutte quelle ragazze innamorate… una notte mi affacciai dalla finestra del suo loft e vidi una ragazza a cui aveva spezzato il cuore che bruciava i suoi quadri in un falò. Volevo fermarla, salvare i quadri, ma a lui sembrava non importare».
Ed ora a questo celebre, anzi celeberrimo James Dean dell’ arte secondo Novecento il Chiostro del Bramante dedica un’ ampia antologica, la stessa grossomodo vista a Milano pochi mesi fa, con più di un centinaio di opere provenienti dalla mastodontica collezione di Jose Mugrabi, imprenditore israelo-americano che possiede migliaia di opere, Warhol e lo stesso Basquiat in primis.
Dipinti, disegni, serigrafie, ceramiche, alcuni tra i famosi lavori realizzati a quattro mani con Andy (il sodalizio Basquiat-Warhol si spezzerà sfociando poi in una rottura mai sanata): la mostra romana, curata da Gianni Mercurio, descrive bene la veloce ma intensa parabola creativa di JMB, quasi tutta compresa nel breve volgere di un lustro abbondante, dal 1981 al 1987; una parabola turbolenta dove è impossibile scindere segno ed esistenza.
E sia del primo sia della seconda nel tempo s’ è detto tutto: il graffitismo originario, l’ elemento tribale, quello materico, l’ importanza della scrittura nei suoi lavori, il carattere drammatico e di denuncia della sua opera, il riuso di materiali di scarto, l’ altro sodalizio importante con Keith Haring, la divorante ambizione di un artista celebrato già a vent’ anni come una superstar.
«Come diventare Re? Prima di tutto crederci. È un requisito fondamentale per chi ha un obiettivo così ambizioso e il giovane Jean-Michel – scrive Mercurio nell’ azzeccato incipit del suo saggio – sembra avere già le idee chiare in proposito. A diciassette anni, al suo rientro in famiglia dopo l’ ennesima fuga da casa, dice al padre: Papà un giorno diventerò molto, molto famoso».
Profezia avverata, in un vorticoso mix di arte, colori urlanti, ribellismo, Tribeca, East Side, e notti selvagge che hanno valso a Basquiat il gallone di celebrità planetaria.
Articolo di Edoardo Sassi per il Corriere della Sera – Roma