MINA FOSSATI

12 Dic 2019 | 0 commenti

 Ho incontrato Mina per la prima volta nel 1970. Io vidi lei ma lei non vide me. Ero fra il pubblico, in galleria, al teatro Margherita di Genova.

Il programma di quella sera era un recital di Mina e Giorgio Gaber. Mi piacevano entrambi e ci andai da solo. Un po’ perche i miei amici – venivamo tutti dalla periferia – erano intimiditi dai teatri e i cantanti andavano ad ascoltarli solo nei locali da ballo. E un po’ perche di fronte alla musica mi piaceva stare concentrato, senza distrazioni, quindi da solo era anche meglio. In quel teatro ci avevo sentito Stan Getz, il Modern Jazz Quartet, Charles Aznavour e poi i Rokes e l’Equipe 84. La musica mi interessava tutta.

La serata andò piu o meno cosi: nel primo tempo Gaber spiazza il pubblico presentando per la prima volta il Signor G. Noi genovesi, che ci aspettavamo da lui qualcosa di colloquiale e leggero, ci trovammo faccia a faccia con il Gaber trasformato, profondo e teatrale che da li in poi avremmo sempre piu amato. Era il momento giusto, Genova comprese al volo.

Dopo un quarto d’ora di intervallo le luci si abbassano nuovamente e il sipario si riapre. Dietro il sipario, bellissima, alta, statuaria, fulva in controluce… Mina. Il pubblico ammutolito non applaude subito. Probabilmente qualcuno ha anche smesso di respirare. Passano forse tre, quattro secondi di assoluto silenzio che a teatro sembrano interminabili. Io che avrei applaudito al primo istante mi guardo intorno sgomento, e finalmente l’applauso scoppia. Lungo, corale, liberatorio.

Bisogna comprendere: eravamo una platea di genovesi, il che spiega molte cose. E poi non l’avevamo mai vista cosi da vicino. Soprattutto non l’avevamo mai vista a colori.

Maestra internazionale

Mi piace da sempre. Insieme al jazz, al rock. In tutte le fasi della mia musica non ho mai smesso di ascoltarla. Mi sono sempre aspettato qualcosa di sorprendente da Mina. Era lei che ci aveva portato piu vicini Chico Buarque, Juan Manuel Serrat, Tom Jobim, era lei che alle nove di sera in tv duettava con Toots Thieleman. Ci stava insegnando molto e dopo avrebbe fatto ancora di piu. Ecco perche per un paio di settimane mi ero conservato il biglietto del concerto piegato con cura nel portafogli. Ecco perche quella sera non avevo voluto nessun amico seduto accanto a berciarmi nelle orecchie.

Mina e amata da tutti i musicisti. A partire da quelli che si guadagnano da vivere suonando nei locali da ballo fino ai piu raffinati jazzisti e compositori, in Italia e non solo. Io all’epoca facevo parte della prima categoria. Avevo ottenuto un ingaggio professionale come chitarrista in un’orchestrina, e non mi sfiorava neppure l’idea che un giorno l’avrei cono- sciuta, o le avrei anche solo parlato. Quando avevo dei soldi in tasca comperavo dischi dei Blood Sweat and Tears, dei Jethro Tull, di Ray Charles e Aretha Franklin, Mina e Lucio Battisti. Quelli degli Stones, dei Beatles, dei Beach Boys, degli Animals e degli Who li avevo consumati da tempo.

Ho sempre ascoltato Mina con attenzione perche fra i miei maestri c’e anche lei. Nessuno regola e governa il suono delle parole come lei fa. Nessuno guida e conferisce altrettanto bene, in tempo reale, significato a ogni singolo passaggio e pensiero. Nessuno, o forse pochissimi nel mondo, amplificano o smorzano le emozioni a loro piacimento con la sua stessa maestria, alzando o abbassando la temperatura dell’interpretazione nel corso di uno stesso brano. Fonetica, musica e pensiero si muovono insieme e Mina lo sa.

Il primo incontro

Ci sono voluti altri otto anni perche lei e io ci incontrassimo davvero. Nel 1978 lei decide di non esibirsi piu in pubblico, e nello stesso anno io passo giornate a scrivere canzoni che nessuno vuo-le cantare. In genere gli editori me le rispediscono indietro, trovandogli ogni sorta di difetti. E come se questo non fosse abbastanza per la mia autostima, pubblico un album, La casa del serpente, che non vende nemmeno mille copie.

Ma improvvisamente nel suo doppio live Mina live ’78 lei, a sorpresa, reinterpreta due pezzi tratti proprio da quel mio disco di nessun successo. La vado a trovare alla Bussoladomani, il teatro tenda dove si esibisce per l’ultima serie di concerti. Non mi ricordo se in quel primo incontro ho l’ardire di abbracciarla ma spero proprio di averlo fatto. Anche perche nello stesso tempo accade qualcosa: nel giro di un paio di settimane gli editori e i cantanti che avevano rifiutato le mie canzoni mi cercano, mi telefonano, chiedono se possono riascoltarle e se ne ho altre.

Nei due anni seguenti non pochi dei brani prima rifiutati diventano successi da classifica.

Sono tuttora grato a Mina, perche sono sicuro che lei c’entra. Ma so altrettanto bene che se le accenno la vicenda sorride, minimizza e taglia corto.

Il disco mancato

Ivano Fossati giovane

Negli anni seguenti per me le cose andarono sempre meglio. I miei album finalmente avevano successo e i teatri erano pieni. Facevo anche il produttore e le canzoni che scrivevo non le rifiutava piu nessuno. Mina non la perdevo di vista; ogni tanto lei reinterpretava qualcosa di mio, spesso le canzoni piu particolari, e per me era una sorpresa e una gioia come la prima volta. Un filo sottile a cui tenevo che non si spezzava.

Verso la fine degli anni Novanta lei mi fa sapere che vorrebbe registrare un disco insieme a me. Ha gia in mente la lista delle mie canzoni che dovremmo cantare insieme, perche e veloce e mentre pensa una cosa e gia piu avanti della successiva. Io invece fatico a riprendermi dalla sorpresa. Sono disorientato, e di nuovo sgomento come quella volta nel 1970 a teatro quando mi sembrava che l’applauso tardasse ad arrivare. Ci incontriamo in un ristorante di Milano e ne parliamo.

Potrebbe venirne fuori un gran bel disco, adesso lo so. C’e entusiasmo, forse un po’ di timore da parte mia, ma lo supero, quindi abbiamo tutto quello che serve. I discografici pero, per motivi che mi sono ancora ignoti, raffreddano gli entusiasmi e insieme tutto il progetto (poi uno si chiede perche la discografia ha fatto la fine che ha fatto. Non e tutta colpa di Internet). Mina e io per un po’ ci perdiamo, ma si fa per dire.

Passa altro tempo. Otto anni fa sono io che decido di smettere coi dischi e le tournee. La routine mi ha stancato, quello che ho intorno non mi piace piu come prima. Mi trasferisco a Nizza e vivo una vita tutta differente, viaggio molto con mia moglie e la musica la ascolto e basta; solo quella che mi piace, senza subire il resto. Suono sempre molto, ma lo faccio per me, perche c’e comunque tanto da imparare. E perche la passione di tutta la vita non la puoi spegnere col telecomando come il televisore.

 Poi, poco piu di un anno fa, ero appena rientrato da un viaggio in Estremo Oriente, quando Mina mi fa sapere che a quel progetto di tanto tempo prima lei ci pensa ancora, e se fossi d’accordo… Resto disorientato ma me lo faccio passare subito. Uno sano di mente puo dirle di no? Così butto all’aria i miei impegni, abolisco le distrazioni, affogo il cellulare dentro la vasca da bagno e comincio a scrivere. Lei dice che sa gia come chiamare l’album: Mina Fossati.

E ora in studio con lei

E adesso ci siamo. Proprio mentre scrivo queste righe il disco viene pubblicato. Ne Mina, ne io, pensiamo a come andra; nel farlo c’e stato tutto l’entusiasmo che c’era da aspettarsi, tutta la sorpresa e la meraviglia. Scrivere canzoni e interpretarle insieme a lei e appunto una fonte di meraviglia continua. Uno spostamento attraverso intuizioni diverse. Mina non e solo la grandissima cantante che conosciamo ma e pura intelligenza musicale. Qualsiasi cosa ti aspetti artisticamente da lei devi prepararti a riceverla migliore di come l’hai pensata. Devi essere pronto a imparare ancora. Non so nemmeno se sono in grado di descriverlo.

Ogni tanto, durante i mesi di lavorazione, fra scrivere e registrare, mi sono sentito per brevi attimi come quella sera a Genova al teatro Margherita. Erano solo momenti, passavano veloci e non glielo dicevo. Dietro le lenti sfumate degli occhiali mi avrebbe fatto uno di quei sorrisi amabili e divertiti che fa, poi di sicuro avrebbe di nuovo tagliato corto.

Articolo di Ivano Fossati per “Sette – Corriere della Sera”

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