PACHIDERMI E PAPPAGALLI

30 Nov 2019 | 0 commenti

Leggere l’ ultimo libro dell’ economista Carlo Cottarelli, Pachidermi e pappagalli (Feltrinelli), equivale a un esercizio d’ igiene mentale, per scrollarsi di dosso «tutte le bufale sull’ economia a cui continuiamo a credere», come dice il sottotitolo del volume. Sgombrare il campo da tanta confusione per arrivare all’ essenza delle cose. Purtroppo poco confortante, perché col voto del 4 marzo 2018 e il successivo governo gialloverde c’ è stata solo una «svolta statalista», scrive Cottarelli, forse appena attenuata dal successivo esecutivo giallorosso che comunque non è riuscito a produrre niente di meglio che «una manovra di galleggiamento».

Professore, cominciamo dal titolo. Perché «Pachidermi e pappagalli»?

«Viene da una canzone di Francesco Gabbani, dove si parla di bufale di ogni genere. Nel libro mi concentro su quelle economiche, ne ho elencate una cinquantina».

La più pericolosa?

«In realtà, il loro insieme, che forma una narrazione dove si attribuiscono ad altri colpe che sono nostre: l’ Ue, l’ euro, il Grande Vecchio invece di correggere i nostri errori».

Esiste un antidoto?

«Non è facile trovarlo. Per prima cosa bisogna capire le tecniche di produzione delle bufale. Per esempio, se un’ argomentazione è forte di per sé non c’ è bisogno di urlare o insultare gli interlocutori. Secondo, bisogna informarsi, sentire diverse voci e verificare se vengono da fonti qualificate. Cose che richiedono fatica, ma necessarie».

In un capitolo lei rivaluta il governo Monti, che nella narrazione corrente è invece sommerso di critiche.

«Io critico chi critica Monti, che poi, ricordiamolo, era sostenuto da tutti i partiti, tranne Lega e Italia dei valori. Il suo governo fece ciò che in quel momento era necessario per evitare il peggio. Che poi questo non fosse sufficiente è un’ altra storia. Effettivamente l’ intervento della Banca centrale europea per ridurre i tassi arrivò in ritardo, perché c’ erano resistenze nel Nord Europa. Ma chi oggi critica Monti in realtà proponeva politiche che avrebbero portato all’ uscita dell’ Italia dall’ euro».

Nel libro lei sostiene che manovre espansive sono incompatibili con la riduzione del debito. Allora non c’ è alternativa all’ austerità?

«C’ è una giusta via di mezzo. Se ci muoviamo per tempo, con una crescita del Pil dell’ 1-1,5% salgono le entrate e basta congelare le spese in termini reali e in 3-4 anni si raggiunge il pareggio di bilancio e il debito comincia a scendere. Potevamo farlo tra il 2014 e il 2018, ma abbiamo perso l’ occasione».

Neppure l’ ultima manovra migliora la situazione?

«Non è né espansiva né regressiva. È neutra, anzi un po’ peggiora i conti pubblici».

Il Reddito di cittadinanza e Quota 100 le piacciono?

«Il Reddito parte da un principio giusto: dare un sostegno rispetto all’ aumento della povertà, ma è stato fatto male: favorisce i single e penalizza le famiglie numerose, dove è più diffusa la povertà; non tiene conto del diverso potere d’ acquisto tra Nord e Sud. Quota 100 ha peggiorato l’ andamento della spesa previdenziale, che già era poco rassicurante prima».

Sulle pensioni lei propone di «consentire a chi fa più figli di andare in pensione prima».

«Sì, è una proposta da approfondire, ma secondo me avrebbe il vantaggio di incentivare la natalità senza un costo immediato per lo Stato».

Torniamo alla «svolta statalista». Se ne vedono le conseguenze anche nelle vicende Ilva e Alitalia?

«Su Ilva non conosco bene il dossier. Su Alitalia, invece, andiamo avanti da anni con “prestiti ponte” che non verranno mai restituiti. Il salvataggio ci è costato finora quasi 10 miliardi, ma non c’ è motivo per cui lo Stato debba avere una compagnia aerea».

“I miei tre precedenti libri (La lista della spesa, Il macigno e I sette peccati capitali dell’ economia italiana) hanno cercato di fotografare la realtà economica del nostro paese. Questo Pachidermi e pappagalli invece parla di come questa realtà sia percepita e, soprattutto, di come la si voglia far percepire. Parla di false informazioni economiche che circolano ormai da parecchio tempo e vengono considerate verità assolute, indiscutibili, quasi assiomatiche, da buona parte dell’ opinione pubblica italiana: costituiscono, per molte persone, la realtà.

“Una volta le si chiamava «palle» o «bufale». Oggi spesso si definiscono «fake news», ma preferisco usare termini italiani, e in questo caso specifico ancora di più, visto che il termine «fake news» è stato, se non inventato, almeno rilanciato dal presidente Trump che ha talvolta contribuito alla diffusione di informazioni, diciamo, non del tutto aderenti alla realtà.”

Il tema delle bufale mi sembra di particolare attualità.

“Certo, le bufale sono sempre esistite. Fanno parte integrante degli strumenti di propaganda politica utilizzati per influenzare e guidare l’ opinione pubblica verso direzioni desiderate. Mi sembra, però, che negli ultimi anni le bufale economiche abbiano avuto in Italia una particolare diffusione.

A questo hanno contribuito tre fattori.

Il primo è la facilità con cui le notizie trasmesse in rete da chiunque riescono a raggiungere milioni di persone.

Noi italiani siamo grandi utilizzatori dei social media, attraverso i quali le bufale si diffondono rapidamente. Il grado di penetrazione (utenti rispetto alla popolazione) dei social media in Italia è del 57 per cento (53 per cento nella media europea e 42 per cento nel mondo) e il grado di penetrazione nell’ uso dei social tramite cellulari è del 51 per cento (45 per cento nella media europea e 39 per cento nel mondo). Ancora più evidente è la nostra dipendenza dai social in termini di tempo: siamo al quarto posto in Europa, dopo Portogallo, Svezia e Regno Unito.

Il secondo fattore è la potenziale efficacia comunicativa, consentita dalla rete stessa, nel combinare parole e immagini che «parlano alla pancia».

Questa potenzialità viene facilmente sfruttata da parte di esperti (lo chiamano «neuromarketing») e strutture organizzate che, conoscendo gli algoritmi con cui funziona la rete, sono in grado di posizionare al meglio e rendere più credibili le bufale che si vogliono far circolare.

Il terzo motivo alla base del successo delle bufale economiche in Italia, un fattore più oggettivo, riguarda il deludente andamento dell’ economia italiana nell’ ultimo quarto di secolo. Il tasso di crescita del nostro reddito pro capite, al netto dell’ inflazione, negli ultimi venticinque anni è stato il secondo più basso fra tutti i paesi avanzati (solo la Grecia ha fatto peggio) e fra i più bassi al mondo. La verità è che questo andamento deludente è dovuto in gran parte alle nostre colpe. Si potrà anche attribuire tali colpe ai governi che si sono succeduti nel tempo.

Ma chi ha eletto quei governi? No, è colpa nostra. Ma riconoscere questa verità può far male, come cantava Caterina Caselli nel 1966, ed è più comodo quindi trovare spiegazioni fittizie per i nostri problemi. Anche da qui il proliferare delle bufale.

Parlare di bufale economiche ci consentirà però anche di parlare dell’ economia italiana, dei suoi sviluppi degli ultimi decenni e di quelli futuri.

Molte delle bufale di cui parleremo sono state infatti utilizzate per screditare e rigettare le politiche economiche tradizionali, ortodosse, che gli altri paesi dell’ eurozona hanno seguito negli ultimi anni, per giustificare invece politiche alternative, populiste nel senso rivendicato dagli stessi proponenti, che sono riflesse nell’ azione, o per lo meno nei proclami, del governo gialloverde andato al potere dopo le elezioni del 4 marzo 2018. Politiche che, peraltro, non sembrano aver avuto un gran successo nel rilanciare l’ economia italiana e che certo hanno contribuito alla caduta di quel governo.

I primi cinque capitoli del libro riguardano bufale che, per lo più, sono care a gruppi e movimenti populisti, cioè a chi lotta contro l’ establishment. Si tratta di bufale (sull’ euro, sulle banche, sulle ricette economiche ortodosse, sulle pensioni, sui poteri forti) spesso utilizzate proprio per catalizzare la protesta contro chi ci ha governato in passato. Nel sesto capitolo invece ci occuperemo di quelle che ho chiamato «bufale dell’ establishment», solitamente orientate a presentare la realtà in modo migliore di quella che è e a cercare di convincere il popolo che tutto vada bene.

Ciascun capitolo si conclude con una breve sezione su «cosa c’ è di vero», perché una buona bufala richiede un minimo di verità per essere credibile. Ma occorre saper distinguere questo minimo di verità da tutte le frottole che i produttori di bufale intendono propinarci, distinzione che è necessaria se si vogliono trovare le soluzioni giuste ai problemi esistenti. Il settimo capitolo si concentra proprio su chi produce le bufale e sulle relative tecniche di produzione.

Credo infatti che conoscere tali tecniche consenta di sviluppare anticorpi adeguati. L’ ottavo e ultimo capitolo offre una visione dall’ alto della mandria di bufale economiche circolate in Italia negli ultimi decenni. Non si tratta infatti di un raggruppamento casuale: l’ immagine che emerge dalla combinazione delle bufale è stata creata ad arte, funzionale alla riproposta di politiche economiche presentate come nuove, ma che in realtà sono vecchie e hanno generato i problemi di cui l’ economia italiana attualmente soffre.”

Articolo di Enrico Marro per “il Corriere della sera”

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